Cristina Battocletti con “Epigenetica” (La nave di Teseo), Emanuela Canepa con “Resta con me, sorella” (Einaudi) ed Esther Kinsky con “Rombo” (Iperborea) sono le tre finaliste del 31/o premio letterario internazionale Latisana per il Nord-Est che dà voce alla migliore produzione letteraria dell’area formata da Veneto, Trentino-Alto Adige, Fvg e dai Paesi confinanti.
La terna è stata annunciata il 14 marzo a Udine dalla presidente della giuria tecnica del premio, Cristina Benussi.
Il vincitore del premio 2024 sarà svelato nell’evento di chiusura in programma il 13 aprile al Teatro Odeon di Latisana.
Epigenetica di Cristina Battocletti
Dopo aver sofferto durante l’infanzia l’abbandono del padre e il progressivo declino psico-fisico della madre, Maria, lasciata a sé stessa, divisa pure dagli amati fratelli, arriva ad affermarsi come scrittrice. Il successo, però, non porta né compenso né redenzione. Maria, infatti, proprio come la madre, si allontana dalla famiglia, inseguendo forsennatamente le proprie ossessioni e scivolando sempre più nel disgusto della vita. Solo il ritrovamento del figlio, ormai adulto, le offrirà un’occasione di salvezza, portandola ad affrontare una volta per tutte i demoni del passato. Potente e graffiante scandaglio di un destino familiare, Epigenetica ci trascina nella profondità di una donna che attraversa i meccanismi dell’abbandono fino a una coraggiosa riscoperta di sé. La voce della protagonista, Maria, costruisce un racconto primordiale e modernissimo, severo e tenero fino allo struggimento, accumulando tenebre e tuttavia lasciando possibilità all’irrompere della luce.
Resta con me, sorella di Emanuela Canepa
Quali sogni ti erano concessi in Italia, negli anni Venti del Novecento, se non eri un uomo? Con la consueta capacità di scrutare nell’animo femminile e nell’ambiguità delle relazioni, Emanuela Canepa racconta due donne che, imprigionate dal potere maschile o dalla propria incapacità di opporvisi, sognano di liberarsi dalle catene della Storia. Da quando suo padre è morto di febbre spagnola, Anita, orfana di madre dall’età di sette anni, vive con la matrigna e i suoi due figli. Uno lavora con lei nel giornale in cui il padre prestava servizio. Un giorno il fratellastro ruba dalla cassa e Anita decide di prendersi la colpa, perché il suo misero stipendio di donna non basterebbe a mantenere la famiglia, mentre quello del fratellastro sí. Rinchiusa nel carcere della Giudecca, incontra Noemi, una ragazza ombrosa da cui tutte si tengono alla larga – «ha il demonio dentro», dicono – e dalla quale persino le suore mettono Anita in guardia. Ma lei ne subisce il fascino e, malgrado Noemi non riveli mai il motivo per il quale è stata condannata, Anita si confida con lei. Le due stringono un patto: progettano di costruire un futuro insieme, una volta fuori. Sono convinte di poter trovare la propria strada nel mondo anche senza un marito. Ma oltre la soglia della prigione l’esistenza travolge e confonde come il brulichio incessante per le strade di Venezia, obbligando Anita a fare i conti con sé stessa e con il segreto inconfessabile che Noemi nasconde.
«In seguito, tutti parleranno del rumore. Del rombo. Con cui è iniziato.» Il 6 maggio 1976 un violento terremoto colpisce il Friuli, squarciando il paesaggio e l’esistenza di chi lo abita. A rievocare quei giorni sono sette abitanti di una valle nell’estremo nord-est della regione. Uomini e donne all’epoca già adulti o ancora bambini di cui ricostruiamo le vite in un’arcaica comunità montana di origini slave, con la sua peculiare identità linguistica e storica, le sue suggestive tradizioni, il suo retaggio di terra povera e di confine dove si sognava di fuggire o di vedere il mare, dove si emigrava per lavoro e si ritornava con nostalgia. Una terra di leggende in cui il terremoto ha origine dal mostruoso Orcolat o dalla Riba Faronika, la possente sirena a due code. Alle voci umane che raccontano un mondo antico di colpo travolto dalla paura fanno da controcanto le voci della natura attraverso una vivida descrizione del paesaggio carsico, dai fiori agli uccelli – i soli viventi immuni al terremoto – fino alle rocce che nei loro strati e colori conservano traccia dei movimenti millenari della terra. Così la memoria dell’uomo, che tenta di ricostruire con le parole quello che è andato distrutto, che cerca segni premonitori nelle ore precedenti al sisma per non rassegnarsi alla propria impotenza, che va modellandosi nel tempo insieme alle ferite, sembra confrontarsi con la memoria geologica. In un mosaico narrativo che riesce a combinare scienza e poesia, Rombo racconta la precarietà dell’esistenza e il senso profondo del ricordo mettendo a confronto ciò che passa e perisce per sempre e ciò che rimane, sottoposto a incessante mutamento, in natura come nella memoria.