All’Angelus della Domenica delle Palme, il Papa implora le parti ad un cessate il fuoco immediato e pubblica su Twitter il suo messaggio “Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”.
Si avverte una profonda dissonanza tra l’atmosfera della Domenica della pace per eccellenza, che precede quella di Pasqua e il contesto mondiale, in fibrillazione per un conflitto che presenta ogni giorno una drammaticità crescente nei toni, nei fatti e nei crimini perpetrati nei confronti della popolazione civile, inerme e innocente.
Da domenica scorsa, le immagini del massacro di Bucha stanno facendo il giro del mondo con un effetto dirompente nell’idea della guerra attualmente in atto nel cuore dell’Europa, creando, di fatto, una spaccatura tra il prima e il dopo tale scoperta.
Purtroppo, la guerra non è mai giusta nè necessaria, non cura ma uccide – diceva Gino Strada – per cui è implicito nell’idea stessa della guerra la perdita di vite umane come “incidente di percorso” anche se, a questo punto, probabilmente la soglia di sopportabilità di queste perdite per i russi è molto elevata.
Quello che sta emergendo nei territori precedentemente occupati dai russi è uno stato di devastazione e di accanimento nei confronti della popolazione, una vera galleria di orrori con civili torturati – esisterebbe una stanza delle torture, mutilati, bruciati – vivi -, uccisi, colpiti mentre erano in stazione in attesa di partire e scappare, eliminati a sangue freddo, sparati alla testa o legati, gettati nelle fosse comuni o abbandonati per le strade delle città, come purtroppo le immagini, anche satellitari consegnano nella loro atroce tragicità.
E i racconti che si susseguono di ora in ora accrescono la crudeltà e la spietatezza di comportamenti che a tutti gli effetti portano una solo possibile qualificazione giuridica: sono crimini di guerra ovvero “una violazione punibile, a norma delle leggi e dei trattati internazionali, relativa al diritto bellico da parte di una o più persone, militari o civili. Ogni singola violazione delle leggi di guerra costituisce un crimine di guerra“.
Sembra paradossale parlare di violazione delle leggi di guerra, ma uccidere civili in modo cruento, torturare cittadini inermi, usare armi vietate e saccheggiare le città occupate identificano il concetto di crimine di guerra e come tale perseguibile, seppure nel caso specifico, la mancata sottoscrizione della Convenzione di Roma istitutiva della Corte Penale Internazionale da parte degli attori principali della vicenda pone un problema di limitazione della sua sovranità decisionale, anche se il presidente ucraino ha esplicitamente interpellato la Corte in parola.
Dai resoconti di guerra, arrivano racconti dell’orrore di una sorta di tiro a segno organizzato da parte dei cecchini russi contro le auto in fuga di civili ovvero rapimenti e stupri di donne ovvero, ancora, violenza nei confronti di civili messi di fronte alla scelta di decidere se morire subito o lentamente (da testimonianze dei sopravvissuti nei luoghi dell’orrore)!
E i russi, dal canto loro, non solo oppongono il loro fermo diniego al verificarsi dei massacri e delle torture, anzi, rilanciano, con assoluta risolutezza, la loro accusa al governo nazista di Kiev di aver manomesso delle immagini e dei contesti delle città invase, creato ad hoc una messinscena con comparse che si fingono morte per strada e mistificato una realtà non esistita davvero e comunque non per mano russa.
Non solo nella Russia, ma anche nel nostro paese, qualche parola dissonante che pone dubbi sulla verità della guerra e dei crimini di cui Mosca è accusata, sono state avanzate da diverse parti.
La necessità di anteporre conoscenza e serietà delle fonti non distoglie lo sguardo sulle atrocità commesse che difficilmente potranno trovare una verità diversa da quella lapalissiana della verità della guerra che non guarda in faccia a nessuno, che abbrutisce l’essere umano, enfatizza le distanze e lacera l’empatia emozionale.
Sicuramente, la guerra di propaganda in atto pone l’esigenza di equidistanza e di un’equa interpretazione dei fatti, ma ciò che appare lampante anche agli occhi degli inviati di tutto il mondo non può rimuovere la violenza delle immagini raccapriccianti, ormai impresse nelle nostre menti.
“L’Umanità è andata in frantumi“, ha dichiarato sconvolta Ursula Von Der Leyen in visita a Kiev, e in particolare a Bucha, sempre più aperta ad ospitare leader europei, in una fase quasi di rinascita e di ripresa del possesso dei propri spazi di libertà e delle proprie strade minacciate dai russi fino a poche settimane fa, quando di colpo è stata invertita la strategia di guerra degli invasori, ora orientata nella parte sudorientale, sotto minaccia di un attacco cruento che preclude qualsiasi possibilità di tregua e pace così implorate da più parti.
Che margini si possono avere, allora, per la pace invocata in modo molto accorato dal Papa?
