Dopo la sua presentazione al Festival di Venezia è approdato nelle nostre sale “A star is Born”: il film che vede l’esordio alla regia di Bradley Cooper, in veste anche di attore, sceneggiatore e co-produttore. Ad affiancarlo in questa impresa troviamo la regina del pop Lady Gaga che, dopo l’esperienza televisiva di American Horror Story, si cimenta nel suo primo ruolo da protagonista al cinema. Tutti questi fattori hanno attirato un vasto interesse sulla pellicola, tanto che negli Stati Uniti questa ha incassato quarantatrè milioni di dollari nel weekend di apertura e la colonna sonora sta già scalando le classifiche.
La trama racconta dell’intensa relazione amorosa tra un famoso musicista in declino e un’aspirante cantante country. La passione tra i due si incrina quando la carriera in ascesa di lei oscura definitivamente quella di lui.
Ma probabilmente ciò che non tutti sanno è che Cooper aveva una grande responsabilità nel portare questa storia sul grande schermo in quanto essa vanta già ben tre versioni cinematografiche.
Quasi nessun film è stato rifatto più volte di “A star is born”, il che è divertente dal momento che la prima versione fu a sua volta un riadattamento dell’opera “A che prezzo Hollywood?” del 1932.
Nell’arco di quasi novant’anni dunque, questa storia senza tempo si è facilmente adattata ad ogni epoca raccontando l’evoluzione del concetto stesso di celebrità. Ogni versione di “A star is born” è un’opera che mette in scena le stesse vicende in maniera sempre fresca e personale. Andiamo a scoprire insieme le similitudini e le differenze tra le quattro versioni!
La versione del 1937
In questo film la protagonista si chiama Esther Blodgett (interpretata dall’ex diva del muto Janet Gaynor) ed è una cameriera che sbarca a Hollywood in cerca di successo. Una sera, mentre lavora ad una festa, riesce a farsi notare da Norman Maine (interpretato da Fredric March), un attore con problemi di alcol che si innamora di lei e la aiuta a ottenere un provino.
La pellicola, sceneggiata e diretta da William A. Wellan, è indubbiamente gradevole ma presenta diversi punti deboli a causa di una sceneggiatura semplicistica. La storia infatti è ridotta all’osso e viene raccontata con un ritmo eccessivamente rapido. Delle quattro versioni, è l’unica ad avere un taglio da commedia. Qui Hollywood è dipinta come la “fabbrica dei sogni”, il luogo in cui una ragazza qualsiasi può rivelarsi un talento e vedere coronate le proprie ambizioni, ma mostra anche l’inconsistenza della celebrità. Uno dei maggiori pregi del film è la splendida fotografia i cui toni sono tipici del Technicolor ai suoi albori; la pellicola infatti è stata la prima a colori a vincere l’Oscar come miglior film.
La versione del 1954
il divo Norman Maine (interpretato da James Mason) scopre la sconosciuta cantante Esther Blodgett (interpretata da Judy Garland) in un night club. Lei si sta esibendo con un piccolo gruppo di musicisti nel locale ormai deserto ed è così che attira l’attenzione di lui. Rimasto folgorato dalla sua performance, Norman si offre di farle da pigmalione. La trama rimane sostanzialmente invariata rispetto alla versione precedente, eccetto per il fatto che Esther diverrà un’attrice di musical.
Il regista George Cukor recupera il soggetto del proprio film del 1932 (A che prezzo Hollywood?) per confezionare uno dei musical più famosi di sempre. Questo cult della Hollywood classica ha ottenuto ben sei candidature agli Oscar e si è aggiudicato due Golden Globes grazie alla splendida colonna sonora. Questa pellicola è di gran lunga più ambiziosa rispetto a quella da cui è tratta: lo sguardo sull’industria hollywoodiana si fa più acuto e sfaccettato perché ne indaga i lati oscuri e le logiche spregiudicate. Anche l’analisi psicologia dei protagonisti si fa più particolareggiata: i personaggi sviluppano una personalità molto più ricca e complessa facilitando l’immedesimazione dello spettatore e riuscendo così a emozionare sul serio! James Mason e Judy Garland infatti ci regalano due performance memorabili. E’ interessante notare come la Garland sia più simile al personaggio di Norman che a quello di Esther: la diva de “Il mago di Oz” era stata una delle più formidabili creazioni dello Star System, ma la fama l’aveva portata ad uno stato tale di depressione che aveva tentato il suicidio! L’ingaggio per questo film è stata per lei l’occasione di far risorgere una carriera in stallo, prima di decadere nuovamente.
