Con le prime belle giornate e i ponti invitanti, gli italiani corrono numerosi alla ricerca di spiagge calde desiderosi, dopo due anni di restrizioni e tappando, esausti, le orecchie alle notizie sulla guerra Russia-Ucraina, di un refrigerante bagno nelle fresche acque mediterranee.
Da contraltare, l’aumento considerevole di tutti i costi e le tariffe legate alle vacanze di mare.
Di pochi giorni fa, la classifica delle spiagge più costose d’Italia, redatta da Altroconsumo che, dopo aver analizzato 227 stabilimenti balneari distribuiti in 10 località italiane, ha elaborato una lista delle più care in base ad un confronto sul prezzo giornaliero di lettino e ombrellone, unendo insieme due obiettivi di ricerca: una classifica delle spiagge più costose e lussuose della penisola da Nord a Sud e il peso dell’inflazione che grava inevitabilmente altresì nel settore del turismo.
In linea di massima, si è registrato un aumento del 10% dei costi complessivi rispetto all’estate del 2021, che già si era rivelato più costoso degli anni precedenti causa impatto della pandemia e per la necessità di affrontare costi aggiuntivi per ammortizzare le distanze tra ombrelloni e applicare tutte le misure di sicurezza e di prevenzione anticovid.
Le prime tre spiagge più costose italiane sono: Alassio in Liguria, Gallipoli in Puglia e Alghero in Sardegna con costi medi per l’uso delle spiagge e dei servizi offerti dai lidi che oscillano tra i 200 ai 323 euro. In classifica, ritroviamo anche una località campana, Palinuro che si colloca al sesto posto con un costo medio per il lido di circa 170 euro.
Unica zona che è risultata esente dai rincari è la riviera romagnola che ha riproposto gli stessi costi del 2021 e garantito i clienti e i villeggianti che non saranno previsti aumenti ulteriori.
Insomma, un’estate che spaventa un pò per il previsto e temuto sovraffollamento a fronte di un effetto liberatorio post covid e per i rincari complessivi delle prossime vacanze, al mare come in montagna.
Non solo aumento del costo di ombrellone e lettino, con punte più del 10% dello scorso anno ma che possono anche arrivare a superare il 30%, nonchè un rincaro per servizi ristorazione e bar, non escluso il banalissimo caffè al bancone, senza dimenticare il rialzo del costo dei carburanti che incide negli spostamenti.
Alla luce di queste considerazioni, le associazioni dei consumatori che lanciano l’allarme del rincaro insostenibile per gli italiani, quantifica la spesa per trasporti (carburante), affitto di 1 ombrellone e 2 lettini, consumazioni (panini, acqua, gelati, caffè), parcheggio, di una famiglia con cifre che si aggirano mediamente intorno ai 97 euro per una giornata al mare, con un aggravio medio che si oscilla nei calcoli delle diverse associazioni dei consumatori dal +12% finanche al 32% rispetto al 2021.
E così chi pensava erroneamente che venendo meno la regola del distanziamento degli ombrelloni e dei lettini, legata alle restrizioni antiCovid, si sarebbe verificato un abbassamento dei prezzi, perché gli stabilimenti balneari possono, finalmente, ospitare di nuovo più persone, si è dovuto ricredere: a pesare per i rincari è innanzitutto l’inflazione, che ha portato al caro delle materie prime, ma anche l’aumento del costo dei carburanti usato nelle macchine e/o attrezzature da spiaggia per smuovere la sabbia o riscaldare le docce.
La vacanza diviene, dunque, ancor più una questione di lusso che esclude le categorie più deboli e stringe la cinghia degli italiani in maniera più forte, in aggiunta alle notevoli conseguenze economiche che pesano già sui badget familiari a partire dalla guerra che vive il cuore di Europa da più di cento giorni con i beni primari, quali latte, pane, pasta che sono aumentati e basta, senza alcun intervento da parte del nostro Governo e con la responsabilità politica, del passato certo, che per obbedire alle logiche di mercato, ha determinato una dipendenza dell’Italia per alcuni beni, quando le nostre terre e le nostre produzioni potevano soddisfare una buona parte del fabbisogno interno.
E così, agricoltori, allevatori, coltivatori italiani stanno correndo ai ripari provando a rimettere in sesto un settore, quello per esempio per la produzione del grano o del fieno per gli animali, abbandonato da tempo per la forte concorrenza nei prezzi dell’Ucraina, per far fronte ad una rischiosa crisi alimentare che possa investire anche il nostro Paese in un momento così complesso con la guerra in piena evoluzione e l’inflazione che corre alle stelle, con il pericolo dietro l’angolo di una recessione che arresterebbe l’Italia proprio quando dovrebbe decollare per il famigerato piano di resilienza post pandemia che stenta a realizzarsi nel breve.
