Sabato, 13 maggio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è arrivato in Italia per una visita di stato per la prima volta dall’invasione russa dell’Ucraina, iniziata nell’ormai lontano febbraio del 2022.
Zelensky è atterrato a Roma la mattina e ha incontrato prima il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha rilasciato una dichiarazione di continua confermata vicinanza al fianco dell’Ucraina e, poi, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha ribadito un appoggio a 360° scommettendo, peraltro, sulla vittoria della sua patria.
Terzo importantissimo e simbolico incontro con Papa Francesco, che non sembra essere andato molto bene.
Al termine del colloquio, è stato diffuso un comunicato essenziale in cui si parla molto genericamente della «necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione», senza alcune menzione di un possibile tentativo di mediazione diplomatica per un cessate il fuoco o una tregua che possa essere duratura.
Zelensky ha gelato il Vaticano, e non solo, con un «Rispetto il Papa ma non abbiamo bisogno di mediatori».
La reazione del Papa non si è fatta attendere, nell’Angelus della Domenica ha sottolineato nuovamente quanto sia pericolosa la continua perseverante logica delle armi che non dà spazio a margini di pace… nelle sue parole una condanna per la guerra e un sottile rammarico per la mancata possibilità di far dialogare le parti che non ne hanno alcuna intenzione, nonostante i morti, le terre distrutte, e città devastate, una popolazione civile in fuga e sotto le bombe.
Significativo e di impatto l’ appuntamento televisivo alle 18.30 in diretta su Rai 1, in uno speciale molto speciale di Porta a Porta di Bruno Vespa in collaborazione con il Tg1.
Alla trasmissione sono intervenuti direttori di quotidiani e telegiornali nazionali.
La puntata è stata realizzata non nello studio di Vespa, ma in una location esterna segreta, tenuta riservata durante la diretta per motivi di sicurezza.
Ad accompagnare Vespa nella discussione col Presidente Ucraino, sono stati invitati i direttori del Tg1 Monica Maggioni, del Tg7 Enrico Mentana, di SkyTg24 Giuseppe De Bellis, il conduttore Mediaset, Nicola Porro e, per i quotidiani, i direttori di Repubblica Maurizio Molinari, del Sole 24 Ore Fabio Tamburini e l’editorialista del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli.
Alla fine della lunga chiacchierata su impulso dell’incalzare delle diverse domande, cadono le braccia perchè le conclusioni da trarre sono abbastanza sconfortanti.
La speranza di una pace o, quantomeno, di una tregua tra le parti sembra una meteora.
Le parole del Presidente erano sempre molto riottose rispetto a qualsiasi ipotesi di trattativa e di mediazione con la Russia.
Comprensibile e condivisibile che sia la posizione del Capo di Stato Ucraino, diventa davvero complesso guardare verso l’orizzonte alla ricerca di un destino diverso da quello presente a meno di non immaginare o un sabotaggio di Putin o una debacle ucraina con tutte le conseguenze apocalittiche rappresentate dallo stesso Zelensky.
Tutti i giornalisti hanno puntato proprio sulla costruzione di una via di incontro tra le parti, almeno provando a percepire se esistano dei sentieri percorribili in tal senso, ma nulla, la chiusura di Zelensky è stata netta e anche forte, generando in alcuni momenti anche un certo imbarazzo del parterre de roi, tutti giornalisti navigati e esperti eppure destabilizzati dalla tanta determinazione e irremovibilità del presidente ucraino come unica via di uscita dalla guerra con la disfatta dei russi.
In questo quadro, la nostra politica prova a salvaguardare i rapporti internazionali con il sostegno alla guerra e all’Ucraina, pur avendo tra i suoi rappresentanti più illustri, politici che inneggiano alla razza, chiamandola etnia italiana quasi a volerne evidenziare le caratteristiche uniche e inconfondibili, soprattutto in questa fase di mescolamento pericoloso di razze o meglio “di sostituzione etnica”.
Solo un governo di destra può tornare a parlare di protezione della razza italiana definita etnia, da tutelare “nonostante qualche invasione” narrata nei secoli scorsi.
