Nella prima metà del ‘600 Napoli era nel pieno in una gravissima crisi socio-economica,. la corona spagnola combatteva guerre dispendiose, ed esigeva da Napoli balzelli molto onerosi. Nel 1646 il viceré spagnolo Rodrigo Ponce de Leòn duca d’Arcos aveva aumentato ulteriormente le tasse, l’anno successivo nuovi aumenti del prezzo della frutta fresca fecero scoppiare una rivolta popolare: era il 7 luglio del 1647 .
La rivolta scoppiò con tutta la sua violenza al grido di “Viva il re di Spagna, mora il malgoverno”. Lo stesso motto dimostra che popolo non riteneva il sovrano spagnolo Filippo IV responsabile dell’ aumento delle tasse e della disastrosa politica locale . Non fu una rivolta antispagnola, come vorrebbe la storiografia italiana dell’Ottocento, ma un’insurrezione scaturita dalle miserevoli condizioni in cui versava il popolo. A capo della rivolta c’era Tommaso Aniello D’Amalfi detto Masaniello, un umile pescatore piccolo di statura, con un curioso codino, baffi biondi e carnagione scura.
Tutto iniziò nel giugno del 1647, quando i “lazzaroni” guidati da alcuni capi tra cui Masaniello e suo cugino Maso, sbaragliarono la guardia spagnola e irruppero a Palazzo Reale. Una volta raggiunti gli appartamenti del vicerè i rivoltosi devastarono qualsiasi cosa, l’ira popolare si abbatté contro nobili e borghesi, molti palazzi signorili furono dati alle fiamme. Devastati anche gli uffici daziari, furono bruciati i registri e aperte le carceri. Devastate anche le case di funzionari governativi, come quella di Girolamo Letizia, considerato un infame gabelliere, che fu distrutta e data alla fiamme nei pressi di Portanova. Venne quindi insediato il cosidetto “Comitato Rivoluzionario nella Chiesa del Carmine”.
Il viceré fu incapace di affrontare una situazione tanto drammatica che si poteva propagare velocemente in tutto il regno. In un primo momento scappò nel vicino convento di San Luigi e, successivamente fuggì con pochi fedeli nel Castello di Sant’Elmo. Il capitano del forte, Martino Galiano, non fu in grado di difendere il duca perché non disponeva di riserve di munizioni e viveri. Il viceré tornò in città ed accettò le umilianti condizioni imposte da Masaniello.
Il pescatore che era consigliato dal letterato Giulio Genoino, il vero ideatore della rivolta, ottenne dal viceré la concessione di una costituzione popolare sul modello dei capitoli di Carlo V, che fu redatta dallo stesso Genoino. Masaniello fu quindi nominato “Capitano generale del fedelissimo popolo”. Seguirono alcuni giorni di pace apparente che servirono agli spagnoli per rifornire abbondantemente i castelli della città ed organizzarsi al meglio.
Il pescatore, inebriato del potere, cominciò ad ordinare provvedimenti ed esecuzioni arbitrarie, tanto che la sua breve esperienza rivoluzionaria si concluse appena nove giorni dopo l’inizio dell’insurrezione. Il 16 luglio, quando si festeggiava la SS. Maria del Carmine, Masaniello si affacciò alla finestra della sua casa e pronunciò un discorso farneticante, accompagnato da gesti insulsi arrivando persino a denudarsi. Quando le persone gli si rivoltarono contro Masaniello fuggì nella chiesa del Carmine, venne però catturato e ucciso a colpi di archibugio. Decapitato con un coltello, la testa fu portata al viceré, mentre i poveri resti furono trascinati per la piazza e dati in pasto ai cani.
Il giorno dopo alcuni popolani raccolsero i resti che furono tumulati nella Chiesa del Carmine, con gli onori militari dovuti ad un generale . Miserevole fu anche la sorte della moglie Bernardina Pisa, sposata nel 1641. Rimasta sola fu costretta a prostituirsi fino alla morte sopraggiunta nel 1656 durante un epidemia di peste.