I toni tra le parti nel conflitto sono sempre più forti e tesi, ma anche tra gli USA e il Cremlino, l’Europa e il Cremlino, l’Italia e il Cremlino…
Fanno temere il rischio di una escalation drammatica per tutti, poiché si parla tanto di diplomazia come unica via possibile per la pace, ma, nei fatti, la diplomazia è stata messa in soffitta con la pantomima dei negoziati e Putin è sempre più incattivito e all’angolo, per le sanzioni e la chiusura di una parte dell’Occidente già inviso da Mosca e ora considerato nemico al pari dell’Ucraina.
L’acuirsi dei rapporti internazionali e le mille scivolate diplomatiche di Biden, unite alla sua incapacità di gestire, come interlocutore privilegiato, una crisi mondiale di tale entità, rendono complessa la situazione e non fanno vedere spiragli di luce nel breve.
L’appoggio all’Ucraina, l’accoglienza dei rifugiati ucraini, prima di tutto donne e bambini, la difesa dei valori fondamentali di libertà e democrazia, scelti consapevolmente dalla gran parte della popolazione ucraina, soprattutto nelle ultime elezioni presidenziali, sono elementi imprescindibili, perchè non può non essere chiaro da che parte stare, perchè c’è stato uno Stato invasore ed uno Stato invaso, ma c’è un “ma” grande così laddove nessuno dei leader europei riesce a trovare un varco per parlare con Putin e comprenderne, se non le ragioni, in alcun modo condivisibili, quantomeno gli spiragli di una soluzione di compromesso anche territoriale della guerra ovvero della operazione militare speciale, in modo da uscire da questo incubo infinito di un conflitto violento e senza sosta.
A queste notizie si aggiunge la scoperta sconvolgente della manomissione della zona territoriale intorno a Chernobyl, scavata a mano dai soldati russi per costruire trincee, con gravi danni per la loro salute e il rischio gravissimo dell’utilizzo di 133 sostanze radioattive letali sottratte non si sa per quale malsana idea o scopo.
Insomma, a più di un mese dalla guerra e in compagnia dell’immancabile Maratona Mentana, tutti i dì della settimana, anche i festivi, con l’esperto politologo Dario Fabbri, la guerra scorre dinanzi ai nostri occhi, inenarrabile e atroce, in una sopita assuefazione che va scongiurata perchè la sensibilità e solidarietà siano sempre vive.
Non si può accettare una guerra in casa nostra, perchè anche se a tre ore di volo da noi, la guerra in Ucraina è dentro le nostre case, ci appartiene e non ci lascia indifferenti.
Peraltro, all’effetto tremendo della guerra si somma in contraccolpo economico che sta cominciando a produrre i suoi primi effetti collaterali, con l’aumento – in alcuni casi, completamente ingiustificato – del prezzo di tutti i prodotti, non solo alimentari, del costo energetico e del carburante.
Nel frattempo, il muro contro muro tra Putin e Draghi che definiscono indecenti l’uno le sanzioni, l’altro i massacri di civili, non tranquillizza, per niente, le acque.
La possibilità della “shrinkflation” è dietro l’angolo.
Il fenomeno, diffuso in America in periodi di inflazione, consiste nel rimpicciolire le dimensioni delle confezioni dei prodotti, lasciando il prezzo invariato: un piccolo trucco di marketing che può ingannare i consumatori, costretti già ad affrontare l’elevato aumento dei costi su vasta scala.
E così Draghi, durante la conferenza stampa in settimana, avrebbe, per avvalorare la scelta governativa di un efficientamento energetico e di una riduzione dei consumi, dichiarato, con un pizzico di provocazione, “Vogliamo la pace o il condizionatore acceso?“.
Da un economista come il nostro Premier, non ci aspetta una boutade di tale portata, anche perché, a prescindere dalla battuta infelice in se in questo momento storico, la risposta non può che essere unica: rinunciare al condizionatore per una pace sicura.
Ahimè! La risoluzione non è così alla portata e soprattutto alla nostra portata, visto che se dovesse scegliere il popolo europeo non sarebbe che per la pace, subito e senza alcun dubbio; non basta, dunque, caro Premier, la rinuncia a consumi personali egoistici per fermare le armate di guerra.
Il problema è che l’aumento del costo dei carburanti si ripercuote su tutto il ciclo economico in atto, e quindi le famiglie e le imprese si trovano ad affrontare un periodo di grave contingenza economica sia per i consumi delle materie prime che delle fonti energetiche i cui effetti già sono arrivati in maniera prepotente nelle prime bollette e nelle prime liste della spesa.
E da un Presidente del Consiglio dei Ministri, ci si aspetta aiuti e sostegni per famiglie e imprese in difficoltà e non la bieca accusa di voler stare al fresco dinanzi ad un condizionatore, in una Europa peraltro pacifista, da sempre, perchè non vuole la guerra, seppure il dialogo con i grandi leader mondiali come Biden sta sfuggendo un pò da certi argini diplomatici fondamentali.
Forse tutti dovrebbero imprimersi in mente prima della crisi economica, prima degli interessi per la vendita di armi, prima di frenare l’avanzata di Russia, Cina e India, prima di un’affermazione della propria potenza che la “La guerra è un atto contrario alla ragione umana e a tutta la ragione umana” (Lev Tolstoj).