Michela Murgia con il suo ultimo libro Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi. ha raggiunto la vetta delle classifiche dei libri più venduti in Italia.
Sempre molto caustica e provocatoria, la Murgia è una giornalista e scrittrice che si è sempre contraddistinta per stile e verità.
Ora, che sia simpatica o meno, ci offre un racconto autobiografico della sua vita che attraversa il suo libro e giunge forte attraverso interviste e stralci di passaggi sui social.
Piomba come un fulmine a ciel sereno la rivelazione di avere un carcinoma al quarto stadio “da cui non si torna indietro” che le lascia ormai pochi mesi di vita.
Da quel momento, anche i suoi detrattori hanno fatto un passo indietro perché la dignità e il contegno nel raccontare la sua attuale difficile esistenza e la convivenza forzata con una malattia tanto dolorosa quanto spietata sono encomiabili e non per mera piaggeria ma perché davvero stupisce la sua disinvoltura nell’offrire una parte di se così intima.
Nelle sue dichiarazioni, la paura del corpo che cambia, la paura del dolore che si acuisce durante la notte…una paura che lei sta trasformando con grandissimo talento in qualcosa di positivo che l’accompagna durante questo ultimo complesso viaggio.
Più volte nelle sue interviste, ha ribadito di essere viva e di non volere essere guardata con occhio compassionevole da chi ormai conosce la sua storia e il suo destino, anzi ripete con insistenza che la malattia non è il suo nemico da combattere, non è il male da odiare, non è la guerra contro cui spianare le armi, ma le è accanto in questo ultimo tratto della sua vita e la fa stare in un equilibrio ibrido tra la vita e la morte che l’ha spinta a fare in questo ultimo anno e mezzo tantissime cose, viaggi, scrittura, acquistare casa, esperienze che a volte in una vita intera è difficile fare!
Le sue parole che commuovono anche contro la sua volontà “La malattia ti fa abitare contemporaneamente lo spazio della vita e della morte, chi ti incontra sceglie in quale dei due spazi vederti e spesso vedo che le persone che mi incontrano mi vedono più che altro nello spazio della morte ma, come ho ripetuto, sono viva e non intendo diventare un monumento. Voglio arrivare viva alla morte”.
Per realizzarsi al meglio e dignitosamente negli ultimi mesi della sua vita, ha messo a posto anche alcuni pezzetti della sua vita che erano un po’ sospesi, in una quotidianità, tenuta segreta, come la famiglia queer per far sì che possa avere qualcuno accanto che abbia il diritto di poter esserci, dichiarando a tal proposito “Nella nostra famiglia queer, io e Claudia siamo l’unica coppia omogenitoriale, perché da dodici anni condividiamo un figlio, Raphael – si legge nel lungo post Instagram condiviso dalla scrittrice – ci siamo nascoste per anni, madri in casa, amiche fuori, per far stare tranquillo il mondo. Poi un anno e mezzo fa mi sono ammalata ed è cambiato tutto”.
La malattia proprio la malattia ha determinato un nuovo percorso, ha virato su una nuova identità anche pubblica, facendola finire in un turbine strano con un culmine di emozioni ma che soprattutto ha dato il via a “una surreale celebrazione funebre in vita”
“Mi è successa una cosa buffa – ha dichiarato –sono diventata il gatto di Schrödinger, quello contemporaneamente vivo e morto. Annunciare una malattia e il suo decorso di ormai un anno e mezzo ha fatto scattare una surreale celebrazione funebre in vita a cui onestamente non mi sento ancora di partecipare con lo slancio ammirevole che ho notato in alcuni commentatori”.
Si dimostra stupita e incredula di fronte a questa sorta di commemorazione in vita eppure chi la seguiva da tempo anche prima di ora resta altrettanto colpito di fronte alle sue dirette e scelte di condivisione quando ha tagliato i capelli, normalizzando un gesto drammatico che colpisce gli ammalati di cancro, quando ha parlato della sua famiglia queer, spalancando la porta della sua vita e della sua intimità a tutti noi, con un figlio e una compagna amati e quando ha dichiarato di aver deposto le armi per una guerra che non vuole combattere contro il male che l’affligge scegliendo la vita, quella che le rimane di vivere con le sue terapie di contenimento ma da vivere appieno nell’amore della sua famiglia e coccolata nel talento della sua scrittura.
La particolare relazione che Michela Murgia ha instaurato con la sua malattia, da non considerare come il male con cui arrabbiarsi e contro cui lottare animosamente e con tutte le forze, ingentilisce il suo dolore, la sua sofferenza e il suo sguardo che ora più che mai nelle sue interviste e nelle sue apparizioni diviene penetrante, sognante, vagante tra mille pensieri, sogni, paure e speranze, e non solo anche concentrato e ispirato nel raggiungere nuovi obiettivi prefissati e nel fare tante cose in una normalità decisamente sui generis.
“Non ho mai vissuto così forte come ora, piango e rido come mai fatto prima anche se è una consapevolezza che dovremmo avere sempre. Tutto il resto è diventato più leggero, i pesi si son ridistribuiti“.
La sua storia e la sua trasparenza sono un modo dolce per lenire il dolore, il suo di certo, ma anche quello di tutti coloro che in questo momento come lei stanno lottando tra la vita e la morte, provando a instaurare un rapporto con il cancro alla pari come la Murgia prova a fare nella sua quotidianità.
Sulla relazione con la malattia, ha dichiarato che “Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno. Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue…Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti“.
L’autrice ha peraltro spiegato che è “meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me“, decidendo di non considerare la malattia come una guerra perché quest’ultima “presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente”.
E di fatto non lo è!