Quanto può essere pericoloso questo modo di parlare e di far penetrare messaggi di chiusura quando si dovrebbe parlare di accoglienza, di disprezzo nei confronti del diverso quando si dovrebbe parlare di inclusione, di indottrinamento patriottico quando si dovrebbero aprire i porti?
E i primi segnali di una certa logica preclusiva del potere non tardano ad arrivare.
In pochi giorni, doppio allontanamento: Fazio e Rovelli.
Fazio sgombera la Rai e, nello specifico, Rai3 dopo ben 40 anni di servizio per la tv di Stato.
Lui e tutta la sua squadra letteralmente sfrattati dalla Rai con la mancata conferma del contratto.
Non resta per Fazio e company che espatriare nelle tv cuscinetto come è capitato ad altri prima di lui ma con l’aggravante che questa scelta non è una scelta dettata dalla propria libera volontà di autodeterminazione e di imporre una certa forza contrattuale, bensì la conseguenza di una amara realtà: la volontà di una parte della politica di liberarsene per sempre tanto che quasi come un gesto liberatorio, un ministro leghista ha pubblicato sui suoi social la foto di Fazio-Littizzetto con la scritta “ciao belli!”.
Tono ironico ma che non fa venire alcuna voglia di ridere perché ogni attentato alla libertà di parola, di espressione e di manifestazione del proprio pensiero è attentato al nostro vivere democratico e ai principi dettati dalla legge suprema contenuta nella nostra Costituzione così attenta a questi temi, scottata come era dai terribili precedenti storici.
Per quanto Fazio possa essere antipatico e fastidioso nel suo giornalismo e nel suo modo di fare tv, la sua trasmissione resta un contenitore di grande successo dove ospiti, nazionali ma anche internazionali, di levatura morale, medica, politica, giornalistica, cinematografica, letteraria, scientifica, sportiva, saggistica, intervengono numerosi e elevano il suo salotto ad un salotto esclusivo e di valore, anche culturale e conoscitivo.
Ma si sa la cultura dà fastidio.
La Rai è un’azienda pubblica ma anche commerciale che vive di proventi per i successi televisivi e non si può mandare in soffitta, a mò di editto di berlusconiana memoria, una trasmissione che in termini di pubblicità e di ascolti resta un successo enorme.
Forse, ha ragione qualcuno a sottolineare che la musica è cambiata e comincia a sentirsi nell’aria.
Arriva così come un fulmine a ciel sereno la dichiarazione di Ricardo Levi, il presidente dell’Associazione Editori Italiani (AIE) che ha chiesto allo scienziato Carlo Rovelli di farsi da parte alla fiera di Francoforte per non creare imbarazzo istituzionale.
La pressione della politica è arrivata fin lì a causa dell’intervento duro dello scienziato durante il 1° maggio contro un ministro della Repubblica.
Il problema è il suo intervento in un contesto di carattere politico perchè ha espresso una posizione particolare sulla guerra attuale in Ucraina e sugli armamenti : questo è divenuto ovviamente il suo boomerang e anche il pretesto per liberarsene.
Ma a differenza di Fazio, che deve stringere un rapporto contrattuale con l’azienda Rai e in qualche modo incarnarne i valori, influenzati dalla politica del momento, così ingerente quale è la destra sempre in qualsiasi momento storico della nostra repubblica, Carlo Rovelli rappresenta nel campo scientifico una figura autorevole e competente, in possesso della professionalità e della esperienza necessaria e assolutamente adatta a rendere la sua presenza nella Fiera Internazionale del Libro di Francoforte opportuna.
Al levarsi del polverone di polemiche che hanno investito il Presidente dell’AIE, arriva il dietrofront con un invito rinnovato al professore Rovelli “a partecipare alla cerimonia di inaugurazione di Francoforte 2024, per condividere con tutti noi la bellezza della ricerca e il valore della conoscenza“, ribadendo a fronte delle accuse di non “aver ricevuto alcuna pressione o sollecitazione” e di averlo fatto “per adempiere con rigore alla responsabilità istituzionale“.
Se come ha detto più di un intellettuale, si arriva a comprimere il diritto di parola “per compiacere il potere” e “a tacitare le voci”, rischia di vacillare la democrazia con tutti i suoi baluardi.
Speriamo solo si tratti non di censura o di un qualche speciale editto bensì solo di un brutto scivolone…