Mi sono sempre chiesto come mai la delicata tematica non fosse ancora stata trasposta in una pellicola cinematografica, ed eccoci qua. Gianni Amelio rivisita le vicende di uno degli uomini più potenti di sempre in Italia, e passa al microscopio gli eventi.
Arrivati agli albori del 2000, la situazione è questa: Craxi va via dall’Italia per raggiungere i lidi tunisini di Hammamet, dopo esser stato oggetto di una condanna in via definitiva per corruzione e finanziamento illecito. Lo seguono la consorte e sua figlia; il secondogenito, invece, è ancora in Italia, al fine di preservare, per quanto possibile, l’immagine paterna, ora offuscata dalle fattispecie criminose in cui è rimasto implicato. Ancor più delicato l’aspetto che comporta una tara non trascurabile. Ovvero una eredità politica a dir poco complicata da gestire, anche laddove i numerosi venti contrari che iniziano a levarsi nell’etere politico, anche a partire da quelli che erano “amici”, non lesinano a spirare forte, e in direzione opposta.
L’ormai ex segretario non intende considerare la sua come una “fuga”, quanto come un “esilio volontario” che, ovviamente, provoca inevitabili ripercussioni.
Non in molti ne seguono le sorti da vicino in terra africana: Fausto, il figlio dell’ex compagno di partito Vincenzo, suicida dopo essere stato inquisito dal Giudice, e un Ospite, suo “avversario, mai nemico”. Siamo al crepuscolo dell’esistenza del Presidente. Una discesa ripida lungo i rivoli di un’attività politica che lo porterà a una condizione nuova, diversa, di certo non migliore della precedente. Avvinto da malattia, rimorso e solitudine: si narra in prima persona, e la sua “deposizione postuma” è affidata alla telecamera di Fausto; il quale, nella sua sacca, cela la presenza di una pistola.
Tramite il dipanarsi delle varie sequenza, il regista (Gianni Amelio) sfoglia con oculatezza uno dei capitoli più pregnanti dell’italica storia politica, rispetto alla quale, com’è ovvio almeno quanto è frequente, vige il criterio della duplice visuale, donde una gamma di possibili quesiti: Craxi era un “maleducato, manigoldo, malfattore, malvivente e maligno”, oppure un uomo dalla statura fisica e politica imponente “circondato da nani”, bersaglio di una “congiura contro la sua persona” più che contro un sistema di cui “tutti facevano parte”?
Amelio&Co preferisce non optare per alcuna delle eventualità che la complessità dello stesso protagonista ripone su entrambi i piatti della bilancia dell’opinione pubblica, scegliendo di focalizzare a riguardo dell’umanesimo di Bettino Craxi oltre che quella, non necessariamente coincidente, che attiene alle vicende che lo riguardano come personaggio pubblico.
In questo, Amelio vira decisamente sulle contraddizioni di un popolo, quello italiano, sovente incline a salire sul carro del vincitore, salvo poi celermente ridiscenderne, fino ad arrivare al punto da smentire di avere mai appoggiato il personaggio, ormai nella sua fase di declino.
La scelta, a partire dallo stesso Craxi (interpretato da un superbo Pierfrancesco Favino) è chiamato con il suo vero nome, ciò comportando l’ovvio insorgere del quiz “Abbina l’attore al personaggio reale”.
Ed ecco che sono molte alte le possibilità che Vincenzo (Giuseppe Cederna) potrebbe essere Moroni, così come, parimenti, non ci vuole molto a capire che l’Ospite (Renato Carpentieri) corrisponda a Fanfani, così come invero non si può non comprendere che il Giudice sia Antonio Di Pietro, e così via.
Rilevante è la capacità di riprodure un contesto cangiante e in ogni modo nella sua fase crepuscolare, relativa al precipizio in cui l’uomo, il “Presidente”, è finito per cadere. Una storia personale piena di acuti, come il 45esimo Congresso del PSI, ove quasi assurgeva a divinità pagana. Tuttavia, il regista si riserva una spuntatura narrativa, deponendo garofali al suolo: come segno premonitore di un partito che cadrà nel burrone scavato dalla vanità e dall’esuberante condotta di quel leader, salito anche alla carica di Primo Ministro. In proposito, l’apporto in musica di Nicola Piovani accompagna, come un veggente, lo sfibramento progressivo dell’Internazionale, di fatto prefigurando la demolizione del Partito Socialista Italiano.
Amelio rapporta la figura imponente di Craxi ai suoi spazi, da quelli esaltanti del Congresso a quelli spogli della Tunisia nei quali è impossibile nascondersi (come già ne ‘Il primo uomo’), mettendo a confronto l’infinitesimalità dell’Uomo, anche il più potente, con l’immensità dell’ambiente che lo circonda (come ne ‘La stella che non c’è’). All’interno della storia giganteggia Pierfrancesco Favino, cui ‘Hammamet’ appartiene tanto quanto ad Amelio, che incarna un Craxi più vero del vero nella voce, nel gesto, nella postura, e soprattutto nell’essenza drammatica. La sua non si limita ad essere una metamorfosi nel fisico e nell’aspetto (molte le ore di trucco), ma l’interpretazione magistrale di un uomo dominato da pulsioni contrapposte: egocentrismo e senso dello Stato, orgoglio e arroganza, pragmatismo politico e assenza di cinismo.
Ad adiuvandum del lento dipanarsi della matassa craxiana Amelio allinea spezzoni di film (‘Le catene della colpa’) e canzoni (“Cento giorni”, “A modo mio”, che nel suo “quel che sono l’ho voluto io” ricalca il “My Way” di Frank Sinatra), commuta la Crisi di Sigonella in una battaglia fra soldatini, fornisce a Stefania Craxi (il cui nome è qui riformulato in Anita, ben espressa da Livia Rossi) il ruolo di vestale e a Bobo quello del “cretino” (al contempo, tuttavia, facendolo assurgere a detentore di una somma dignità filiale).
Debole il personaggio di Fausto, interpretato da un non convicente Luca Filippi, che sprofonda nell’anominato al cospetto di un Favino che, come unico vero competitor del cast, annovera un altro top come Renato Carpentieri; che, nelle vesti dell’Ospite, elargisce l’ennesima lezione di recitazione, segno che la classe recitativa di chi può disporne non ha tempo.