
Trama: Vi siete mai chiesti come Capitan Uncino è arrivato all’Isola che non C’è?
Questa è la storia di James M. Turner, meglio noto come Capitan Hook, il leggendario pirata che da più di un secolo fa sognare i lettori. Si tratta però di un romanzo che cambia la prospettiva degli eventi, fornendoci dei dettagli importanti sulla vita del capitano della Jolly Roger. È davvero lui il “cattivo” oppure le sue azioni hanno motivazioni particolari? E chi è davvero Peter Pan, leader indiscusso di Neverland?
Per scoprirlo non resta che ripercorrere le origini dell’unico uomo che ha saputo tenere testa a Barbanera, scoprendo che nel suo cuore hanno albergato sentimenti contrastanti, compromessi troppo presto dagli eventi di un’esistenza difficile. Tra l’Inghilterra di inizio Settecento, gli oceani e le sponde di un’isola incantata, il mito di James Hook, a distanza di tanti anni, è ancora in grado di riservare delle sorprese.
Scatole Parlanti Edizioni
Recensione: Ho quasi sempre provato grande simpatia per i personaggi “cattivi” dei libri, soprattutto quando l’antagonista “buono” è, o sembra essere eccessivamente buono. Capitan Uncino, o meglio James Hook, ne è l’esempio. Peter Pan mi è cordialmente antipatico, ovvio che questo sia un mio personale pensiero: mi ha sempre dato l’idea di un saccentello egoista. Tralasciando tutte le interessantissime ipotesi fatte sui bambini perduti del celebre romanzo di Barrie, il folletto di verde vestito in questo romanzo di Mario Petillo tocca vertici altissimi di insopportabilità. La storia si sofferma sul personaggio di Hook, al secolo James M. Turner, descrivendolo come una specie di Martin Eden, assetato di sapere e conoscenza, ben felice di studiare ad Eton. Una notte, il Caronte per sempre bambino, metterà fine ai suoi sogni trascinandolo all’ Isola che non c’è. James, che se ne stava tanto bene a studiare, mal sopporta la cosa, non ha intenzione di bloccare la sua crescita, vede in Peter un despota e fa di tutto per ritornare in Inghilterra. Da qui parte tutto il preambolo che porterà il lettore a capire l’atavico astio tra Uncino e Peter, verranno alla luce molti aspetti sconosciuti della vita di James Hook ed il perché abbia deciso di diventare un pirata. Nelle prime pagine Uncino ammette di non amare la piega che ha preso la sua vita, di essere stato diverso, ma questo tanto tempo fa, prima dell’arrivo di Peter, l’unica cosa che gli rimane di quella vita passata è l’amicizia che lo lega a Spugna. Durante la lettura è tangibile la profonda tristezza provata da James per aver dovuto lasciare tutto ciò che si era guadagnato, la visita a Neverland lo porta obbligatoriamente a rinunciare ai suoi sogni ed alle sue ambizioni trasformandolo in qualcosa che alla fine rinnega.
Ovviamente, questa è una storia che non si impone come verità assoluta, ma è un punto di vista personale, un prequel del romanzo di Barrie. Interessante la ricostruzione storica e la possibilità di ripercorrere gli eventi che hanno visto protagonista Barbanera e la sua ciurma. Il tutto regala tante novità che si incastrano alla perfezione con la storia ufficiale.

Mario Petillo è nato nel 1990 a Salerno e vive a Milano. Storyteller e sceneggiatore, ha lavorato per dieci anni come giornalista nel settore dei videogiochi, del cinema e del calcio. Ha scritto e diretto il cortometraggio Le coppie hanno i baci contati (2015), realizzato video virali sul calcio ed è stato finalista al Premio “Solinas” con la web serie 02.37 (2016). Lavora in un’agenzia di comunicazione e ricopre il ruolo di ufficio stampa e social media manager per diversi brand internazionali. James Hook è il suo primo romanzo.
INTERVISTA
Come nasce il tuo romanzo?
Tokyo 2014, ero a Disneyland e mi si è avvicinata una di quelle maschere dell’universo Disney: quelle che dentro contengono i più improbabili giovani, spesso anche ragazze che interpretano personaggi burberi e maschili. Mi si avvicina un Capitan Uncino, con un sorriso stampato in volto e l’uncino – alla mano sbagliata, come Disney pretese in Peter Pan – in bella vista. Ho sempre provato tanta tenerezza per James e nel farmi una foto con lui mi sono posto tantissimi quesiti: cosa aveva da essere felice, perché quell’uncino gli donava così tanta sicurezza e soprattutto perché lui, un adulto, era all’Isola che non C’è. Ho subito cercato delle risposte e mi sono accorto che Barrie non ce le aveva mai date: tantissime domande, ma nessuna risposta. Ho pensato, quindi, che fosse necessario dare un passato a James, riabilitarlo.
I personaggi “cattivi” sono quasi sempre più interessanti di quelli “buoni”. Perché questa riabilitazione di Uncino?
