“Mi fa fatica parlare di lui, ogni angolo di Bologna che giro, lì c’è un ricordo di lui. Pensa che l’ultima cosa che ha fatto è stato Sanremo, lui non voleva, l’ho quasi ricattato. E dopo 15 giorni è morto. “
Con queste parole, nei giorni successivi a quel primo marzo 2012, Gianni Morandi espresse il dolore per la perdita del grande amico Lucio Dalla.
Era proprio il primo marzo di otto anni fa, infatti, quando venne a mancare, stroncato da un infarto, all’età di 69 anni, colui il quale, senza nessuna ombra di dubbio, è stato uno dei massimi cantautori e musicisti della Storia d’Italia. La sua ultima apparizione dinanzi al grande pubblico fu, per l’appunto, quella al Sanremo di quell’anno, condotto da Morandi; in quell’occasione, come possiamo ricordare, Lucio si presentò alla competizione accompagnando un giovane talento, Pierdavide Carone, con il brano “Nanì”.
Polistrumentista – dal pianoforte al sassofono, fino al clarinetto -, partendo dalla formazione jazz, da genio eclettico quale era, Dalla seppe sperimentare e spaziare in molteplici linguaggi e generi musicali, impreziosendo la sua musica con testi dall’elevatissimo spessore poetico. L’eredità artistica ch’egli ha lasciato a ognuno di noi è semplicemente immensa. Tutti noi, inevitabilmente, percepiamo ad ogni ascolto delle canzoni di Lucio un pezzo del nostro sentire, quasi come le sue note e le sue parole si fossero incastonate nel nostro DNA. In questa data, pertanto, ci sembra quanto meno opportuno ricordare e rendere omaggio al maestro, ripercorrerendo le tappe della sua pregievole carriera, fatta di cinquant’anni di successi.
Ebbene, Lucio Dalla nacque a Bologna il quattro marzo 1943, rivelando fin da subito la sua passione per la musica. Trasferitosi a Roma, il giovane entrò a far parte d’un complesso, la Second Roman New Orleans Jazz Band, e nel 1960 si esibì con il gruppo i Flipper. Nel 1963, al Cantagiro, Gino Paoli gli si offrì come produttore e ciò segnò la sua svolta.
Nel 1966, il cantautore debuttò quindi al Festival di Sanremo con “Paff…Bum”, in coppia con i “Yardbirds” di Jeff Beck. Nel 1967, poi, fu la spalla di Jimi Hendrix nel concerto di Milano. In questo periodo, uscì il suo primo album, dal titolo “1999”, al quale seguirono “Terra di Gaibola” e “Storie di casa mia”.
Negli anni Settanta, Lucio inziò a collaborare con il poeta bolognese Roberto Roversi, con il quale realizzò tre album, connotati dall’impronta dell’impegno civile: “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa”, “Automobili”. Successivamente, però, Dalla comiciò a scrivere da solo i testi delle sue canzoni, esempi in tal senso sono “Com’è profondo il mare” e, poi, “Anna e Marco” e “L’anno che verrà”, quest’ultimi contenuti nell’album “Lucio Dalla”.
Proseguendo, gli anni Ottanta, per il musicista bolognese, furono molto proficui. Oltre al Banana Republic, il tuor con Francesco De Gregori, l’artista, difatti, incise il disco “Dalla” (con le stupende “La sera dei miracoli”, “Cara” e “Futura”) e, in aggiunta, il “Lucio Dalla (Q Disc)” e gli album “1983” e “Viaggi organizzati”. Nel 1985, invece, fu la volta dell’album “Bugie”, seguito da “Dallamericaruso”, il quale, al suo interno, contiene “Caruso”, ovvero quella che, a tutt’oggi, è una delle canzoni italiane e in lingua napoletana più conosciute al mondo. Basti pensare che il brano vendette più di otto milioni di copie e venne inciso in trenta versioni diverse, tra le quali quella di Luciano Pavarotti.
Nel 1990, in televisione, poi, Lucio presentò il suo nuovo brano “Attenti al lupo”, appartenente all’album “Cambio”. Quest’ultimo discò arrivò a vendere circa un milione e mezzo di copie, come fu nel caso del successivo “Canzoni”, uscito nel 1996. Nel settembre 1999, nell’trentatreeismo anno dal suo primo album – intitolato priorio “1999”-, Dalla, invece, pubblicò “Ciao” che ottenne il doppio disco di platino. Dipoi, nel 2001, uscì “Luna Matana”, interamente scritto e realizzato alle Isole Tremiti, e il cui singolo di lancio fu “Siciliano”.
Da parte nostra, è doveroso ricordare, infine, oltre a tutta la sua produzione artistica, pure il rapporto speciale che il cantautore di origini bolognesi ebbe con la città e la cultura di Napoli. Il suo brano più conosciuto, “Caruso” – dal nome del celebre tenore – , non a caso, è in lingua napoletana e riecheggia lo stile della celebre canzone classica partenopea. Indimenticabile è la sua dichiarazione d’amore per il capoluogo campano che vogliamo qui riportare: “Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse 200.000 euro io me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni”.