Premetto di avere un debole per la natura del personaggio, specificando che ciò non è da ricondursi ad alcuna reminiscenza Matrix-Maniacale. Terzo film della serie, col pregio di non essere il solito sequel che si adagia sui successi dei predecessori.
Diciamocela tutta. La saga di ‘John Wick’ ha sempre destato il sospetto di essere nata quasi per scherzo, nel bel mezzo di una bighellonata tra amici che, nell’intessere quella che è una trama di certo inverosimile, ne hanno poi appurato la fattibilità e, per certi versi, anche la verosimiglianza, in ragione della presenza di professionisti assoluti che potessero mettere la loro immaginifica carne realmente a cuocere sulla brace del visual. Parlo di stuntmen ai limiti delle potenzialità dell’essere umano, oltre che di coreografi straordinari, per ambientazioni e bravura nell’esser cangianti nella felice scelta dinamica delle location. Un soggetto bizzarro, ma interpretato con assoluta maestria da un fin troppo sottovalutato Keanu Reeves. Una sceneggiatura così perfetta, in taglio “da comic Book” che – pur ispirandone davvero uno in realtà (cosa avvenuta a cavallo dei primi due capitoli, intorno al 2017) – non affonda le sue radici in una reale Book-Story; tuttavia, risultando così sferzante che non si può non attribuirgli il pregio di costituirne una efficace innovazione.
Un film, questo “John Wick 3 – Parabellum”, capace di non scadere mai nel “già visto”, pieno di brio (certo, anche di tanta violenza) ma anche di una capacità autoironica subliminale che mantiene incollato lo spettatore allo schermo, complice anche la spassosa interpretazione di Keanu Reeves nelle scene di lotta, in particolar modo quando si ritrova contro, contemporaneamente, decine di avversari. Che puntualmente liquida, per carità; tagliuzzato, accoltellato, trafitto, John Wick salva la pelle e respira affannosamente. Poi si rialza, si passa la mano fra i capelli, e torna a casa sua. A proposito, per comicità e capacità di incalzare lo spettatore, ritengo che le scene action siano seconde, in questo contesto del “Tutti contro uno”, solo alla serie “Kingsman” coi grandi Colin Firth e Mark Strong.
Chi è John Wick? È un killer preciso e spietato come forse nessun altro, il quale, dopo esser inizialmente uscito fuori dal giro per scelta personale, torna giocoforza a uccidere in ragione di impervie circostanze; tuttavia, riceve – udite, udite! – la scomunica dall’Alta Tavola, qualcosa di molto simile a un conclave permanente mondiale di sicari, ciascuno capace di annoverare sulla fondina della propria pistola migliaia e migliaia di tacche. Ormai diventati così anaffettivi che, fra lo stupore del cittadino medio e magari dopo l’ennesima carneficina, ogni sera fanno una doccia calda e poggiano immacolati la testa sul cuscino, come se avessero tre anni. E, sappiatelo, anche le donne assassine sono tante. Belle quanto letali. Scrupolose e silenziose. Efficienti forse più degli stessi uomini. Diciamo così: in un certo senso, questa pellicola è un lodevole esempio di applicazione del principio di “quote rosa”.
Sul capo di John pende poi una taglia da 15 milioni di dollari; con l’ovvia conseguenza di innescare la venale voluttà di molti pretendenti al montepremi, contestualmente amplificando a dismisura la sete di sangue di centinaia fra i peggiori assassini in circolazione, ivi inclusi molti suoi “colleghi”.
Il primo film della serie era un revenge movie, autoironico e volutamente eccessivo. Il secondo capitolo, invece, cambiò le regole del gioco. Il Terzo poi, spariglia ancor più. E assomma in sé i pregi dei primi due.
Coreografie mozzafiato, scene action progettate nel più piccolo dettaglio e una volontà di traboccare che esonda gli stessi standard moderni del cinema action. Un maggiore incentrarsi sugli elementi caratterizzanti: i vari “Hotel Continental” dove sono presenti vari segmenti del quartier generale dell’intera organizzazione, le monete che accordano particolari privilegi ai loro detentori (in proposito, mi è un po’ venuto in mente il leggendario videogame del ninja Shinobi e i suoi shurikens), le ferre regole del “Sindacato del Crimine” e le pene collegate alla loro inosservanza; anche laddove la trasgressione fosse solo temporanea e/o occorsa per motivi di sopravvivenza, del tipo “Mors Tua Vita Mea”.
Ormai, dopo qualche iniziale remora sulla sua consacrabilità nel tempo, la critica ha attribuito a John Wick il cinematograficamente sacro bollino del CULT. Il Regista Chad Stahelski – che introduce alcune “guest star” come Anjelica Huston, Halle Berry e il fido Lawrence Fishburne della cennata serie Matrix – alza ancor più l’asticella rispetto ai primi 2 capitoli e lo guarnisce con ulteriori elementi, che non escludono un ulteriore sequel.
Intendiamoci. Fin dai primi screenshots, fin da quando inizia la caccia a Wick, che giocoforza reagisce con la solita veemenza, il lavoro di potenziali anatomopatologi (in combinato disposto con la polizia scientifica) non mancherebbe: scalpi a iosa, ossa craniali sparpagliate a terra a mò di posacenere degli inferi, coltelli e proiettili come se piovesse, vecchi tomi usati come armi improprie. Ma, incredibilmente, nonostante l’incredibile numero di uccisioni e di corpi a terra, non è possibile prendere John Wick a malvolere. Provate a guardarlo almeno storto. Punto sul fatto che non vi riuscirete. Keanu Reeves, in perfetta forma a 54 anni, è al top. Lontano anni luce dal personaggio di Neo (del cui fluviale consenso maturato in ormai due decenni, di certo, può comunque giovarsi), innesca duelli all’ultimo sangue spassosi quanto coinvolgenti; segnalo la sequenza dello scontro in un museo di armi risalenti al vecchio West; che vede Wick rivestire prima i panni di sceriffo, poi di “bounty killer” che di “Undertaker” in un lasso di tempo davvero limitato. Prima di salire in sella a un cavallo e galoppare tra le strade di New York come, per l’appunto, in un videogioco, e al massimo della “Stamina”.
Il vero senso della serie? La disperata richiesta di privacy e di normalità di Wick, sepolta sotto quella coltre di polvere da sparo che ne impregnerà, forse per sempre, la pelle.
L’intento? Un disperato tentativo di scrollarsi di dosso un’etichetta perniciosa e invasiva, attribuita anche da altri, non solo dagli esiti e dai riverberi delle nostre azioni.
In fondo, un po’ come capita a tutti noi, in una società pettegola, voyeuristicamente sempre pronta a osservare le nostre reazioni e i nostri comportamenti, specie laddove oggetto del fuoco di fila ingenerato dalle nostre stesse difficoltà. E questo, anche a tacer del “fuoco amico”.
L’esasperazione è un tema rilevante. E ognuno lo affronta come può. E come sa.
Insomma, poniamoci un quesito: che in fondo – magari molto in fondo e, per carità, senza alcun bisogno di ricorrere ad armi che non siano quelle dell’intelletto – fossimo un po’ tutti dei John Wick?
Una sola cortesia.
Se percepiste di esserlo, anche solo un pochettino, avvisatemi.
Perché, e questo è certo, vi verrò a seguire al cinema.
Ma non chiedetemi di accompagnarvi in giro. Avrei qualche remora in più.