Sono più interessanti perché hanno delle motivazioni che non comprendiamo in superficie. Le ragioni di Peter Pan le conosciamo, ma quelle di James no. Inoltre ho sempre pensato che essere cattivi è ben più difficile dell’essere buoni: d’altronde il mondo è pieno di brave persone, come lo stesso James dice parlando di suo padre, un “brav’uomo”. James meritava di essere riabilitato perché lo stesso Walt Disney lo aveva reso buffo, ingenuo, corredato da una cattiveria spesso illogica, sfrenata e sregolata. Servivano delle motivazioni e serviva mostrare, una volta per tutte, che non è l’essere eternamente giovani la soluzione. Ho voluto dare un’alternativa a chi ama Peter Pan come storia e non come personaggio: ho voluto ristabilire l’ordine con l’immaginazione. Spero davvero di esserci riuscito e che,
oggi, il personaggio di James Hook sia stato riabilitato agli occhi del pubblico.
Chi è vittima e chi carnefice tra Peter e James?
James è un vinto, quindi è vittima. Peter è carnefice in tutto e per tutto, nel suo tagliare la mano a James e nel darla in pasto al coccodrillo, nel suo approcciare lo scontro con James sempre in maniera maliziosa, aggressiva, arrogante. Gli dice di essere ciò che James non potrà mai avere – la gioia e l’eterna giovinezza -, a più riprese gli dice che da Neverland non potrà mai più sfuggire. Tiene sotto scacco l’intera Isola e nei suoi sorrisi si nasconde il suo sapere di essere despota, tiranno e dittatore perpetuo. James prova a sovvertire l’ordine delle cose a Neverland, pur non andando ad affondare più di tanto i piedi in quella che è la situazione politica: sa che c’è un ecosistema che funziona perché ruota attorno al fulcro Peter Pan, ma nient’altro. Si fida della preghiera che gli viene rivolta e decide di essere l’eroe: in cuor suo non sa che diventerà vittima, ma sa che dinanzi a sé ha un carnefice.
Quanto ti sei documentato durante la stesura?
Ho trascorso una settimana a Crowthorne, la città che ho deciso che ha dato i natali a James. Ho trovato grande disponibilità da parte del sindaco, che mi ha dato accesso alla biblioteca comunale oltre l’orario di chiusura, allestendo una stanza nella quale ho potuto trovare libri sulla storia del luogo. I primi capitoli, quelli che raccontano il contesto storico e collocano James nella cittadina del Berkshire, riportano eventi storici e nomi di briganti e situazioni realmente esistite. Ho percorso realmente a piedi la strada che collega Crowthorne a Wokingham e ho collocato la casa di James e della sua famiglia in un posto che è visitabile. Ovviamente tutto è stato trasposto al 1700, quindi chi volesse andare a percorrere quelle strade dovrà lavorare molto di immaginazione, come ho fatto io camminando nella contea. Le stesse testimonianze di Eton sono reali, così come tutto ciò che riguarda Barbanera e la sua ciurma. Gli unici personaggi di fantasia sono quelli che poi compongono la ciurma della Jolly Roger, ma per il resto, da Israel Hands a Stede Bonnet, è tutto reale. James Hook per me è un romanzo storico: forse sono arrogante nel dirlo, ma siamo dinanzi a un personaggio di fantasia calato in un contesto storico.
Immagina un dialogo tra te e J. M. Barrie. Cosa vi direste?
Gli chiederei sicuramente cosa aveva pensato per James Hook, come lo aveva immaginato. Cercherei un’approvazione per quello che ho fatto. Non so, onestamente, se Barrie aveva pensato al passato di James, se sentiva la necessità di contestualizzarlo. So che si giustificava dicendo che se avesse svelato la vera identità di James avrebbe creato non pochi problemi alla Corona. È un’affermazione che non ho voluto seguire: il mio James è un ragazzo come tanti, figlio di una famiglia sì importante, ma non così tanto da creare problemi politici. Vorrei anche raccontargli un aneddoto: nel 2017 ero a Colonia, in Germania, a cena con una persona che ricopriva un ruolo molto importante in una nota azienda automobilistica. Lui, inglese, da giovane aveva fatto il volontario in un ospedale pediatrico e leggeva spesso la favola di Peter Pan ai bambini lì ricoverati: quando gli ho raccontato di quello che stavo facendo mi ha apostrofato dicendomi “secondo te abbiamo bisogno di un italiano per conoscere la vera storia di James Hook?”. Ecco, vorrei chiedere a Barrie come si sente a sapere che è stato un italiano a dare spessore e contesto al suo James Hook. Con il rischio di peccare, di nuovo, di arroganza.
Stai lavorando a qualcosa ultimamente?
Da ottobre sono – siamo, perché non sono da solo – al lavoro su un progetto legato a James Hook sul quale non posso dire niente, almeno per altri due o tre mesi, ma che verrà annunciato nel Q1 del 2020, se tutto procede regolarmente. Il fatto di non essere da solo in questo progetto mi permette di concentrarmi su più cose e quindi sto lavorando anche a una graphic novel, per la quale stiamo preparando – con la disegnatrice che segue il progetto con me – la proposta agli editori. Racconterà la fase di produzione di Fantasia e sarà incentrato sulla figura di Leopold Stokowski e su come Walt Disney realizzò la sinestesia del poter vedere la musica. A noi spetterà l’obbligo di farla leggere, la musica.