Il classicissimo di Louisa May Alcott nuovamente in auge, con una rivisitazione lieve dell’impianto narrativo per allinearsi un po’ all’attualità. La scelta è stata quella di mescolare i romanzi della serie con i momenti biografici della scrittrice e, con ogni evidenza, anche della regista Greta Gerwig, in combinato disposto fra le necessità di mantenere fedeltà rispetto alla trama originale e quella di affrontare il tema della relazione uomo-donna, al di là delle epoche storiche in cui ciò va a incastrarsi, al netto delle ironie e dei sarcasmi di sorta.
La famiglia March è l’assoluta protagonista del romanzo, “Piccole Donne”. “Natale non sarà Natale senza regali” uno dei suoi refrain più famosi.
La Gerwig dà una propria versione di Jo, Meg, Amy e Beth, offrendo una visuale precisa, che mette in luce gli ostacoli sulla strada dell’autonomia femminile, la natura para-contrattuale del matrimonio, in particolare per la donna, e in generale ponendo l’accento sulle possibili ripercussioni personali improntate a una eventuale carenza di indipendenza economica (“married or dead“, azzarda l’aspra zia March). Il tema è di certo attuale, e con limitati margini di opinione difforme. I tasti da toccare sempre gli stessi, nel tempo, pur con una mezza dozzina di guerre globali intercorse da allora.
Un po’ da rimarcare è tuttavia l’inefficace scelta sceneggiativa. Come un puzzle di piccole sequenze, più o meno riuscite e incollate alla meglio per contenersi nella durata complessiva. Con il risultato di risultare un po’ depauperate del loro potere emozionale. Vengono meno le sensazioni che si vivono nel leggere il romanzo o il film del ’94 della australiana Gillian Armstrong.
La paura di Beth nel solcare la porta di casa Lawrence, mista al desiderio che la consuma di mettere le dita su quel pianoforte solitario, quasi non si percepisce. Risulta molto annacquato il senso di colpa di Amy per ciò che ha compiuto in relazione al manoscritto di Jo, colta da atavica gelosia per il suo talento. Financo la scena dell’incidente sul lago ghiacciato non rende al meglio. Velo pietoso per Louis Garrel nei panni del professor Bhaer, che fa rimpiangere interpreti precedenti del personaggio, ridotto a involuzione quasi comica di se stesso.
In ogni modo, non si può dire che le piccole donne di Greta Gerwig (a parte Beth, che risulta leggermente fiacca nella resa) non abbiano personalità e carisma. Le attrici sono valide, collaudate e molto versatili. E fra tutte spicca Saoirse Ronan, vera musa della regista, che interpreta il ruolo di Jo.
Le piccole donne hanno colori e i bronci dei dipinti di Lilly Martin Spencer e Winslow Homer, il modo di incedere delle Damsels in distress di Whit Stillmann, sono ragazze-tornado che sovvertono la tradizione e l’ordine della cose. Capaci, benché alla distanza, di imporsi, pur con tutti i loro limiti e i loro dubbi. Meno efficace il bel facciotto dell’improbabile Laurie Laurence, nei panni di Timothée Chalamet. Bene invece la Amy di Florence Pugh, giusto un gradino sotto alla protagonista che interpreta Jo.
Nella parte finale la regista appone piccole variazioni al contesto originale, lasciando qualche esitazione sul fatto che ciò volesse comportare una “rivisitazione” in base allo scorrere dei tempi moderni oppure una più passiva banalizzazione.
Di certo, trattasi di versione assai personalistica del racconto originale.