Eutanasia ovvero “buona morte” deriva la sua etimologia dal greco eppure nonostante la sua radice letterale storica stenta ad affermarsi nel panorama giuridico italiano e, in senso ampio, in quello europeo dove solo pochi paesi la riconoscono.
Negli ultimi anni, la questione del fine vita è divenuta dibattito molto sentito e vivace tra gli intellettuali e il mondo cattolico per chi è pro e chi è contro.
L’ultimo caso in ordine di tempo è la storia di Elena, una sessantenne che un anno fa ha scoperto di avere un tumore avanzato e aggressivo ai polmoni; nonostante i primi tempi abbia affrontato le cure necessarie, è arrivata da parte dei medici la sentenza di condanna.
Le rimanevano pochi mesi di vita in cui le sue condizioni di salute si sarebbero aggravate considerevolmente e con grandi sofferenze fisiche.
Elena tutto questo non lo ha accettato e ha optato per la fine della sua vita dovendo però per esercitare una sua libera scelta espatriare verso un paese straniero come la Svizzera che consente l’eutanasia.
Nel suo ultimo videomessaggio, Elena ha provato a fornire le ragioni che l’hanno portata a decidere di morire: “Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere della propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia. Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola”.
E’questo il triste congedo dalla vita di Elena che in compagnia ancora una volta di Marco Cappato si è diretta verso la Svizzera convinta di perseguire il suo obiettivo di un addio silenzioso e meno doloroso per se stessa e i suoi cari.
La dignità di Elena è una cosa che turba; la dignità del suo contegno e del suo dolore nel videomessaggio di chi è costretto a dire addio ai propri cari senza poterli avere vicino fino all’ultimo respiro.
Cappato si è presentato alle forze dell’ordine autodenunciandosi poiché per aver aiutato Elena a morire, rischia fino a 12 anni di carcere per aiuto al suicidio.
La lettera morta delle leggi del Parlamento e l’immobilismo della politica sul tema rendono la problematica ancora più complessa da più punti di vista.
Incombe prima di tutto la questione religiosa.
La presenza ingombrante della Chieda in Italia e dello Stato Pontificio nel cuore del suo territorio rendono il dibattito sbilanciato per i contro l’eutanasia per il rispetto della vita di ciascuna persona e per l’assoluta contrarietà dell’eutanasia ai principi cristiani.
Deve però registrarsi dopo il caso di Elena di qualche giorno fa una apertura della Chiesa non nei confronti dell’eutanasia sempre negata e rifiutata anche nei casi più disperati perché la vita è un dono di Dio e come tale non vi si può porre fine se non seguendo le leggi di natura e ovviamente tutte le cure palliative e terapie del dolore a ciò finalizzate quanto dell’atteggiamento nei confronti di chi sceglie di percorrere la strada dell’eutanasia nei confronti dei quali aumenta il senso di comprensione e compassione umana e per questo il noto rappresentante della Chiesa, il cardinale Zuppi ha dichiarato in conferenza stampa che celebrerebbe comunque un funerale per chi ha scelto una strada come l’eutanasia non priva certo di atroci sofferenze.
Una lieve apertura che però di fatto è un grande varco verso forme di diritto che nel nostro Paese stentano a decollare, anzi con l’affossamento parlamentare la legge sul fine vita di cui si sente sempre più l’emergenza di colmare un vuoto normativo enorme, giace di nuovo ferma nei cassetti dei parlamentari più sensibili al tema.
Non può non evidenziarsi la difficilissima questione etica che si pone per i medici obiettori di coscienza che si rifiutano di praticare Il fine vita.
I più convinti medici che negano l’eutanasia si appellano al Giuramento di Ippocrate che nella sua originaria antenata formulazione vietava di disporre della vita dei propri pazienti.
C’e’ infine, ma non meno importante una questione di uguaglianza.
Il fine vita ha un suo costo e non tutti gli ammalati, anche quelli più gravi hanno uguali possibilità economiche e di conseguenze pari opportunità di decidere per il fine cura!
La lotta di Cappato si basa moltissimo su queste forme di disuguaglianze sociali che divengono sanitarie quando le possibilità di curarsi o di liberarsi di una malattia troppo dolorosa e definitiva non sono uguali per tutti.
La politica arranca su false alleanze e su ibride coalizioni eppure in tutti i programmi politici, il fine vita non è tra le priorità dell’agenda politica per la prossima legislatura e, anche qualora il progetto risorga dai cassetti in cui è stato seppellito dopo il tentativo fallito di farne legge, la speranza di una pari considerazione della rilevanza assoluta della questione è molto limitata e marginale.
Eppure, anche alla luce dei principi cristiani di cui è pervasa la nostra cultura, la sensazione amara è che la dignità dei malati terminali non sia una uguale dignità, quasi non meriti pari considerazione, divenendo oggetto di discussione nei salotti letterari ma non trovando nella forza delle leggi quel necessario rispetto alla vita intesa come scintilla sempre viva e brillante in ogni sua fase ancor di più quando sta per spegnersi per volontà di chi ne detiene l’interruttore principale ovvero la volontà o meno di sopportare sofferenze interminabili e senza possibilità di salvarsi e riaccendersi!