La breve pausa per le festività non ha certo indebolito la curiosità che nutro verso la giovane Alice Guy. Tutt’altro. Nei giorni passati ho domandato ad alcuni amici se l’avessero mai sentita nominare e le risposte sono sempre state negative, anche tra alcuni profondi conoscitori della materia. L’ho lasciata mentre consegnava il primo film della storia a Léon Gaumont, l’uomo per cui lavorava come segretaria all’epoca. Ma cosa sarà accaduto in seguito? Se in pochi oggi conoscono il nome di Méliès, proprio nessuno sembra conoscere il suo. Forse quei 20 metri di pellicola sono stati i primi e gli ultimi su cui ha impresso delle immagini.
È giunto il momento di prendere tra le mani il fidato biglietto per far luce sulla sua storia. YouTube è un luogo prezioso in cui andar a trovare le versioni digitali di queste antiche opere senza copyright. Apro il browser e digito “La fée aux choux”, per vedere quel primo minuto di cinema. Subito noto che le immagini sono in bianco e nero. Ricordo perfettamente di aver visto Alice e i suoi amici colorare a mano ogni singolo fotogramma! Come è possibile? Nemmeno il tempo di pormi il quesito che dopo un batter di ciglia mi ritrovo catapultato per strada, io, che ero seduto nel solito soggiorno. Davanti a me si erge un edificio in mattoni rossi come non ne ho mai visto prima. La particolarità è un’enorme “serra” su un lato della costruzione. Ricorda un po’ lo studio di Méliès, penso, ma è molto più grande. Sento di dover andare lì.
Proseguendo un piccolo cartello rivela il nome della strada che percorro: Lemoine Avenue. Ancora non ho idea di quale sia la città in cui mi trovo. Sento da lontano alcuni uomini parlare inglese, ma l’accento è assai particolare, dubito sia l’Inghilterra. La scelta della parola avenue al posto di street per indicare la via fa propendere per gli Stati Uniti. Raggiunto il gruppo di signori domando conferma e, seppur straniti, rispondono che la città in questione è Fort Lee, nello stato del New Jersey. Arrivo al civico 2160, all’ingresso di questo imponente edificio. Ancora non so perché il biglietto mi ha condotto qui negli USA e non a Parigi. Ho imparato però a fidarmi dei suoi meccanismi, per cui proseguo con curiosità e senza timori.
All’interno un grande cartello penzola da un balcone e recita “BE NATURAL”, sotto, meno in evidenza, si legge un generico “no smoking”. Cosa vorranno mai dire queste parole? Si tratta di un invito o di un ordine? Sii naturale. In ogni caso lo slogan suona bene e mette a proprio agio. Proseguo per la porta che si trova proprio sotto il cartello, oltrepassandolo, quasi fosse un (positivo) ammonimento di dantesca memoria. Pochi passi e mi ritrovo in quella sorta di serra trasparente che tanto impressione fa se vista dall’esterno. Vista dall’interno non meraviglia di meno. E finalmente eccola lì, la ragione ignota della mia presenza qui. Madame Alice! È intenta a dare direttive a un folto gruppo di uomini. Alcuni appaiono attori, altri operatori delle macchine da presa. Sono tutti attenti a carpire ogni suo suggerimento.
Il signor Gaumont deve aver dunque apprezzato non poco quel primo lavoro, penso tra me e me.
Lei oramai è una donna, ha uno sguardo maturo, vivo e penetrante. Non è più la timida ragazza che ho conosciuto.
Scorgo su di un tavolo un giornale. La prima pagina è dedicata alle elezioni presidenziali del 1912 vinte dal democratico Woodrow Wilson, governatore di questo stato da diversi anni. Conoscendo Wilson, le sue idee fortemente segregazioniste e l’ostilità che nutre verso le altre “razze”, mi lascia a dir poco sbigottito vedere che tutti gli attori qui sono afroamericani!
Devo assolutamente parlare con Alice e scoprire qualcosa sulla sua vita. Come mia usanza oramai, attendo in disparte una pausa per poter intervenire.
La prima domanda è un po’ impertinente: “Signorina Guy lavora ancora per il Signor Gaumont?”. Sorride con un certo compiacimento. “Non più. Non sono nemmeno più una Signorina a dire il vero. Alla Gaumont avevo fatto tutto io, eppure fui messa da parte quando la compagnia cominciò a generare benefici. Da un paio d’anni ho fondato, insieme a mio marito Herbert Blaché, una casa di produzione indipendente, la Solax. Il lavoro qui negli Stati Uniti va molto bene, il settore del cinema è in grande espansione e per fortuna i miei lavori sono amati. Non tutto è però rosa e fiori. Pensi che sono la donna più pagata di tutti gli Stati Uniti ma non ho il diritto di voto! Non lo hanno nemmeno gli attori che vede in questo set! Per questo ho deciso di girare il primo film in cui tutto il cast è afroamericano”.
Sono temi molto delicati e preferisco deviare su qualcosa di più leggero chiedendo che fine abbiano fatto i colori dalla sua prima opera. “Non sono scomparsi i colori, è scomparsa tutta l’opera! Purtroppo la pellicola è andata perduta e non c’erano copie. Data la richiesta qualche anno dopo l’ho girata nuovamente, ma questa volta senza colori”. Ecco spiegato! Si fa quasi ora di andare, ma un’ultima domanda è d’obbligo prima della ripresa dei lavori. Non posso andar via senza conoscere il significato del cartello all’ingresso. “Be natural! Sii spontaneo! É semplicemente ciò che richiedo a tutti qui. Gli eccessi del teatro sono così distanti dalla mia sensibilità che la cosa più importante è tenerli lontani dalle pellicole. Gli attori sono fondamentali per la riuscita di un film, non tutti lo comprendono!”. In effetti i nomi degli attori ancora non appaiono sui titoli e il concetto di vedette è ancora sconosciuto.
Incredibile vedere la vitalità di Alice farsi strada in un mondo così diviso. Da una parte è la donna più ricca della nazione, dall’altra non può esprimere le sue preferenze; da una parte è madre del cinema, dall’altra è mal vista dagli imprenditori; da una parte gli attori fanno la fila per poter interpretare i suoi personaggi, dall’altra è dovuta andar via da New York e fondare la sua casa di produzione per poter fare cinema.
Si congeda affermando che tutto sia stato sempre contro di lei ma che non è disposta a fermarsi per nessuna ragione.
Riprendono i lavori per la realizzazione della commedia che scopro essere “A fool and his money”. Non intendo disturbare oltre la regista.
Sono stregato dalla sua caparbietà. L’ho lasciata che, da dattilografa, senza mezzi aveva realizzato il primo film della storia e solo pochi anni dopo la ritrovo ad avere il più grande studio cinematografico del mondo. Sono queste le vicende che, sopra le altre, meritano di essere raccontate.