Il 10 gennaio 1929 usciva sulle pagine di Le petit Vingtième (per l’editore belga Casterman) Tin Tin nel paese dei Soviet, la prima avventura del fortunato personaggio creato da Hergé, al secolo Georges Prosper Remi. Figlio del suo tempo, Tin Tin fu accolto da una immediata fortuna, divenendo in breve tempo una riconoscibilissima icona pop che ha attraversato due secoli e numerosi media. Secondo dati del 1990 (pubblicati da Benôit Peeters in Le monde d’Hergé) la serie venduto 105 milioni di copie in Francia e 52 milioni nel resto del mondo. Il fumetto diede anche vita, proprio all’inizio degli anni ’90, ad una serie televisiva animata. Le avventure di Tintin (Les Aventures de Tintin), fu prodotta da Ellipsanime e Nelvana in collaborazione con Moulinsart, fondazione dedicata ad Hergé. Chicca per gli appassionati di videoludica vintage, esiste anche un gustoso videogioco ispirato ad uno degli episodi della serie: Tin Tin nel Tibet, prodotto per diverse piattaforme tra il 1995 e il 2001. Senza contare i diversi lungometraggi ispirati al personaggio, tra cui l’ultimo del 2011 diretto da Steven Spielberg.
Ma la più grande eredità di Tin Tin rimane l’essersi rivelato l’antesignano, o meglio il prototipo, di uno stile destinato ad una enorme importanza nel fumetto francese. In quel momento infatti, Hergé gettava le basi della così detta linea chiara (ligne claire): uno stile di disegno estremamente sintetico, composto da linee decise e da un tratto essenziale e pulito, riempito da campiture omogenee di pastello. Tale stile avrebbe caratterizzato poi numerosi maestri successivi, influenzando il fumetto anche oltre i confini francesi. Il successo della sua creatura, e le necessità legate alla pubblicazione, spinsero Hergè a fondare un proprio studio, sui cui tavoli di lavoro si alternarono e si formarono molte grandi firme del fumetto franco-belga: da Edgar P. Jacobs (Blake e Mortimer) a Bob de Moor (Monsieur Tric), passando per Jacques Martin (Lo spettro di Cartagine). La gran parte del lavoro creativo tuttavia rimase sempre nelle mani di Hergé, tanto che la serie a fumetti di Tin Tin (nonostante la popolarità) non venne mai più ripresa dopo la sua morte, nel 1983.
Avventuriero pacato e curioso, Tin Tin è un giovane reporter spesso invischiato in intricate storie di intrigo e spionaggio. Il protagonista è sempre accompagnato dal cagnolino Milou e dal suo amico Capitano Haddock, che gli fa da contraltare con il suo temperamento focoso e irascibile. Un caso (non tanto) classico di strana coppia, nel quale è il giovane Tin Tin ad essere l’elemento temperato, mentre il più anziano Haddock (almeno a occhio e croce… ma la barba inganna, fidatevi) si produce costantemente in invettive esilaranti e atteggiamenti eccessivi. Senz’altro figlio del suo tempo, Tin Tin è forse il prodotto letterario di una borghesia pacata e già internazionale, certo purtroppo ancora convintamente colonialista, ma ciò non di meno affamata di conoscenza ed esperienza (oltre che di ricchezza) in un mondo pervaso da suggestioni esotiche. Come è stato notato, i temi delle sue avventure sono quelli classici della narrativa di consumo ottocentesca, della quale Hergè (nato nel 1907) doveva essere impregnato: terre lontane, viaggi spaziali, omicidi. Questi però sono declinati all’interno della intricata atmosfera del periodo tra le due guerre, pervaso dagli intrighi e dalle spy story che prepararono e sfociarono nel secondo conflitto mondiale. In questo contesto di conflitti segreti e terre lontane, Tin Tin si pone come una sorta di eroe “boy-scout”: un esploratore puro di cuore e svelto di mente, pronto a partire per ogni meta, a svelare verità nascoste, a sventare piani improbabili.
È questa probabilmente la migliore spiegazione di alcuni dei “misteri” che circondano personaggio: di Tin Tin non si conosce nè passato né età, nulla è dato sapere della sua famiglia, e nelle sue avventure la sua professione di reporter viene raramente esercitata. Men che meno si conosce la sua disponibilità finanziaria, che non sembra essere scarsa: come scriveva Gianfranco Goria (Tin Tin – Classici del fumetto di Repubblica): “Senza pagare il biglietto Tintin prende l’aereo, o qualche altro mezzo di trasporto, e va in luoghi lontani a cercare di capire il mondo e il presente, a portare il suo contributo al buon senso, alla serenità, alla buona volontà”. Più e prima che un personaggio infondo, Tin Tin è il volto sorridente e fiducioso di una borghesia consapevole della crescente interconnessione del mondo e delle segrete correnti che lo attraversano, allora come oggi. Un europeo disposto a conoscere il mondo e a portare il proprio contributo agendo con energia, ma solo dopo aver osservato con calma e attenzione.
Se il carattere dell’autore può dire qualcosa sul personaggio conviene tenere a mente alcune dichiarazioni di Hergé: “Se io mi sono messo a viaggiare” diceva l’autore in un’intervista concessa a Numa Sadoul, “non è stato solamente per vedere nuovi paesaggi o per documentarmi, ma per scoprire altri modelli di vita, altri modi di pensare; insomma per allargare la mia visione del mondo”.
Per questo non c’è bisogno di backstory o retroscena elaborati. Quella che avvolge Tin Tin è insomma una semplicità apparente, un bagaglio leggero, che proprio grazie alla sua leggerezza, è in grado di trasportare con decisione un ben preciso rapporto col mondo: saldo nei principi, ma aperto nell’approccio. Immediatezza e sintesi sono d’altro canto il vero segreto delle grandi icone pop, in grado di veicolare attraverso il linguaggio leggero e trasversale dell’intrattenimento, i grandi temi, le urgenze del presente, le (diverse, spesso diversissime) visioni del mondo, appunto.
A 90 anni dalla sua prima apparizione, il viso aperto, vigile, un po’ timido e perennemente stupito di Tintin, grazie alla semplicità iconica del suo ovale, rimane il volto e il segno di una certa Europa, anzi di un certo Mondo data la sua popolarità, che nonostante tutto ancora (r)esiste. Il volto e il segno di un’umanità curiosa, fatta di buon senso e buona volontà, con la valigia pronta e i porti sempre aperti. Proiettata verso un altrove da esplorare e comprendere.