Due triangoli gialli, sovrapposti in modo da formare la stella di David, servivano per identificare gli ebrei. Il triangolo rosso era per i dissidenti politici, quello rosso con la lettera S, invece, per i repubblicani spagnoli. C’erano, poi, il triangolo verde per i criminali comuni, quello viola per i Testimoni di Geova, il blu per gli immigrati e gli apolidi, il marrone per i rom e i sinti, il nero per gli “asociali” e le lesbiche, e infine il rosa per gli omosessuali.
Come risulta da subito evidente, dietro a questi tanti triangoli dai colori più disparati, a queste etichette, orrendamente disumanizzanti, cucite sul petto, c’era la pelle di una varietà umana così vasta da escludere, praticamente, solo i nazisti, gli ariani, ovvero i carnefici e i loro sostenitori. L’elenco sopra riportato ci restituisce la tremenda misura di come le persecuzioni ordite dal nazifascismo abbiano travolto un numero esorbitante di donne, uomini e bambini di quel tempo. A tanti di noi, tra i banchi di scuola, leggendo un libro o vedendo un film su quel periodo, è capitato di chiedersi come sia stato possibile tutto ciò e la risposta, a ben guardare, non può che risiedere, prima di tutto, nell’indifferenza. Questo, del resto, ci testimonia, attraverso i suoi racconti, anche Liliana Segre, senatrice a vita della Repubblica italiana, sopravvissuta da bambina al lager, la quale, recententemente – a riprova di quanto il livello del dibattito politico degli ultimi tempi sia sceso in basso – è stata vilmente attaccata e minacciata, sui social, al punto da vedersi attribuire addirittura una scorta per salvaguardare la sua incolumità. Dunque, mentre il male del nazismo si abbatteva sulle persone, l’indifferenza, il distacco emotivo verso gli altri esseri umani, l’assenza di pensiero critico della cosiddetta “parte sana” era complice silente. In tal senso, viene subito alla mente una poesia attribuita a Bertolt Brecht, rielaborata a partire dai versi del pastore Niemöller, la quale recita:
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”
Ebbene, questi versi ci insegnano, inoltre, che se restiamo impassibili dinanzi alla violazione dei diritti altrui e ai soprusi perpetrati ai danni dell’altro, prima o poi, essi si ripercuoteranno pure su di noi e, a quel punto, non ci sarà nessuno a proteggerci. La Giornata della memoria, quindi, deve servire innanzitutto a tenere presente nel nostro presente che non possiamo permetterci di essere indifferenti soprattutto se consideriamo che, per citare Primo Levi, autore di Se questo è un uomo e La tregua – il quale visse sulla sua pelle l’esperienza del campo di concentramento -, “la peste è spenta ma l’infezione serpeggia”. E in effetti, purtroppo, oggi basta, innanzitutto, accedere sui social o ascoltare i discorsi di tanta gente nei luoghi del nostro quotidiano, per rendersi conto che quella malattia dell’odio striscia in maniera da lasciare sempre di più il segno e si annida ferocemente nelle “brave persone”, nei cittadini comuni. Allora, se vogliamo dare veramente senso all’esercizio della memoria, non possiamo girarci dall’altra parte dinanzi a quelle centinaia di migliaia di post e commenti che sputano veleno, razzismo e omofobia in ogni parola; quelle parole che, per giunta, sono podromiche alle violenze fisiche, che, come ci dicono le cronache, si registrano spesso in tutta Italia. Non possiamo, poi, far finta di nulla davanti a una certa politica che, per tornaconti elettorali e per amplificare il suo consenso, soffia sul vento dell’intolleranza e, tra fake news, teorie complottiste e sturmentalizzazioni degli episodi di cronaca, alimenta una guerra tra ultimi, indirizzando il malcontento delle classi popolari in difficoltà verso le minoranze. Non possiamo restare inermi mentre si normalizzano linguaggi sprezzanti e astiosi.
Antonio Gramsci scriveva: “odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Oggi, pertanto, tocca a noi essere partigiani e per farlo dobbiamo scegliere di non tacere ogni volta che si profila la prospettiva che qualcuno voglia intaccare i diritti nostri o degli altri e la democrazia; perché è meglio prevenire che curare l’infezione. Tocca a noi fare la Resistenza, ricordando la nostra storia e ricordando, soprattutto, di essere umani e in quanto tali predispoti all’empatia, non all’odio.