Oggi, 15 marzo, sono le cosiddette Idi di marzo. Quante volte ci è capitato di sentire nominare questa espressione? Sicuramente, chi ha avuto l’occasione di studiare il latino al liceo si ricorderà di cosa si tratta, ma spesso capita che in tanti si ritrovino ad interrogarsi sul loro significato. E allora, quale migliore occasione per cercare di dare una risposta esaustiva, rispolverando le reminiscenze degli studi scolastici?
Ebbene, con il termine “idi”, i romani si riferivano al tredicesimo o al quindicesimo giorno del mese, secondo il particolare calendario giuliano introdotto nel 45 a.C., il quale prevedeva tre date fisse per ciascun mese, in base a cui venivano stabiliti i restanti giorni. Queste tre date erano le Calendae, ovvero il primo giorno del mese, le None, il quinto o il settimo, e le Idi, che appunto indicavano circa la metà del mese. Nello specifico, il 15 cadeva solo nei mesi di 31 giorni, quindi pure marzo.
In realtà, però, come in molti ricorderanno, le Idi di marzo sono diventate storicamente famose poiché proprio in coincidenza di quelle del 44 a.C. – l’anno successivo all’introduzione del calendario da lui voluto -, fu assassinato quella che è una delle figure più importanti della Storia del mondo, Giulio Cesare. Egli venne ucciso con ventitré pugnalate, durante una seduta senatoria nel Teatro di Pompeo, per via di una congiura ordita da un gruppo di senatori, tra i quali Bruto e Cassio. Essi erano infatti ostili all’accentramento di potere che Cesare stava ottenendo, assumendo su di sé molte cariche e andando così a configurarsi come un tiranno capace di svuotare ed eliminare il Senato e quindi le istituzioni repubblicane.
A proposito di questo episodio storico, molto famosa è l’espressione latina “Tu quoque, Brute, fili mi!” (“Anche tu, o Bruto, figlio mio!”). Si narra, infatti, che queste siano state le ultime parole pronunciate da Cesere in punto di morte mentre veniva trafitto dai congiurati, riconoscendo fra i suoi assassini il volto di Marco Giunio Bruto, suo fedelissimo.
La sua morte, senza dubbio, diventò uno degli episodi più celebri dell’antichità romana, interpretata in molti modi nei secoli successivi. Nel Quattrocento, essa fu oggetto di un dibattito culturale e nacquero due correnti di pensiero. Da un lato, l’assassinio fu inteso come un simbolo di giustizia per salvare le istituzioni della repubblica (esempi in tal senso sono il busto di Bruto scolpito da Michelangelo o la tragedia “Bruto secondo” di Alfieri); da un altro lato, invece, Bruto e Cassio diventarono il simbolo del tradimento (basti pensare che Dante, nel XXXIV canto dell’Inferno, li posiziona il più in basso possibile, nella bocca di Satana, insieme a Giuda.)
L’omicidio venne poi raffigurato in numerose opere d’arte, nonché trattato nel “Giulio Cesare” di Shakespeare e nella poesia di Costantino Kavafis intitolata “Idi di marzo.”