Uno dei gesti preferiti dagli amanti della musica, soprattutto da quelli (ahimè!) che hanno superato una certa età, è quello di scartabellare dischi, operazione ancora possibile nei mercatini del vintage o in qualche ormai raro negozio, estremi baluardi della musica da toccare e guardare oltre che da acquistare. Non tutti sanno che questo gesto ha origini ben precise e forse stupirà anche voi scoprire che sono strettamente legate a quelle del rock. Dunque, se avete voglia di fare un giro per capirci qualcosa, la mia Macchina del Tempo sta per partire anche oggi. Ce ne andiamo dritti negli States, dove e quando tutto ebbe inizio.
Cleveland, Ohio. 21 Marzo 1952.
La nostra meta è Prospect Avenue, la strada in cui sorge il Record Rendezvous di Leo Mintz.
Leo ha avuto un paio di idee geniali. Nel suo negozio non si chiedono più i dischi per nome o titolo, li si trovano sistemati dentro delle scatole. E non immaginate quanti ragazzi trovo a frugare lì dentro. Lo scaltro venditore è andato anche oltre, creando delle piccole cabine dove si possono ascoltare anteprime di ciò che si vuole acquistare. Il negozio sorge ai margini della zona di residenza della comunità nera di Cleveland e i dischi che vanno per la maggiore sono quelli di Rhythm & Blues: Fats Domino, Ruth Brown, Wynonie Harris. Musica nera o, come dicono qui, musica di razza. Eppure questi pezzi dal ritmo trascinante, in cui stanno entrando sempre più stabilmente batteria, chitarre elettriche e in cui l’invenzione recentissima del basso elettrico sta via via sostituendo il contrabbasso, sembrano piacere un sacco ai giovani bianchi americani. Anche qui c’è lo zampino di Mintz che, vedendo una faccia nuova, mi invita ad avvicinarmi e chiede se conosco Radio WJW.
Dagli altoparlanti risuona una voce incalzante, dal tono fresco e deciso. Alan Freed è il disc jockey e conduttore di The Moondog House, un programma che sta riscuotendo un enorme successo. È il più ascoltato a Cleveland e la sua fama si estende dal Mid West alla East Coast americana.
Freed sceglie la musica che trasmette proprio qui al Record Rendezvous, Mintz e la RCA sono i suoi finanziatori. A lasciarmi senza fiato però sono le parole che sta dicendo: “Salve a tutti, ben ritrovati nel regno di Moondog, è l’ora di un’altra bella iniezione di rock and roll!”.
Nessuno prima di Freed e del suo programma radiofonico aveva mai definito quella musica con quelle parole: Rock and Roll, una vecchia espressione della cultura marinara che stava ad indicare l’accentuato rollio delle navi in preda alle onde. Mintz sorride e ripete quella parola mentre muove il bacino avanti e indietro. Sembra un accenno di danza, ma il suo sorrisetto malizioso lascia intendere un’allusione a dondolamenti ben meno sgradevoli. Diciamolo, il Rock’n’roll ammicca ai piaceri del sesso.
È davvero sorprendente come questi due personaggi abbiano trovato, con questa parolina magica, un ingegnoso modo di promuovere la nuova musica nera a un pubblico bianco, dribblando in grande stile la censura di un’America conservatrice e assestando uno dei primi colpi ai muri del razzismo.
Leo mi chiede un dollaro e mezzo, stacca un biglietto e mi invita per stasera stessa alla Cleveland Arena, dove Paul Williams, Danny Cobbs, Tiny Grimes, Varetta Dillard e The Dominoes, presentati da Alan Freed, si esibiranno nel primo concerto rock della storia. Non posso rinunciare a inserire nella mia collezione di feticci vintage questo biglietto, dunque lo compro, ma non lo userò. Né Leo Mintz né Alan Freed lo sanno, ma hanno combinato un bel casino insieme al promoter Lew Platt, decidendo di stampare 20.000 biglietti a fronte dei 10.000 posti dell’Arena. Lo show durerà solo un pezzo, poi la polizia interromperà tutto per sedare i disordini di una folla sterminata in subbuglio.
il biglietto del primo concerto rock!
Sono un bambino al luna park, credo che affitterò una macchina e mi metterò al volante per provare l’ebbrezza di percorrere queste fantastiche Highways. Punto a sud, verso Nashville, voglio veder nascere la prima chitarra elettrica solid body della Gibson, la Les Paul. In città però resto molto deluso, non trovando alcuna fabbrica di chitarre. Gibson ha sede dal 1894 a Kalamazoo, nel Michigan. Si sposterà qui solo a partire dal 1974. Con tutto il tempo che ho perso a vagare invano nei campi del Tennessee, sono finito nel 1953. Nessuna fabbrica, le chitarre le produrranno al nord ancora per 21 anni. Ma in questo Stato c’è comunque un gran posto da visitare…
Memphis, Tennessee, estate 1953.
A Sam Phillips le cose stanno andando bene. Un anno e mezzo fa (1951) ha prodotto e registrato Rocket 88, un pezzo del giovane Ike Turner, che lo ha portato in testa alle classifiche R&B. Sono venuto alla Sun Records proprio per ascoltare questa canzone che, per la sua energia e per il primo esempio di chitarra distorta, è da molti considerata la prima incisione di rock’n’roll della storia. La Rocket è un modello di Oldsmobile, autovettura status symbol di quest’epoca. La canzone esprime il desiderio di possederne una. Il rock’n’roll inaugura così la sua lunga storia d’amore coi motori e i giovani bianchi iniziano da parte loro a interessarsi a questo genere musicale, attratti come sono da icone legate alle quattro ruote quali James Dean e Marlon Brando. La General Motors ringrazia per la pubblicità inaspettata. Unico scontento è Ike, che ancora non ha 21 anni e vede il pezzo attribuito al suo sassofonista e cantante Jackie Brenston e ai fantomatici Delta Cats, un gruppo inesistente. Si sarà accontentato della manciata di dollari (circa 180 euro di oggi) che gli hanno dato per la registrazione? Non credo.
Sam però non trova pace, da quando ha fondato la Sun è alla ricerca di qualcuno che possa incarnare la perfetta sintesi, per sound e voce, tra l’America nera e l’America bianca. Per intenderci: vuole un bianco (un prodotto molto più vendibile) che però canti come un nero, uno che faccia definitivamente esplodere la febbre del rock’n’roll.
Sono immerso nel racconto di Sam e Marion, la segretaria degli studi, quando il suono del campanello mi ricorda che è arrivata l’ora di tornare a casa. Ci alziamo tutti, ne approfitto per guadagnare l’uscita ma rimango un passo dietro permettendo ai due di accogliere il nuovo arrivato. Alla porta c’è un ragazzone alto con camicia sgargiante, ciuffo brillantinato e lunghe basette. Vuole registrare un demo. I due per prima cosa gli chiedono a quale artista desidererebbe ispirarsi, la risposta è un secco “nessuno”.
Phillips e la sua segretaria proprio non riescono a trattenere una risata, ma voltandosi a salutarmi chiedono perché sono paonazzo e ammutolito.
Il ragazzo si è appena presentato per nome, si chiama Elvis.