Sempre più studi confermano un allarmante collegamento tra i disturbi dell’alimentazione, quali anoressia nervosa, bulimia e binge eating disorder (alimentazione incontrollata fatta di abbuffate) e di forme depressive nei giovanissimi e l’uso smodato dei social.
Nello specifico, i disturbi del comportamento alimentare comportano una lenta alterazione delle abitudini a tavola, connessa alla forte preoccupazione per l’eliminazione del peso corporeo, ritenuto in eccesso, fenomeno particolarmente presente nella fascia preadolescenziale, seppure negli ultimi anni con un abbassamento allarmante della media di età che si aggira intorno ai 10/12 anni rispetto ai 16/18 degli anni passati.
Il malessere insorge per un rapporto non sano ed equilibrato con il cibo con un elemento caratteristico onnipresente, consistente in un’alterazione della propria percezione corporea che nella maggior parte dei casi non corrisponde affatto alle dimensioni reali delle proprie forme, del proprio peso e dei propri difetti, vissuti come inaccettabili e come troppo elevati rispetto alla realtà con una deviata percezione di come si è e di quanto si pesa.
Alla base delle patologie alimentari, risiede una profonda grave insoddisfazione dei ragazzi e delle ragazze per le caratteristiche del proprio corpo e, in una società come quella attuale che vive di input quotidiani sui social, l’influenza devastante di una cultura dominante che punta sui canoni di bellezza e perfezione fisica, tendenzialmente, impossibili da raggiungere sta complicando la gestione delle emozioni e della responsabile autoconsapevolezza di se.
Con l’avvento dei social media, tutti possono condividere una immagine sul proprio profilo come in una vetrina da esibire, conformemente ad una perfezione socialmente – idealmente – accettata, anche perchè con l’uso dei filtri, l’immagine condivisa il più delle volte è lontana dalla realtà, e di qui la voglia di trasformarsi, di rinunciare a quel kg di troppo, di ricorrere ad un ritocchino del naso o delle labbra, in un tunnel di inaccettazione inarrestabile da cui è difficile uscirne senza ferite profonde.
Per gli adolescenti, che vivono per di più una delicatissima fase dello sviluppo fatta di vulnerabilità, di incertezza, di ricercata definizione della propria personalità, di voglia di identificazione con il gruppo dei pari, affrontare una realtà distorta fatta di esibizione sui social di un se che spesso non esiste, la frustrazione è dietro l’angolo con l’inevitabile sperimentazione di insoddisfazione verso il proprio corpo e verso il proprio modo di essere.
E non è impossibile che i ragazzi, proprio attraverso l’ausilio dei filtri messi a disposizione dei sociale, si presentino, sempre più prematuramente, dai chirurghi estetici, per trasformarsi nell’immagine che auspicano di se.
Va da se che in soggetti inclini all’insoddisfazione corporea, il mancato raggiungimento dei canoni di bellezza normalmente accettati, accelera il processo di riduzione drastica dell’autostima, con l’intromissione di sentimenti di sconforto, di disagio e di una lenta prevaricante svalutazione della propria persona.
L’alimentazione diviene allora una valvola di sfogo, disordinata, caotica, ossessiva, tale da compromettere la possibilità di consumare un normale pasto e, al contempo, l’attenzione per l’aspetto fisico diviene maniacale e insostenibile tanto da condizionare l’esistenza stessa dei soggetti che ne sono coinvolti.
Nei pochi centri in Italia, destinati all’accoglienza di chi soffre di disturbi alimentari (i cui numeri sono sconvolgenti con cifre quintuplicatesi negli ultimi anni), quando arrivano ad essere addirittura ricoverati, i ragazzi e le ragazze sono in pericolo per la propria vita.
Si assiste non solo ad un preoccupante abbassamento della soglia di età con bambini anche di 10-11 anni che entrano nell’incubo e nel tormento dell’ossessione alimentare e del dimagrimento a tutti i costi, ma ad una concomitante pervasione dei social nella dinamica dei disturbi alimentari nella maggior parte dei casi.