Il film è importante anche per un altro motivo: è un punto d’arrivo del musical classico hollywoodiano che per la prima volta abbandona la sua leggerezza per diventare puro melodramma. Un capolavoro intramontabile.
La versione del 1976
John Norman Howard (interpretato dal cantautore Kris Kristofferson) è un cantante rock sul viale del tramonto a causa dell’abuso di alcol e droga. Una sera scopre in un night club una bravissima cantante sconosciuta di nome Esther Hoffman (interpretata da Barbara Streisand), se ne innamora e la sposa. John decide di aiutare la moglie a sfondare, ma la gelosia per il suo successo non tarderà a mettere in pericolo la relazione fra i due.
A oltre vent’anni di distanza, il regista Frank Pierson mette in scena la terza versione di “A star is born” apportando un drastico cambiamento alla trama: proprio come nel film con Lady Gaga, il racconto non è ambientato a Hollywood, bensì nel mondo della musica. Una trovata intelligente per evitare almeno in parte il confronto con il suo predecessore, ma anche e soprattutto per raccontare al meglio l’atmosfera degli anni settanta. Il personaggio di Kristofferson, con la sua vita sregolata, ricalca infatti le figure di Jim Morrison e Jimi Hendrix, mentre la figura di Esther Hoffman riflette la nuova consapevolezza di sé che le donne avevano acquisito in quel periodo. La Esther della Streisand ha uno spirito deciso e indipendente e lo dimostra nel momento in cui rifiuta di presentarsi al pubblico con un nome d’arte (come invece era accaduto nelle versioni precedenti) e di piegarsi ai compromessi dello show business. Tra gli altri elementi di novità troviamo un erotismo piuttosto esplicito.
Nonostante una sceneggiatura melensa e una narrazione faticosa dovuta a un ritmo zoppicante, alla sua uscita nelle sale la pellicola è stata un grande successo di pubblico e critica: ha vinto ben cinque Golden Globe e ha ricevuto due Grammy Award per la colonna sonora, ma soprattutto ha vinto l’Oscar per la migliore canzone originale: la bellissima ballata dal titolo “Evergreen”, composta dalla stessa Streisand assieme a Paul Williams.
La versione del 2018
Accostatosi alla regia sul set di “American Sniper”, forte dell’esempio e dei preziosi consigli di Clint Eastwood, Bradley Cooper riesce nell’impresa titanica di confezionare una nuova, brillante versione di questo classico senza tempo. E’ ironico pensare che proprio Eastwood avrebbe voluto dirigere un terzo remake di “A star is Born” con protagonista Beyoncé, ma il suo progetto non ha mai visto la luce; in ogni caso il suo sostituto ha svolto ugualmente un ottimo lavoro.
Cooper sceglie come riferimento primario il film con la Streisand, ma osserva con una profondità molto maggiore il contesto dell’industria musicale. In questa versione i due protagonisti hanno nomi diversi: John Norman Howard diventa Jackson Maine e Esther Hoffman si trasforma in Ally. Cooper ha uno stile di regia vibrante, frenetico e travolgente e ha una scrupolosa cura per la messa in scena. Nonostante l’indubbia bravura di Lady Gaga (mai vista così acqua e sapone), per la prima volta la protagonista finisce spesso all’ombra del suo partner maschile e ciò è dovuto alla maggiore profondità che Cooper gli ha donato rispetto alle versioni precedenti: il nostro regista/attore ha infatti scelto di arricchire il personaggio di Jackson Maine dandogli un background esistenziale e familiare ben delineato. In più, oltre che un attore straordinario, Cooper si dimostra anche un ottimo cantante! Il cuore del film resta comunque la storia d’amore tra Jackson e Ally, che funziona perfettamente grazie alla spontanea alchimia tra i due protagonisti. Altra nota di merito: la colonna sonora (in particolar modo la canzone “Shallow”) è sensazionale, perché arricchisce l’intero film e non è un mero accessorio, come era invece nel film del 1976 in cui le canzoni spezzavano la narrazione.
Che altro dire? Non vi resta che andare a vederlo!