Avvicinare il mondo del collezionismo privato e delle Gallerie d’arte a quello dei Musei, intesi come luoghi deputati alla fruizione e alla valorizzazione culturale per un pubblico sempre più eterogeneo. E’ questo l’obiettivo della mostra dal titolo “Da Artemisia a Hackert. Storia di un antiquario collezionista alla Reggia”, allestita nella Sala degli Alabardieri, nella Sala delle Guardie del Corpo e nelle Retrostanze settecentesche degli appartamenti storici della Reggia di Caserta, dove sono esposte opere appartenenti al gallerista Cesare Lampronti, fino al 16 gennaio 2020. E’ un percorso espositivo che propone di mostrare il legame esistente tra i dipinti già presenti all’interno della Collezione Reale e le opere della Lampronti Gallery, nonché di esaltare il fascino della pittura nella sua globalità. La mostra si divide in diverse sezioni: una prima parte incentrata sulla pittura del 1600 a Napoli, a Roma, nella regione emiliana e gli artisti nordici, con una particolare attenzione ai fiamminghi. Nelle sale successive l’interesse è rivolto ai vedutisti, a Gaspar Van Wittel, ai paesaggi e alle nature morte. Ad accogliere i visitatori sono i dipinti napoletani, alcuni di caratura caravaggesca e altri di impronta barocca, con temi religiosi e mitologici: opere come “Annuncio a Zaccaria della nascita di Battista” e “Ritratto di donna con breviario” di Massimo Stanzione, si alternano all’ “Adorazione dei pastori” e “Allegoria della pittura” di Bernardo Cavallino, e al “Bagno di Betsabea” di Artemisia Gentileschi e lo stesso Cavallino. In successione si evidenziano gli altri artisti napoletani con dipinti di notevole impatto visivo ed emotivo, tra cui spiccano: il “Martirio di Sant’Apollonia”, “Carnefice con la testa del Battista” e “Il martirio di Sant’Agata” di Salvator Rosa. In quest’ultima tela, la scena raffigura la santa catanese mentre viene messa sui carboni ardenti, dopo aver subito, in precedenza, la mutilazione dei seni. A terra le tenaglie e la testa della divinità che si è rifiutata di adorare e il cui corpo si vede nella nicchia sulla sinistra. Nello squarcio del cielo in tempesta, due amorini simboleggiano il martirio. (L’opera è stata donata dall’antiquario romano Cesare Lampronti alla Reggia di Caserta). Non potevano mancare opere di pittori che hanno dato lustro alla città di Napoli: il “Martirio di San Bartolomeo” e “Martirio di Sant’Andrea” di Micco Spadaro, “Diogene” e “Ercole e Onfale/Aurora e Cefalo” di Luca Giordano, oltre alle tele di Francesco Fracanzano, Mattia Preti e Andrea Vaccaro.
“Martirio di Sant’Agata”- Salvator Rosa
Il Seicento romano, invece, è caratterizzato da numerosi artisti nativi della Capitale o provenienti dalle altre città della penisola italiana. Questa sezione ospita “Giacobbe e Lebano” di Pietro da Cortona, “Sacra Famiglia con Sant’Anna” di Gramatica Antiveduto, e “Cristo e l’adultera” di Orbetto. Interessante è il ritratto di “Eleonora Boncompagni Borghese” di Giovan Battista Gaulli Baciccio. Si nota in quest’opera, l’accurato disegno del volto ripreso di scorcio, la vivezza espressiva, il cromatismo luminoso, la scioltezza pittorica con cui sono dipinti gli accessori, la morbidezza della pittura della scollatura, lo sfarzo barocco dell’esuberante ripresa, rendono il riferimento certo. Il personaggio raffigurato indossa un abito prezioso e una ricca acconciatura con gioielli. Dalla ricchezza potrebbe trattarsi di una donna con dignità regale.
La sala emiliana offre interessanti spunti di riflessione con i dipinti “Eroismo di Muzio Scevola davanti al re etrusco Lars Porsenna” del Guercino, alcune opere dei Carracci, “Studio di testa” e “Madonna in gloria sulla città di Bologna” e “Allegoria della vita” di Guido Cagnacci. In questa tela si assiste ad una esibizione tragica. Se un primo sguardo è attratto dalla corporeità statuaria della donna, le labbra carnose, le braccia tornite, i seni appuntiti, il bacino modellato, subito dopo l’attenzione si rivolge al serpente, alla rosa dai petali leggerissimi, al soffione che un tocco debolissimo può disperdere. Alla destra del quadro, emergono la clessidra, il teschio e la candela appena spenta. Sono elementi che richiamano all’inesorabilità del tempo. Il suo subdolo sotterraneo corrompere ogni illusione anche quando la bellezza dell’essere è al suo culmine. Anche quando la femminilità è all’apice dello splendore.
Proseguendo con il percorso espositivo si giunge alla sezione nordica, che ospita i dipinti dei fiamminghi: “Marte dormiente” di Terbrugghen e bottega, “Allegoria della Primavera” di Abraham Janssens, “Il giudizio di Mida/ Apollo e Marsia” di Cornelis Shut, e tra gli altri, “Sacra famiglia con San Giovannino e Santa Elisabetta” di Peter Paul Rubens.
“Sacra famiglia con San Giovannino e Santa Elisabetta”- Peter Paul Rubens.
La sezione dei “vedutisti”, invece, è incentrata sugli artisti del Veneto, che hanno riprodotto la città di Venezia. Le loro opere, oltre a unire nella rappresentazione topografica architettura e natura, sono caratterizzati dall’attenta resa atmosferica, dalla scelta di precise condizioni di luce per ogni particolare momento della giornata e da un’indagine condotta con criteri di scientifica oggettività. Essi hanno indagato la realtà attraverso il calcolo matematico della prospettiva, e per dipingere le opere si sono avvalsi talvolta della camera ottica. Si alternano in questa sala “Arco di Settimio Severo”, “Venezia, Veduta del Molo verso Ovest, con Palazzo Ducale e Santa Maria della Salute”, “Prigioni” di Canaletto, “Vedute di Venezia – Palazzo Ducale”, “Venezia, una veduta della Chiesa di Santa Maria della Salute con la Punta della Dogana” di Francesco Guardi, “Il portico d’Ottavia” e “Venice, the Grand Canal looking towards the Rialto Bridge” e “The Grand Canal, Venice, Looking East, from the Campo San Vio” di Bernardo Bellotto.
“The Grand Cana, Venice, Looking East, from the Campo San Vio”– Bernardo Bellotto.
Una sezione è dedicata al panorama partenopeo e all’olandese Gaspar van Wittel che ha realizzato una serie di dipinti del golfo di Napoli, tra cui: “Naples, a view of riviera di Chiaia”, “Napoli la darsena” e “Napoli, la Grotta di Seiano (la Grotta di Pozzuoli)”. Altro artista presente in sala è Antonio Joli, con i dipinti “Napoli a Santa Lucia” e “Napoli del Golfo di Pozzuoli”. Nella mostra è esposto per la prima volta a Caserta, il “Porto di Salerno” di Jakob Philipp Hackert, che è il “pezzo” mancante della serie dei Porti realizzata dal pittore per il re Ferdinando IV di Borbone.
“Porto di Salerno”- Jakob Philipp Hackert