Certe volte certe storie iniziano per puro caso, ed è proprio il caso che durante l’ultimo Salone del Libro di Napoli, ho avuto la piacevole esperienza di conoscere Bruno Sacco e soprattutto il suo splendido romanzo “Artemisia e gli occhi del diavolo”, edito dalla casa Editrice Kairòs. Usare il termine “splendido” per quest’opera risulta riduttivo, perché la il racconto è la perfetta fusione fra Storia e Fantasia, il trionfo di una narrazione che lascia con il fiato sospeso e incuriosisce, pagina dopo pagina. La Napoli del seicento, ambientazione principale del romanzo, è descritta nei minimi particolari, proseguendo nella lettura ci si immerge a pieno in quelle atmosfere, dote rara di questi tempi poter leggere e respirare una scrittura così. E poi ovviamente c’è Lei, la protagonista, che l’autore ci illustra nei più piccoli particolari, ne svela la psiche, le debolezze e le sue grandi virtù. Un lavoro straordinario risiede nei dialoghi, dove Bruno Sacco svela una certosina ricerca del linguaggio dell’epoca, riuscendo a non banalizzare né appesantire la narrazione, passando dal popolare napoletano dell’epoca allo spagnolo, riuscendo ancora una volta a catapultare il lettore in quella Napoli che ancora oggi ricopre un ruolo importante nei ricordi della tradizione Partenopea. In definitiva un romanzo che nella vostra libreria non deve proprio mancare!
Iniziamo con una domanda facile, come nasce il libro?
Preliminarmente voglio ringraziare Enrico Pentonieri per le bellissime parole spese per il mio romanzo. Vengo ora alle risposte. La prima domanda è solo apparentemente facile. Infatti non è mai semplice per uno scrittore ricostruire il processo di ideazione di un’opera narrativa. Mi limiterò a dire che hanno concorso in modo preponderante due fattori: il mio antico interesse per la cultura napoletana (intesa in senso lato) e la “scoperta” di Artemisia Gentileschi come personaggio già potenzialmente “da romanzo”. Mi ha molto aiutato anche la circostanza delle scarse notizie biografiche esistenti sugli anni napoletani della pittrice.
Quanto tempo ha dedicato alla ricerca per riuscire a descrivere così bene le ambientazioni?
Il romanzo nasce quando già “a monte”, come si suol dire, c’era una lunga frequentazione dei molteplici aspetti della Napoli seicentesca. Naturalmente ho dovuto riapprofondire determinati temi, in realtà senza escluderne nessuno, perché il mio proposito era quello di dare un’immagine di quella realtà il più possibile onnicomprensiva. D’altra parte, da sempre, uno degli errori maggiori che si commettono nel tentare di rappresentare Napoli è quello di isolarne alcuni aspetti, magari quelli più eclatanti, trascurandone altri. Napoli è un unicum inscindibile, sempre.
Una cosa che mi ha colpito sono i dialoghi, i suoi riescono a caratterizzare bene i personaggi, come è riuscito a differenziare i vari personaggi?
Un personaggio di un romanzo, per essere credibile, deve “nascere” con una caratterizzazione complessiva che include l’aspetto fisico, le circostanze biografiche, la psicologia, il modo di operare, e non ultimo il modo di esprimersi. Se manca, o non riesce bene, anche una sola di queste componenti,il personaggio non acquisisce quella vita autonoma che gli permette di trasformarsi, nell’immaginazione del lettore, da creatura letteraria in creatura vivente.
Artemisia rappresenta una rivalsa, considerando l’epoca in cui è vissuta, cosa rappresenta per lei?
Ho sempre ammirato le figure femminili che, nonostante i secolari pregiudizi che sono gravati e in parte gravano ancora sulle donne, sono riuscite ad imporre la loro personalità. Artemisia è stata una di queste. Devo aggiungere una cosa: mi ricordo che nel mio testo liceale di Storia dell’Arte alla Gentileschi erano dedicate solo poche frettolose righe. Solo recentemente la sua pittura e la sua figura di donna sono state rivalutate, forse da Roberto Longhi in poi. Da qui una “seconda rivalsa” per lei, dopo quella conquistata in vita con il suo potenziale artistico e umano.
A chi è rivolto il romanzo? Chi potrebbero essere i suoi lettori?
Ho curato molto il contemperamento di due aspetti che a volte sembrano difficili da conciliare: il rigore culturale da un lato, la leggibilità dall’altro. Un romanzo è un’opera di narrativa, e pertanto deve raccontare una storia, isolare e costruire sulla pagina un frammento di vita, tenendo desta l’attenzione del lettore, inducendolo a una “partecipazione emotiva” che lo immerga virtualmente nella vicenda narrata. Dunque il mio romanzo non è rivolto a una cerchia selezionata, ma a una vasta gamma di lettori. A giudicare dalle osservazioni che ricevo – sia da parte di lettori culturalmente qualificati sia da parte di semplici “consumatori di romanzi” – mi illudo di esserci almeno in parte riuscito.
Oggi ci sono troppi scrittori e pochi lettori, cosa dovrebbe cambiare nell’editoria?
L’editoria dovrebbe essere più severa nella selezione qualitativa. Per gli editori, ovviamente, l’importante è vendere i libri, ma spesso si trascura il fatto che alla lunga la qualità paga sempre. Aggiungo altri due aspetti negativi. Il primo è la deplorevole abitudine di alcune case editrici di pubblicare libri facendosi finanziare, in tutto o in parte, dagli autori. Questo impedisce di fatto la selezione qualitativa, per cui finiscono sul mercato prodotti mediocri o scadenti. «Tu paghi e io ti pubblico», è la condanna a morte del merito. Il secondo è che si trovano sempre più spesso in libreria opere scritte da personaggi resi noti dalla televisione o dal cinema, ma delle cui doti letterarie è lecito dubitare (quanti saranno i ghostwriters in azione?). Ma si sa, il nome richiama più della qualità. Purtroppo la cosiddetta “legge del mercato” è impietosa, e l’editoria (in special modo quella piccola) è in grave sofferenza. Ma quanti libri di qualità sono condannati a restare nel limbo, a vantaggio di pubblicazioni di scarso valore?
Progetti futuri?
Sto lavorando, d’intesa col mio editore, alla sceneggiatura del mio romanzo, che a giudizio di tanti si presta molto a una trasposizione televisiva o cinematografica. Inoltre ho in fase di completamento un altro romanzo, che però avrà un’ambientazione del tutto diversa dal primo. Non dico altro per la ben nota scaramanzia che contraddistingue gli scrittori. Infine, quando ho tempo, mi dedico a sistemare e/o incrementare la mia produzione di poesia, alla quale tengo molto.