“Avengers” è veramente, anche al di là del genere cinematografico, uno dei pochi casi dove il film successivo della saga riesce – sempre! – a superare in qualità e profondità quello precedente. Entrando nel merito…
… in “Avengers: Infinity War”, nonostante la strenua resistenza dei nostri supereroi, Thanos è stato capace di dimezzare la popolazione dell’intero universo. Anche Nick Fury tira le cuoia. Ma, prima di divenire polvere nel vento, costui ha la freddezza di inviare un messaggio all’inarrivabile Capitan Marvel, che fluttua nello spazio come un meteorite dotato però di sterzo e di marce. Tornata sul Pianeta Terra, nel ritrovarsi al cospetto di un gruppo di Avengers sfiduciato, decimato, afflitto dalla sconfitta e dal lutto, decide di prendere il toro per le corna e far parte del riscatto.
Si, ma come ottenere questa “vendetta”? Certo che Thanos l’ha davvero combinata grossa: le cose non potranno essere rimesse a posto grazie al “semplice uso” dei superpoteri; un recensore serio, tuttavia, giunto a questo punto, deve fermarsi e avvisare che, ove andasse oltre, spoilerebbe di brutto e potreste pretenderne lo scalpo…
E allora che cosa può fare un recensore serio? Lasciarvi la suspence e gettarvi giusto qualche briciolina di pane inzuppato nella vostra stessa curiosità.
Quello che posso dirvi è che un geniale “barba-trucco” consente allo spettatore di inoltrarsi in episodi già vissuti, ritrovandosi finalmente capace di gustarne dettagli magari sfuggiti ai più, invero indispensabili per continuare a dipanare una matassa di eventi che portano gradatamente dalla semplice piacevolezza visiva al più puro e genuino entusiasmo. L’espediente serve anche a meglio inserire e contestualizzare personaggi più recenti, tuttavia lasciando ai più “vetusti” lo scettro dell’iniziativa e il reale potere decisionale/immaginifico per risollevare le sorti di un mondo – anzi, di un intero universo – che risulta piegato su se stesso, visto il drammatico colpo subito.
Col passare degli anni, questo pure è certo, segnati da ciò che era accaduto, La Vedova Nera, Iron Man, Thor, Hulk, Capitan America e Occhio di Falco sono molto cambiati; si sono “evoluti”, hanno mutate le prospettive visuali collegate ai proprio cuori e alle proprie anime. Ed hanno finalmente la reale cognizione l’un dell’altro, oltre che acquisito il conseguente e dovuto rispetto.
Ma alla fine, tuttavia, ben più di una spaccatura si era nel frattanto venuta a creare nel gruppo. Essere un supereroe porta anche al disaccordo sulle linee da seguire. Frattura che anche qui viene riproposta, riprendendo le mosse direttamente dal roboante ”Captain America: Civil War”, laddove questa pellicola può annoverare anche il ritorno di Bucky nelle vesti del Soldato d’Inverno. Così come viene riproposta anche, in una determinata sezione, quella che è forse la piùà celebre scena dell’intera serie; la macchina da presa che gira intorno ai sei eroi, pronti al martirio e al sacrificio in una New York invasa dagli alieni.
Contro i membri originali della squadra -relativamente ai pochi che non sono scomparsi in seguito al “dimezzamento” (altresì in preda tanto ai rimorsi del proprio fallimento quanto a quella voglia di rivalsa che comunque dimora in loro, seppur sopita dal prezzo personale e di sangue, che ognuno di loro ha dovuto pagare), motivati dal desiderio di correggere l’errore, Thanos si ripresenta ancor più spietato, rivelandosi un avversario fenomenale, sia per astuzia che per abilità bellica.
Lo scontro finale del film è impressionante, superiore anche allo stesso ”Avengers: Infinity War”.
Con una grande, evidente, differenza fra le due pellicole. Nell’ultimo capitolo della saga, all’azione si preferiscono le emozioni, l’ingegno e la solidarietà. Prova ne sia che gli scontri appaiono limitati in pratica a un’unica grande battaglia.
Come su uno slittino, prima però di arrivare al grande e decisivo regolamento di conti, ci si “scivola” compiaciuti, arrivandoci attraverso una superficie liscia, contornata da numerosi dialoghi e trovate fenomenali.
Lo sforzo della regia è stato palesemente immenso. La capacità di sostenere, senza empasse o lacune narrative, tale cospicua quantità di sceneggiatura è davvero ammirevole; parimenti apprezzabile è stata l’abilità e la sagacia con cui si sia riusciti a dosare e amalgamare i momenti più tristi con i momenti più ironici (seppur rinunciando, come giusto che fosse, agli eccessi “comici” presenti in “Thor – Ragnarok”. Ammirabile la capacità di ritagliare, anche nei momenti più concitati, spazi di vera commozione.
Insomma, magari qualche “buchetto” nel canovaccio integrale della trama lo trovate pure (qualcosa su Captain Marvel dà il sapore dell’incompiutezza, in realtà) se lo passate al lanternino, ma è uno di quei casi dove conviene lasciarsi andare alla semplice visione del film, che risulta davvero di livello forse mai visto prima. Basta dire che le sorprendenti “trasformazioni” di un paio di personaggi lasciano a bocca aperta e sono talmente divertenti che ti chiedi perché non ci avessero già pensato prima.
La principale forza di “Avengers: Endgame”? Essere una prova corale talmente ben riuscita che le tre ore di proiezione non pesano affatto. Anzi, la densità narrativa è tanta e tale che forse si sarebbe accettata anche un’ora in più per come scorre senza intoppi.
Certo. L’universo Marvel cinematografico non termina qui. Ma è chiaro che ci mancherà qualcosa, d’ora in poi.
Filmone, insomma. Una degnissima conclusione, per una saga senza pari.
Al punto che la nostalgia, appena vi alzerete da quella poltroncina, sarà tanta.
E forse tenterete di placarla comprando ai vostri bambini il costume di Iron Man o di “Cap” Captain America.
Anzi, a dirla tutta, potreste correre il rischio di avere la tentazione di comprarne uno della vostra misura. E vi confesso che della mia non l’ho ancora trovato