Arriva poi un ulteriore allarme da parte della Società di Medicina Ambientale (Sima) in conseguenza dello stop al distanziamento degli ombrelloni in spiaggia che potrebbe portare “ad un forte incremento nella produzione di rifiuti lungo le spiagge italiane nel corso dell’estate 2022, con conseguenti danni sul fronte ambientale ed un aumento dei costi di smaltimento”, peraltro, continua il comunicato di SIMA, “come sappiamo quella del 2022 sarà la prima estate a pieno regime sui 5000 km di spiagge italiane, che negli ultimi due anni hanno visto più che dimezzata la capacità di accoglienza di bagnanti a causa delle norme in vigore durante il periodo di pandemia – spiega Alessandro Miani, presidente Sima – A triplicare quest’anno non sarà però solo il numero di ombrelloni disponibili, ma anche la quantità di rifiuti (plastici per l’85% dei casi, circa 8.400 tonnellate) abbandonati lungo i nostri lidi e spiagge libere, che arriveranno a toccare un numero compreso almeno tra 1.565 e 2.350 rifiuti ogni 100 metri lineari, per un totale stimato tra i 78 e i 117 milioni di rifiuti abbandonati in spiaggia”.
La discussione sugli stabilimenti balneari non è nuova quest’anno, sono mesi che il governo italiano combatte per l’approvazione del decreto concorrenza e delle concessioni balneari, a seguito di una spinta decisiva da parte dell’Europa di adeguare il settore e di imporre le regole della sana concorrenza su territorio demaniale con messa a libera gara dell’affidamento delle concessioni demaniali.
Nell’ultimo provvedimento che ha visto la luce, con l’approvazione del ddl concorrenza il 26 maggio, votato a maggioranza dei politici di tutti gli orientamenti, prevede la sussistenza del regime attuale fino al 31 dicembre 2023 e impone l’avvio delle procedure di gara per la concessione delle spiagge pubbliche a inizio 2024, non più basato sul rinnovo automatico, bensì in base ai criteri determinati e stringenti, suggeriti dall’Unione Europa che vedono in primo luogo l’applicazione di tariffe dei canoni concessori credibili e non più irrisorie, com’è stato negli ultimi decenni in Italia, laddove il provvedimento di concessione deve contemplare anche i servizi e la qualità dei servizi offerti con un bilanciamento ed un adeguato rapporto tra tariffe proposte e qualità del servizio.
I nuovi canoni dovranno, non solo, contemplare il valore «del pregio naturale e dell’effettiva redditività delle aree demaniali da affidare in concessione, nonché dell’utilizzo di tali aree per attività sportive, ricreative, sociali e legate alle tradizioni locali, svolte in forma singola o associata senza scopo di lucro, o per finalità di interesse pubblico», ma finanche destinarne una quota per la difesa delle coste e delle sponde e per il miglioramento della fruibilità delle aree libere.
Un’ultima considerazione viene riservata alle spiagge libere: una quota parte obbligatoriamente deve essere destinata ad accogliere cittadini in modo libero e in questo, ci saranno misure più restrittive per allungare i tratti di costa liberi, a fronte di una litoranea Italia completamente occupata dagli stabilimenti balneari a scapito della spiaggia libera, ormai risicata in piccoli stralci di costa, impraticabili per sovraffollamento e mancanza di servizi.
Che sia o meno prossima la rivoluzione della concorrenza sulle spiagge italiane, sta di fatto che la prospettiva di vivere una vacanza cara e non accessibile a tutti allo stesso modo è la cartina di tornasole di un momento disastroso della politica nazionale e internazionale che non riesce a far fronte alla grave crisi globale che il mondo sta vivendo, anzitutto come contraccolpo della pandemia e delle forti restrizioni della crisi dovuta al covid che ha certamente spaventato e messo in ginocchio il settore del turismo ma che ora non giustifica un rincaro dei rincari sulla spinta propulsiva delle paure del passato quando il settore sta per vivere una saturazione come non mai da decenni e, ovviamente, come conseguenza della guerra intestina che non ha travolto solo l’Ucraina e la Russia, ma in un’epoca di globalizzazione tutti i paesi che in un modo o in un altro dipendono dall’una o dall’altra.