Un affare americano, o meglio afroamericano, entrato in Europa dalla porta dell’Inghilterra, rimandato oltreoceano negli anni della “british invasion” e poi definitivamente esploso in tutto Vecchio Continente. Questo fino ad ora sembra essere il Rock’n’Roll, a giudicare dai nostri ultimi viaggi. Chissà però che si diceva nel cuore dell’Europa durante gli anni della diffusione di questa nuova musica.
Sceglierò un paese centrale e farò un giro lì, ho proprio voglia di accendere una radio e vedere che succede. Buon sabato vintage a tutti, amici, è il 1965 e stiamo andando a Berlino!
Il distretto urbano di Mitte, per la sua centralità, mi sembra la destinazione giusta. Da Fiedrichstraße punto dritto verso Kreuzberg, il quartiere confinante. Mi rendo conto però di non aver fatto i conti con la Storia, quando con un faro abbagliante puntato contro, tra sacchi di sabbia e filo spinato, mi ritrovo davanti ad una cabina di controllo della polizia. A circa duecento metri scorgo ciò che nell’entusiasmo della partenza avevo dimenticato: il Muro. Da qui non si passa, sono finito dritto nella Repubblica “Democratica” Tedesca. Se la mia intenzione era quella di fare un giro spensierato, sono arrivato nel lato sbagliato di Berlino. Gli agenti per fortuna sono tranquilli, ma qui ad Est posso restare per un massimo di cinque giorni, grazie ad uno speciale visto turistico che miracolosamente mi stanno consegnando. Itinerari e alberghi li decidono loro, se pensassi di deviare di un solo millimetro, sarebbero guai. In realtà non vedo l’ora di filarmela, ma ormai sono qui e la curiosità di ascoltare un po’ di musica è tanta. All’occorrenza, potrò sempre scappare grazie alla Macchina del Tempo.
La camera della pensione è grigia e spoglia, vi trovo comunque un vecchio televisore in bianco e nero. Stappata una bottiglia di Vita-Cola, la cugina socialista della ben più nota Coca, (che ovviamente qui è bandita) accendo. Giacca, cravatta e occhiali, un uomo sta parlando:
“Chiunque tenti di indebolire o danneggiare la RDT indebolisce le prospettive di pace in Germania”. E ancora: “Chiunque voglia attraversare la frontiera ha bisogno di autorizzazione, in caso contrario, stare alla larga dai nostri confini! Chi si mette in pericolo morirà! Possono sembrare parole disumane, ma che cos’è umano o disumano?”

Di Buon Umore”. Una musichetta in 6/4, una specie di valzer velocizzato, fa da sigla. Entra in scena una ragazza mora: “Tutti i giovani berlinesi vogliono ballare la musica </spanLipsi!”.
Cerco di frugare tra i ricordi da studente di storia della musica al conservatorio, ma questa è proprio nuova, una parola che non ho mai sentito. Lipsi, che diavolo sarà mai?
La risposta non tarda ad arrivare e una coppia inizia ad esibirsi nel ballo più strano (e anche un po’ ridicolo) che abbia mai visto. Sembra un mix di danze tradizionali, un po’ greche, un po’ russe, un po’ irlandesi. Non ci capisco gran che, ma noto un dettaglio: i ballerini non alludono, in alcuna espressione facciale o in alcun movimento fisico, ad una seppur velata intesa di tipo sensuale. I loro bacini sono fissi, immobili. Non si toccano mai e neppure tendono l’uno verso l’altro, non ruotano, non si inclinano.
Intanto una voce fuori campo incalza: “Oggi tutti i giovani danzano il Lipsistep, il Lipsistep, solo il Lipsistep. Oggi tutti vogliono imparare il Lipsistep, è moderno! Rumba, Boogie e Cha Cha Cha sono danze sorpassate. Da un giorno all’altro è spuntato un nuovo ritmo e resterà!”
Wow, ragazzi! Ma avete capito? Sono gli Anni ’60, il rock spopola ovunque, Elvis fa impazzire tutti, i Beatles erano qui in Germania (ad Amburgo) non più tardi di tre anni fa, a gettare le basi della loro carriera e a farsi le ossa da performers, in California già ci sono già gli Hippies mentre in Italia sta esplodendo l’era dei gruppi. Eppure, oltre la cortina di ferro, c’è un regime che da Berlino Est sta tentando di lanciare una moda di massa alternativa, ripulita da tutti gli elementi ritenuti “sovversivi”, quello sessuale su tutti. Il Lipsi è l’alternativa socialista agli immorali movimenti di bacino di Elvis e alle sfrenate e libere danze del rock’n’roll, quella musica straniera che rischia di minare l’integrità culturale, morale e politica della nuova generazione di tedeschi dell’Est.
Un cortocircuito totale: una danza inventata da una commissione, una follia.
Ciò che è vero e valido, anche dall’altro lato della barriera, è che il Rock’n’Roll come forma non solo musicale, ma in generale espressiva, sta diventando la bandiera di una cultura di portata generazionale e rivoluzionaria e per questo fa paura ai potenti. Nel giro di pochi anni molte delle più affermate star del mondo, insieme alla loro musica, finiranno in cima alle liste nere di pericolosità sociale, non solo qui ad Est.
L’aria della RDT nei ’60 è bella pesante, i “venti di cambiamento” sono ancora lontani e, sebbene per vie sotterranee e clandestine (come stazioni radio pirata e contrabbando di dischi) il virus del Rock’n’Roll stia iniziando a circolare anche qui, i giovani appassionati che mettono su un gruppo per strizzare l’occhio alla nuova musica devono tenere gli occhi bene aperti. Agenti infiltrati della Stasi, la polizia segreta, potrebbero essere ovunque, anche in uno scantinato con una chitarra a tracolla.
La Vita-Cola non era male, anche se un po’ troppo aromatizzata al limone e alla frutta. In ogni caso è finita, così come lo spot della TV di regime e il ballo – onestamente bruttino – del Lipsi.
Meglio rientrare a casa per ora, a Berlino però torneremo, è una promessa. Ci sono tante belle storie di musica da raccontare e anche il Rock, tra un paio di decenni, assesterà la sua spallata a quel Muro.