Nell’aprile 2000, esattamente 20 anni fa questo mese, usciva nelle edicole italiane il primo numero di Dampyr. Il destino editoriale e narrativo del personaggio all’epoca non era molto chiaro. In origine doveva essere una miniserie per la collana antologica Zona X. Purtroppo la collana chiuse nel 1999, ma il destino di Dampyr era evidentemente un altro. Appena l’anno successivo Mauro Boselli, sostenuto dalle matite di Enea Riboldi, diede vita a un personaggio affascinante, duro e dall’eroismo quasi spietato. Un personaggio soprattutto destinato a durare. In questi venti anni i miti e i pantheon attraversati da Harlan sono stati molti: dalle favole europee alle leggende ctonie di mezzo mondo, fino alle grandi mitologie post-moderne della letteratura di massa. Sempre con lo stesso approccio: una concretezza realistica, quasi carnale, applicata all’immaginario multiforme dell’orrore. C’è sempre stato poco o nulla di metaforico nelle tavole di Dampyr. Soprattutto nelle prime. Qui il “male” non prende le forme figurative e i toni psicologici dell’incubo Sclaviano: l’ossessione degli uomini divenuta minaccia concreta, da esorcizzare attraverso l’indagine e la comprensione, prima che con l’azione. Ma non è nemmeno l’estetizzazione fantastica dello scontro cavalleresco, che attraverso il filtro della magia traduce “le forze interiori” in armi scintillanti e inverosimili. E tantomeno Harlan può essere accostato a Tex, eroe interamente positivo e luminoso, crociato di verità, giustizia e sogno (italo)americano, in una lotta eterna contro ingiustizia e criminalità. Insomma un super poliziotto, in una landa mitica in cui la legge (qui sinonimo di giustizia) c’è e la conoscono tutti. Basta farla applicare con una sei colpi veloce.
Le notti del Dampyr non sono popolate di incubi o di criminali. Sono piene di autentici predatori, affamati, forti, strategici: inarrestabili. Quella contro di loro è una guerra a tutti gli effetti, condotta in modo spietato, paramilitare: con vere armi, non feticci dell’immaginazione; organizzata attraverso elaborate tattiche di guerriglia, di raccolta ed elaborazione dati, di intelligence perfino. Una vera guerra del terzo millennio… contro orrori dell’immaginario pre-moderno.
Non è un caso che le atmosfere da cui tutto partì fossero quelle dilaniate dei Balcani, all’ora percorsi da una guerra sanguinosa. Insomma, al loro apparire Harlan e compagni assomigliavano ben poco a ciò che era familiare all’editoria italiana del tempo. Non agenti dell’ordine buoni e legali, né antieroi criminali, né investigatori interessati alla verità sul mondo e sull’uomo. in E forse nemmeno propriamente eroi. Non nel senso letterario, puro (e quindi puramente formale, vuoto) del termine, almeno. Harlan, Kurjak e Tesla sono stati, fin da subito, soldati. E la frontiera fra notte e giorno attraverso cui su muovono, allora come oggi, corrisponde allo spazio fra due barricate. È la terra di nessuno, il campo di battaglia.
Dampyr racconta dunque concretamente, l’estensione definitivamente incerta, fra vita e morte. Il suo palcoscenico è quello “Stato di natura” in cui letteralmente abita la paura, che si rinnova in ogni battaglia, in ogni guerra. Quando la legge cede il posto al desiderio assoluto. Un posto in cui gli esseri umani non possono essere a proprio agio.
Come tutte le guerre, quella di Harlan sarebbe diventata più complessa e sfumata nel corso degli anni, con rivelazioni e cambi di casacca e alleanze inaspettate. Esempio di questo sfumare degli schieramenti è proprio Draka, padre di Harlan, maestro della notte. E vero protagonista di questo Dampyr 241, “Il cavaliere di Roccabruna”, ravvivato per l’occasione dai colori di Matteo Vattani. Vent’anni dopo Boselli, accompagnato da Majo, torna alle origini della sua creatura per svelarne in qualche modo la “preistoria” con un numero “flashback”. Una sorta di prequel dell’intera saga. E non è un caso che l’ambientazione scelta sia l’Europa del XVII secolo. Un’altra epoca di grandi conflitti per l’intero continente. Anzi, proprio la stagione di quella guerra dei trent’anni che suggerì ad Hobbes la sua ipotesi dello “Stato di natura”. E la sua intera teoria della sovranità.
In questo quadro ancora una volta dilaniato dalla ferocia della guerra, i mostri, i grandi Altri della fantasia popolare, percorrono entrambi gli schieramenti, decidendo le sorti del conflitto in segreto e per segrete motivazioni. Fra loro proprio Draka, incaricato di mantenere l’ordine su un livello che sfugge completamente ai propri alleati umani, di quali tutto sommato, ancora una volta si rivela affascinato. I richiami alle radici della serie sono forti: impegnato in un assedio, viene affiancato da due compagni umani, due nobili fratelli valtellinesi, che anche esteticamente (una bruna, l’altro biondo) non possono far pensare a una sorta di versione “barocca” di Tesla e Kurjak.
Menzion d’onore dell’intero numero per una certa trovata quasi steampunk. Una chicca alla “George Miller”, raffinatamente cafonesca. Poco probabile forse, ma assolutamente divertente. Non è la prima volta, né sarà l’ultima, certo. Tuttavia, questo però il momento in cui Draka ha per la prima volta (?), un’idea. L’idea di uno strano esperimento. Un esperimento rischioso, con pochi precedenti… che avrà un’importanza fondamentale per la serie.
Un punto che rimane per la verità celato nel racconto, per comparire in maniera quasi marginale verso la fine, come a promettere più particolari in seguito. Magari in qualcuno dei prossimi numeri di questo ventesimo anno di Dampyr?
Dampyr 241-Il cavaliere di Roccabruna
Casa Editrice: Sergio Bonelli Editore
Autori: Mauro Boselli, Majo, Matteo Vattani
Prezzo: € 3,9; 16×21 cm; colore; 110 pp.