L’entrata a Napoli di Giuseppe Garibaldi, verificatasi il 7 settembre 1860, non avvenne in circostanze totalmente “pulite”. Il passaggio dal regno borbonico a quello dei Savoia fu, infatti, seguito dall’apparizione in scena dei primi camorristi. Fu un periodo dominato da grande scompiglio e da un profondo senso di dispersione dovuto all’abbandono della capitale da parte di Francesco II di Borbone, ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, il quale, di fronte all’avanzare di Garibaldi con i suoi Mille, riparò a Gaeta. Per questo motivo, il prefetto di polizia del regno borbonico, Liborio Romano, decise di prendere le redini in mano e gestire l’ordine pubblico. Il prefetto, tuttavia, per tenere a bada i sanfedisti da una parte e e i saccheggi popolari dall’altra parte, ritenne opportuno di garantire l’ordine in città affidandosi ai più noti camorristi cittadini e concordando con loro l’ingresso di un cospicuo numero di camorristi nella Guardia cittadina. Liborio si rivolse a Salvatore de Crescenzo, primo vero capo della camorra, meglio conosciuto come ‘Tore ‘e Crescienzo, al quale chiese di redimersi per diventare guardia cittadina, portando con sè quanti compagni avesse voluto, e ripristinare, in tal modo, l’ordine in città, in cambio essi avrebbero goduto di amnistia incondizionata e stipendio governativo. Questo numero non identificato di camorristi governò la città per circa 8 mesi. Fu questo uno dei periodi di maggiore forza della camorra, che cominciò a contraddistinguersi per la sua parte criminale: contrabbando ed estorsione aumentarono notevolmente con guadagni importanti per i camorristi, tutte le merci che entravano in città venivano intercettate e controllate dalla camorra, imponendo l’esenzione dal dazio con la parola d’ordine “E’ robba ‘e zì Peppe” (ossia Garibaldi). La conseguenza fu naturalmente quella aspirata da Liborio, vale a dire far apparire la città efficientemente ordinata all’arrivo di Garibaldi. Questi entrò a Napoli protetto dai camorristi in armi, ma, a detta di Raffaele De Cesare, storico e giornalista liberale, poi deputato al Parlamento, il generale fu accolto alla stazione da una tale Marianna la Sangiovannara, sorella del camorrista Michele O’ chiazziere e proprietaria di una bettola dove si riunivano i capi della camorra. Per di più, secondo quanto riportato dallo scrittore e giornalista Gilberto Oneto, Garibaldi ripagò la camorra dei servigi resi con somme ingenti di denaro ed assegnazioni di pensioni.Non si può nascondere, dunque, il patto stretto con la camorra dai liberali, sebbene paradossalemente questa nuova polizia non era soltanto camorrista, ma anche patriottica, amica dei liberali e dei democratici, e assolutamente anti-borbonica