Questo perchè purtroppo, nonostante l’allarme lanciato da più agenzie a livello mondiale, i social non solo propagano immagini di corpi perfetti e statuari, bensì condizionano di fatto le scelte acuendo le fragilità dei giovanissimi, spesso disarmati e senza strumenti di fronte agli attacchi subdoli che ricevono dai contenuti social.
Nel mirino, soprattutto, TikTok che con la sua dinamica ossessiva di scorrimento di immagini e brevi video violenti e ripetitivi, attraverso una serie di algoritmi, permette anche ai più piccoli, in possesso del cellulare e dell’accesso al social, anche senza averne l’età , di conoscere, vedere, assistere a contenuti da brivido.
Basta indirizzare gli algoritmi verso contenuti come ansia da dimagrimento, attenzione pervasiva al proprio corpo, pratiche ossessive e autolesive, ricerca del controllo dell’alimentazione, metodi per vomitare, per farsi del male, con belle in mostra foto di corpi scheletrici, senza forme e segnati da lividi e autolesionismo, con strategie per mimetizzarli, che come per una perfida stregoneria, si aprono vetrine terrificanti di corpi scheletrici, di cerotti e tatuaggi improvvisati per nascondere le ferite inferte al proprio corpo, con strategie per dimagrire più velocemente possibile rinunciando ad assumere qualsivoglia forma di cibo e sostentamento.
Paradossalmente, il ricovero di una struttura non è considerato come il punto più grave della manifestazione della propria patologia, quanto al contrario, e questo dà il senso della drammatica narrazione della situazione adolescenziale attuale, giungere a sopravvivere su un lettino grazie ad un sondino infilato nel naso, risuona come qualcosa di trionfante, in modo perverso, come aver raggiunto l’insuccesso totale con il massimo risultato possibile ovvero essere ad un passo dal baratro.
La media dell’uso dei social media da parte degli adolescenti è di quasi tre ore al giorno, ma la percezione che i ragazzi hanno del tempo trascorso in compagnia del cellulare non è realistica in quanto spesso il cellulare non viene spento mai per cui può capitare di essere svegli di notte distratti dai contenuti social e di alterare completamente il ritmo biologico giorno notte, con tutte le conseguenze in termini di attenzione, concentrazione e presenza di se.
Si qui la necessità di un approccio multidisciplinare che vede coinvolti tutti, scuola, genitori e sanità pubblica per andare ad individuare i primi segnali di allarme e intervenire prontamente nel guidare l’uscita dal tunnel.
Per chi ha vissuto un percorso tanto doloroso, come la rinuncia estrema al cibo o l’infame violenta voglia di abbuffate, sa che si può uscire dal tunnel solo se spinti da una propria volontà e consapevolezza.
Quello che spesso manca nelle ragazze è proprio la molla di cambiare vita; l’identificazione coi propri idoli, l’auspicio di raggiungere forme perfette, il terribile rapporto con lo specchio, il desiderio subdolo di farsi tanto del male e di farlo anche a chi sta intorno, vanno curati, accompagnati, corretti.
Al di là del supporto psicologico, andrebbe accresciuti i centri in grado di sostenere e accogliere chi vive queste drammatiche esperienze di dolore.
Lo scorso 11 marzo, Ilenia Belotti è morta a 25 anni in seguito a una grave forma di anoressia pur avendo aspettato a lungo di ricevere le cure adeguate. Purtroppo, le liste d’attesa, anche nella sua regione, la Lombardia, erano talmente lunghe da aver aggravato la sua condizione fino a un punto di non ritorno.
La mamma ha denunciato “I medici ci avevano detto che Ilenia era troppo grave, doveva tornare a casa e aspettare di morire oppure ricevere le cure palliative in un hospice“.
La ragazza non ce l’ha fatta e nonostante il desiderio di vivere, la sua malattia le ha spezzato per sempre le ali, con l’inevitabile concorso di colpa delle istituzioni che non sono state in grado di offrirle un posto per riprendere in mano la sua vita e sconfiggere un male che può essere sconfitto solo con una rete reale ed efficace di relazioni, collaborazioni, assistenza e vicinanza ai ragazzi e alle loro famiglie, sconvolti da un dramma di questa portata.