Tra le statue di Rodin e di Giacometti intrezzite dall’autunno parigino, percorro il Giardino delle Tuileries che dal Louvre conduce fino alla Piazza della Concordia. Di fronte a me, il Viale dei Campi Elisi si stende fino all’Arco di Trionfo. Verso sinistra, c’è il Museo dell’Orangerie, un’antica aranciera, preposta ad accogliere piante di agrumi nei mesi invernali. Dal 16 settembre al 14 novembre 2020 vi sono esposte una sessantina di opere dedicate alla metafisica di Giorgio de Chirico e ai rapporti intellettuali che hanno influenzato la sua opera negli anni monacensi, torinesi e parigini.
La scelta del luogo non è casuale. L’Orangerie ospita quella pittura che de Chirico definisce “decaduta e decadente principiata dagli impressionisti”. Ma non solo. Conserva anche la magnifica collezione d’arte di Paul Guillaume, il primo a commercializzare le sue opere e a coglierne il potenziale artistico ed economico.
Uno dei primi acquirenti è il poeta surrealista André Bréton che, scendendo da un autobus, si lascia sorprendere da un quadro esposto in vetrina. S’innamora de “Il cervello di un bambino” raffigurante un uomo adulto, cieco, con un libro chiuso davanti a sé. Il contrasto tra il titolo dell’opera e la raffigurazione è immediato: nel cervello di un bambino c’è un adulto. Un adulto cieco posto di fronte a un libro che non potrà mai leggere. Non ha senso.
Ed è proprio in quest’assenza che il significato della metafisica di De Chirico dev’essere cercato.
Metafisica. Sì, lo so, la parola fa paura. Eppure, è lo spazio di riflessione in cui tutti, prima o dopo, ci ritroviamo a soggiornare. Tutti la conosciamo, ma non la nominiamo. Meta-fisica significa ciò che si trova oltre la fisica. La fisica studia i meccanismi della natura. Ci spiega per esempio che quando una massa rocciosa si muove nel sottosuolo, genera un terremoto. Ma la ragione per cui questa massa rocciosa esiste, quale sia il suo senso, resta un mistero. La metafisica è questo interrogativo, questa ricerca di un senso originario capace di spiegare l’esistenza. E de Chirico trascina questa domanda nelle sue opere, che l’amico e poeta Apollinaire definisce, appunto, “metafisiche”.
Solo che, come Nietzsche in filosofia e Rimbaud nell’ambito poetico, l’unico senso che de Chirico attribuisce al mondo è l’assenza di senso. Egli raffigura questa mancanza nelle sue pitture, spostando il piano della domanda metafisica su ciò che è visibile. Non solo perché la pittura è la sua arte, non solo perché l’immagine è per lui “la massima espressione del pensiero umano”, ma anche perché sono le cose stesse a rivelare la loro assurdità. De Chirico pone dunque la questione di ciò che le cose rivelano di loro stesse e dice: “c’è più mistero nell’ombra di un uomo che cammina al sole che in tutte le religioni passate, presenti e future”.
È quindi il mondo a raccontargli la propria insensatezza, ad apparirgli come “un immenso museo di stranezze, pieno di giocattoli”. Così, de Chirico disegna la realtà per rivelarne l’assurdità. Disegna uno spazio geometricamente preciso ma dal retrogusto onirico e fittizio. Tutto è esatto dal punto di vista della prospettiva. Ma vi è un solo punto di fuga, anziché tre. Le linee non sono curve, come siamo abituati a vederle, ma dritte. Perciò, nel guardare le sue opere, si ha una sensazione d’incongruenza, di follia senza riuscire a capire a cosa sia dovuta : «de Chirico, pittore accurato – dice Jean Cocteau – prende in prestito dal sogno l’esattezza dell’inesattezza, l’uso del vero per promuovere il falso ».
Nei suoi quadri, tutto è immobile. Il tempo è fermo nella luce che non permette di distinguere i momenti della giornata. Potrebbe essere mattino o sera, giorno o notte. Tanto che importa: “un’opera d’arte per divenire immortale – dice – deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica”. D’altre parte, per de Chirico, l’arte non deve porsi nel proprio tempo, ma formulare quesiti immortali. Deve rappresentare idee che nascono nel tempo ma che, leggere come bolle di sapone, salgono immediatamente tra gli eterni. Le idee hanno queste peculiarità: non invecchiano e sono infinite. Per questo, dice de Chirico : “siamo esploratori pronti per altre partenze”, partenze verso nuove ricerche di senso, sebbene destinate a rivelarne l’assenza.