“Il silenzio è d’oro”…L’intervista di Chi l’ha visto a Parolisi, condannato a 20 anni di carcere per l’omicidio della moglie Melania Rea 12 anni fa il cui corpo fu ritrovato abbandonato in un bosco martoriato da coltellate e non solo, da gratuite sevizie per depistare gli inquirenti, ha riaperto il dibattito, anche a sfondo costituzionale, sulla valenza o meno della funzione rieducativa della pena.
A sentire le parole di Parolisi, qualche dubbio viene perché nonostante gli anni di carcere, una sentenza di condanna definitiva a cui ancora oggi il reo si oppone con vigore e la possibilità di usufruire di permessi premio per uscire dal carcere per lavorare, le frasi pronunciate alla giornalista Rai sono inequivoche su una forse fallimentare efficacia della sanzione inflitta non foss’altro per la carenza totale di compassionevole pietà per Melania che non c’è più e per la loro bambina, ormai adolescente.
Desta, difatti, non poche perplessità la sua narrazione della storia” uguale uguale” a quando era in stato di accusa e ribadiva la sua innocenza, descriveva la routine quotidiana fatta di abituali tradimenti e relazioni extraconiugali e le vicissitudini familiari come l’invasione nella loro coppia da parte della suocera per provare a scagionarlo di una colpa tanto terribile come l’assassinio della sua compagna di vita.
E non è bastata l’indignazione immediata della famiglia di Melania che chiede continuamente rispetto per chi non c’è più, a questa si è aggiunta una difficile condivisione del racconto di Parolisi da parte della gente comune.
Mentre è assolutamente legittimo che chi sconta la pena debba avere la possibilità di un riscatto sociale e di una seconda possibilità, la normale sensibilità esigerebbe, in situazioni come queste, il silenzio di chi sta vivendo una nuova vita per quanto difficile sia, data l’onta che si porta addosso, soprattutto laddove questi anni vissuti nel silenzio di una cella con una sentenza di condanna dura e gravemente sanzionatoria , avrebbero dovuto portare ad una consapevolezza del proprio agire e alla decisione di prendere le distanze da ciò che è avvenuto per recuperare un po’ della propria dignità di uomo .
Il fratello di Melania più volte ha ribadito con sdegno che se Parolisi si riconosce come uomo lui se ne dissocia per pensieri, parole e azioni!
Parolisi, purtroppo, in modo infelice e dannoso per se stesso, ha dimostrato che non è cambiato nulla, gli anni di carcere non ne hanno scalfito minimamente le responsabilità e agevolato il pentimento, fondamentale presupposto alla base di una necessaria opera di rieducazione e di riaccesso alla società.
Succede ancora, ancora e ancora che la vittima anche quando ormai non c’è più venga colpevolizzata per essere finita così…
E’ la logica perversa dei femminicidi più atroci laddove obiettivo è annientare l’altro e farlo scomparire dietro una coltre di potenziali responsabilità.
E così Giulia Tramontano era un ostacolo da eliminare, lei e il suo bambino; la povera Melissa era un elemento scomodo o forse una donna desiderata che ha respinto e per questo ha pagato in modo atroce a soli 17 anni…donne uccise per mano di chi dichiarava di amarle ma, di fatto, eliminate in modo atroce perché scomode, ribelli, non più innamorate e disposte ad accettare certe logiche di potere e sopruso.
Parolisi non si allontana da questo tipo di narrazione nemmeno dopo più 10 anni di carcere, un lungo processo, una grande indignazione popolare, un caso di cronaca che ha sconquassato l’opinione pubblica per l’efferatezza del delitto, dovendo ormai fare i conti esclusivamente con la verità giudiziaria che lo incatena alle sue responsabilità…invece nell’intervista l’ex militare insiste sulla indipendenza economica che concedeva alla sua povera Melania perché non voleva che lavorasse e, nel frattempo, la tradiva e viveva una vita parallela fatta di tutto ma non di lei
Melania ha pagato la colpa di avere una madre invadente e a nulla è servito, allora come ora, nemmeno la presenza di una figlia che avrebbe dovuto arginare risentimenti e non riaccendere un dolore nei familiari di Melania che piangono non solo la perdita ma anche la insolenza di un racconto che sembra oltraggioso e indelicato…probabilmente lo scontro duro con la realtà che Parolisi troverà all’esterno (e che teme per gli inevitabili pregiudizi legati alla sua condizione) e che non accetterà con tanta disinvoltura il suo re-ingresso in società, potrebbe finalmente avviare un processo di consapevolezza e autocritica indispensabile per una vera costruzione della propria nuova personalità.
Peccato che anche in questo caso si sia perso il punto di vista delle vittime…che restano sullo sfondo costrette ad un silenzio atroce mentre chi dovrebbe scegliere il silenzio, continua a parlare…
Come sta accadendo nel fatto di cronaca diffuso in questi giorni che vedrebbe coinvolto il figlio della seconda carica dello Stato.
Senza entrare nel merito delle responsabilità e delle colpe che solo le indagini e un giusto processo potranno conclamare in modo oggettivo nel rispetto delle leggi, resta la bruttura di una narrazione di parte che ha visto automaticamente nella donna una potenziale se non colpevole, corresponsabile…quasi correa!
Probabilmente anziché provare a difendere delle posizioni improbabili quantomeno sotto l’aspetto del buon gusto e del rispetto delle parti,anche ad opera dei colleghi del governo o di compagni di partito, la saggezza antica suggerirebbe ancora una volta il silenzio …
il garbato rispettoso silenzio quando possono essere toccate le sensibilità, le emotività e le esistenze di tutti i protagonisti della vicenda…il silenzio non avrebbe consegnato la volontà ancora una volta di una narrazione al maschile colpevolista nei confronti della donna disinvolta o, meglio descritta come tale, alibi perfetto per colpevolizzare e non responsabilizzare.
A mio parere, anche in questo caso il silenzio sarebbe stato d’oro per tutti coloro che ruotano intorno alla vicenda, compreso il presunto responsabile, per non cadere nella logica maschilista del “se l’è cercata” ancora troppo imperante nelle menti piccine degli affezionati alle leggi talebane di negazione dei diritti delle donne.
Il doveroso silenzio che merita chiunque viva in prima persona o accanto ad un proprio caro l’esperienza della violenza, della brutalità e ferocia dei femminicidi e della drammatica tristezza di chi ha perso una madre che non può ricordare e vorrebbe solo silenzio, tanto silenzio, un prezioso silenzio per poter provare a ricordare un frammento di vita che fu, a sentire il calore di abbracci e carezze mancati e di un amore dissolto per la mano di un padre accecata di rancore e odio.