Vallo della Lucania (SA), 23 febbraio – Il palco del Draft si illumina di un rosso acceso, mentre il silenzio dell’attesa cala nel locale. A salire sul palco stasera è Giorgio Ciccarelli, per anni chitarrista degli Afterhours e fondatore dei Colour Moves, che dal 2014 ha intrapreso la carriera da solista.
Nei primi minuti Giorgio rimane in silenzio sulla scena, occhi chiusi, ad ascoltare assieme al pubblico le parole di un monologo registrato, misterioso e intenso, che termina lasciando il posto alle potenti note della sua chitarra. Dopo la performance, la prima domanda che gli pongo è proprio sulla registrazione che aveva aperto il concerto:
E’ “Il discorso dello schiavo” d Silvano Agosti; un regista e un intellettuale pseudo-anarchico. E’ un discorso sul senso della vita e del lavoro che mi ha molto colpito. Tutti i lavori di Agosti mi hanno impressionato in realtà, a cominciare da “D’amore si vive”, credo si chiami così, di fine anni 70, in cui intervista diverse persone di ogni età e tipo sull’amore. Viene fuori uno spaccato incredibile.
Mi è piaciuta l’idea di inserire il discorso nel concerto, così l’ho fatto: aprirà tutti i concerti del tour.
Rientra nel progetto della multimedialità legato al disco?
Esattamente. Era una cosa che avevo in mente da molto tempo, ma sono riuscito a realizzarla solo adesso perché andiamo in giro in due, che è una formula un po più intima. Prima con la band era più difficile fare una cosa del genere. Mi piace mescolare le cose, le arti.
Riguardo alle tue esperienze precedenti, in cosa differisce lavorare con una band oppure lavorare da solo?
Sono lavori completamente differenti, distanti, e si può trovare appagamento e bellezza in entrambi. La cosa che mi ha colpito di più facendo un ragionamento a posteriori, è che lavorando in una band hai più confronti. Quando lavori da solo sei te stesso, ma non puoi dire “ti piace questo rif?” Non puoi chiedere consiglio a nessuno, capito? Per cui devi fidarti molto di te stesso. Però c’è il rischio che diventi una cosa autoreferenziale, quindi bisogna stare molto molto attenti. Con un gruppo il lavoro è diverso e puoi sempre crescere, soprattutto se lavori con persone che stimi e che hanno un punto di vista diverso dal tuo. Ti dà, capito? Riesci a crescere in qualche modo.
Questa è la differenza dal punto di vista negativo se vuoi. Di positivo c’è che fai quello che vuoi: sei tu, sei te stesso, butti dentro tutto te stesso e viene fuori quello che sei, senza filtri. E’ totalmente tua responsabilità.
Sei senza ancora ma più libero
Esattamente.
A proposito di questo, leggevo che l’ultimo disco, “Le cose cambiano” del 2015 è stato realizzato in collaborazione con Tito Faraci
Sì sì, io e Tito ci conosciamo da metà degli anni ’80: lui scriveva per una fanzine e io suonavo, ci siamo beccati così. Lui mi intervistava e siamo diventati amici. Poi ci siamo persi di vista per tanti anni. Quando c’è stata la reunion del mio gruppo di allora (i “Colour Moves”) abbiamo pensato di invitare anche lui, e così ci siamo rincontrati. Io in realtà non sapevo che fosse diventato uno degli sceneggiatori di fumetti più ricercato in Italia. Sapevo che scriveva. E sempre per il discorso del confronto che facevo prima, ho sentito la necessità di trovare una sponda, e l’ho trovata in Tito. L’ho trovata dal punto di vista letterario.
Sai io nei miei gruppi ho sempre scritto i testi. Questa volta però ho lavorato alla musica e anche a tutto il resto, quindi volevo un confronto diverso, un punto di vista differente. E con Tito ho trovato una sponda eccezionale, perché vediamo il mondo più o meno con gli stessi occhi. Quindi la cosa ci è piaciuta e siamo andati avanti così.
Com’è stato lavorare insieme?
Bellissimo, Non lo vedo neanche come un lavoro, non riesco nemmeno a parlare di Tito come uno con cui lavorare.
I testi sono di entrambi?
Si si, Certi sono solo suoi, altri sono miei con sue correzioni e altri ancora sono stati scritti insieme.
Di cosa parla esattamente l’album?
Non c è un vero e proprio tema comune, ogni canzone è a sé stante. Si viaggia sempre sulla perdita, sulla perdita delle persone…dei valori… Ma non abbiamo voluto dare al disco un vero tema in senso forte, anche perché molti testi, sia miei che suoi, sono del tutto personali. Abbiamo trovato una mediazione in questo modo. Il tema se vuoi c’è: sono veramente le cose che cambiano. Però è talmente ampio come tema che è inutile dire che ha un tema, capito?
Tornando alla multimedialità, oltre al video di Le cose cambiano su you tube, realizzato a 360 gradi, il progetto vanta una serie di collaborazioni con disegnatori e fumettisti italiani…
Certo, 13 disengnatori, tra fumettisti e illustratori hanno prestato la loro arte al disco e anche per questo io sono molto orgoglioso del lavoro finale.
Venne anche presentato al Lucca Comics quando uscì… Quindi la domanda sorge spontanea: qual’è il tuo rapporto col fumetto? Con le altre arti in generale, visto che parliamo di multimedialità, e col fumetto in particolare?
Guarda, devo dire la verità: io è il fumetto non siamo mai andati d’accordo. Devo dire anche che Tito mi ha catapultato in un mondo a me totalmente sconosciuto. Ed è incredibile: ho trovato tante tante similitudini con il mondo della musica. Anzi forse i fumettisti sono ancora più “egocentrici”. Se tu provi a dare del fumettista ad un disegnatore ti spacca la faccia, capito? Oppure se dai dell’illustratore a un fumettista… . Insomma ho imparato nell’ultimo anno a conoscere questo mondo. Continua a non prendermi, però sotto la guida di Tito sono riuscito a capire molto, e anche a conoscere cose che mai avevo visto in vita mia. Per cui, diciamo che col fumetto ho ancora un rapporto conflittuale, ma ci stiamo avvicinando. Piano piano ci stiamo beccando.
E’ arrivato il momento della mia domanda naif: puoi dare una definizione di arte? Cos’è secondo te?
Allora, anche lì ho un rapporto conflittuale, ma non con l’arte, con gli artisti. Io sono fermamente convinto che più un artista è valido e più sia discutibile dal punto di vista umano. Non ho mai voluto conoscere i miei “idoli”, ho sempre tenuto tanto separato l’uomo dal mito, perché è sempre una delusione. Diciamo che l’arte è l’apice dello sfogo di un egocentrico, mi viene da dire questa cosa.
Non so cosa pensare di me. Io mi reputo un manovale della canzone, non un artista, perché non riesco ad avere un rapporto sereno con me. Lego troppo l’opera d’arte all’artista. Trovo delle incoerenze così grosse tra la bellezza che può trasmettere un Picasso e il fatto che se poi vai a leggere di lui, ti accorgi che era uno con cui non avrei preso nemmeno una birra insieme. C’è questa incoerenza che non riesco a spiegarmi. Da qui nasce il mio rapporto conflittuale con l’arte.
Poi magari ci sono le eccezioni, ma fin’ora non ne ho incontrate. Gli artisti con cui ho avuto rapporti stretti si sono sempre rivelati delle delusioni dal punto di vista umano.
E dopo il tour?
Sto già pensando al disco nuovo, che dovrebbe uscire fra ottobre 2017 e gennaio 2018. Ci sto lavorando.