Efisio Marini nacque a Cagliari il 13 Aprile 1835 all’interno di una numerosa famiglia di commercianti. Era ancora un giovane fanciullo quando iniziò ad interessarsi alla paleontologia, conseguendo poi due lauree, una in Medicina e l’altra in Scienze Naturali a Pisa. All’età di 26 anni, fece ritorno a Cagliari, desideroso di conquistare successo e notorietà negli ambienti accademici cittadini. Riuscì ad ottenere un incarico come assistente presso il Museo di Storia Naturale.
Efisio Marini stava da tempo sperimentando una speciale tecnica di sua invenzione che, diedero l’avvio alle tradizionali metodologie di mummificazione, permetteva cioè di conservare inalterate nel tempo consistenza ed elasticità dei tessuti e dei liquidi organici. Si trattava, in sostanza, di un metodo alternativo attraverso il quale un particolare composto chimico di sua invenzione veniva iniettato nei cadaveri in maniera non invasiva, senza, cioè, praticare tagli o incisioni che ne avrebbero deturpato la bellezza. Egli aveva una vera e propria ossessione verso la pietrificazione dei corpi. L’idea di trasformare un materiale organico in un materiale inorganico, impedendone la putrefazione e permettendone la conservazione nel tempo era un’impresa ardua, che richiedeva studi approfonditi, una dedizione assoluta e tanto duro lavoro.
Nel 1865 si trasferì a Napoli, dove stabilì legami con personaggi del mondo non scientifico come Giovanni Bovio, autore dell’epitaffio tuttora presente nell’atrio dell’università di Cagliari, e Salvatore di Giacomo.
Intanto la sua fama cresceva in tutta Europa e, nel 1867, fu invitato all’Esposizione universale di Parigi in occasione della quale pietrificò il piede di una mummia egizia restituendogli poi la consistenza naturale; grazie a quest’opera ottenne l’interessamento di Napoleone III, che per questo servizio offerto al sovrano, Marini venne insignito della Legion d’Onore.Lo stesso anno l’autorevole rivista medica “The Lancet” gli dedicò un articolo. In quegli anni mummificò personaggi celebri come Luigi Settembrini e il marchese d’Afflitto, ed espose i risultati del proprio lavoro a Vienna, Londra, Parigi,Milano, Torino e Roma dove Marini mostrò la pietrificazione di sangue, organi interni e persino della mano di una giovane fanciulla (conservata a Sassari).
Lo scienziato pietrificò inoltre il sangue, raccolto sull’Aspromonte, di Giuseppe Garibaldi, modellandolo a forma di medaglione – oggetto che donerà all’Eroe dei due Mondi, il quale lo ringraziò con una lettera ufficiale.
Tornato a Napoli riprese ad esercitare la professione di medico, conducendo una vita disagiata, circondato da un alone sinistro creatosi intorno a lui perché viveva circondato da reliquie anatomiche di persone e animali. Spese tutti i suoi averi nelle ricerche e visse nell’ossessione e nella paura che il proprio segreto gli venisse rubato.
Morì a Napoli l’11 settembre del 1900 senza mai rivelare a nessuno le formule per attuare il suo metodo di imbalsamazione.
Le sue opere sono conservate nell’antico Convento di Santa Patrizia, sede del Museo Anatomico di Caponapoli, in teche di legno. Scheletri, mummie, cere anatomiche, ma anche circa 150 feti malformati conservati in formalina e crani datati dal I al XIX secolo. Pezzi, oggi a disposizione degli studenti e dei visitatori provenienti da tutto il mondo, che fanno parte della stupefacente collezione del museo anatomico dell’Università Vanvitelli.