Una passeggiata tra i vicoli del centro di Napoli è sempre cosa buona e giusta, che siate in cerca di qualcosa di squisito da mangiare, di bellezze artistiche, che vogliate solo riappacificarvi con voi stessi o che siate, come me, in cerca di una storia da raccontare.
Sto frugando tra scatole di vecchi vinili e buttando gli occhi su nuove proposte e vi dirò, è già la quarta o quinta volta che spunta fuori un nome, sempre lo stesso, inusuale e a me sconosciuto: Gesualdo. Compare tanto su un lavoro di Stravinskij Monumentum pro Gesualdo da Venosa ad CD annum, quanto su uno del compositore italiano Sciarrino, Sciarrino, Gesualdo, Fedele: Fuoco e Ghiaccio. Nella tracklist dell’album L’ombrello e la macchina da cucire di Franco Battiato spicca un titolo: Gesualdo da Venosa. Poi la telefonata di un amico, che mi comunica esultante la sua ammissione al conservatorio statale di Potenza, il Gesualdo da Venosa.
Gesualdo! Chi era costui?
Neppure ho finito di porre a me stesso la manzoniana domanda, che le dita stanno digitando il misterioso nome sul display della Macchina del Tempo. Vado, voilà! Qualcosa deve essere andato storto. La fida vettura, compagna di mille avventure, non ha fatto neppure un metro. Ripeto l’operazione due, tre, quattro volte. Nulla. Magari una breve pausa farà bene alla mia amica, io ne approfitterò per un bel caffè su via San Biagio dei Librai.
La giornata di ottobre è stupenda e sul decumano si respira un’aria salubre, anche troppo direi. Pare abbiano restaurato il Palazzo Carafa di Montorio, poco prima di Piazzetta Nilo. È stupendo, di un rosso acceso e vivissimo. Subito più avanti, sulla destra, ecco la statua del Corpo di Napo…ma che diavolo…decapitata!
Un dubbio inizia ad insinuarsi nella mente, dati anche i 4 personaggi a cavallo che ho già incrociato. Che ci sia una rappresentazione storica in corso? Allungo il passo verso Piazza San Domenico Maggiore, confidando nel potere chiarificatore che può avere una sfogliatella riccia di Scaturchio, ma con sommo stupore scopro che il Palazzo di Sangro di Casacalenda non c’è. Guardo meglio. Eh no, non c’è proprio!
Abiti d’epoca, cavalli, monumenti irriconoscibili, qui deve essere successo qualcosa di strano con la Macchina. Il sospetto diventa certezza quando, attraversando la Piazza in direzione della chiesa di San Domenico Maggiore, noto l’assenza dell’obelisco della piazza. Se tanto mi dà tanto, stavolta sono finito indietro nel tempo di qualche secolo! Ma quanti, esattamente?
La penombra della basilica mi offre doppio conforto. Oltre alla possibilità di risistemare le idee, ho anche quella di intrufolarmi furtivamente in sagrestia e rubare una tunica. Non posso girare in jeans.
Tiro un bel respiro e torno in piazza, mentre la consapevolezza del funzionamento della Macchina mi sta restituendo l’entusiasmo del viaggio. Mi basterà chiedere di Gesualdo e vedere cosa succede, l’abito da domenicano giocherà certamente a mio favore.
“Il Principe Carlo Gesualdo da Venosa? Ecco il suo Palazzo, padre, lo avete di fronte”.
Il gentiluomo sta indicando il Palazzo di Sangro, situato proprio affianco all’imponente edificio sacro.
“È di aspetto poco imponente, piuttosto accigliato, meridionalmente indolente, pieno di affettazioni di grandezza e di galanteria di gusto spagnolesco. Se volete parlar con lui, sappiate che si anima per discorrere con con irrefrenabile loquacità delle sue due grandi passioni: la caccia e la musica.
Si sforza dovunque vada di far eseguire e di eseguire egli stesso musica, pronto se manchi un cantore a partecipare all’esecuzione dei propri madrigali, dei quali discorre diffusamente, additando all’interlocutore i passi più notevoli per invenzione o artifizio. Ama suonare il liuto e la chitarra spagnola e lo fa con gran maestria e con intensità espressiva sottolineata dal continuo atteggiare e muoversi.” Poi sogghigna “Del resto, il principe fa bene a dedicare l’anima e il corpo alla musica, perchè sua moglie, si sa, è presa da altro!”
Wow, che descrizione! Abbiamo a che fare con un principe, ragazzi, un principe musicista. E se scrive madrigali (questo si che è vintage!) allora siamo finiti tra il quattordicesimo e il diciassettesimo secolo. Ok, qua ci vuole freddezza e un po’ di conoscenza. Nessuna statua di San Gaetano, nessun obelisco di San Domenico, dunque non è scoppiata ancora l’epidemia di peste di metà ‘600 cui questi monumenti fanno riferimento. C’è un principe che si esalta per dei madrigali, alcuni palazzi storici di Napoli non sono stati costruiti, altri sono già in uso, come il Palazzo di Sangro. Siamo verosimilmente alla fine del ‘500! Quanto alla storia di sua moglie beh, spero che il nostro amico se ne faccia una ragione, io domani di buon mattino mi pianterò qua fuori ad aspettarlo!
Le prime luci di un giorno qualunque, che grazie all’informazione ricevuta da un mercante ho potuto datare 16 ottobre 1590, illuminano Piazza san Domenico Maggiore in Napoli.
Da Palazzo San Severo esce un manipolo di uomini armati ed abbigliati per una battuta di caccia. Al centro della squadriglia, la figura mingherlina che più sembra corrispondere alla descrizione del principe ricevuta ieri. I cavalli partono a spron battuto, voltando subito l’angolo della piazza. Dovrò rimandare il mio incontro con Gesualdo, l’ho perso. Poi, l’imprevisto. Subito dopo la partenza del principe, un altro nobile uomo (lo si riconosce dai preziosi capi che indossa) varca l’ingresso del Palazzo dei Gesualdo. Qualche passante vede e sorride sotto i baffi, altri mormorano sottovoce indicando l’ingresso. In una manciata di istanti nell’intera piazza circola sibilante il nome di Fabrizio Carafa: è lui l’amante di Maria D’Avalos, cugina e moglie di Gesualdo.
Decido che forse è meglio andare via, quando d’improvviso il rumore di zoccoli lanciati al galoppo esplode nella piazza. Il principe e i suoi uomini sono tornati, gli amanti sono caduti in trappola. Gesualdo (non dimentichiamo che siamo nel 1590) ha un solo modo per salvare l’onore del suo casato: lavare l’onta del tradimento col sangue dei due fedifraghi. Le urla strazianti provenienti dalle stanze del palazzo, gli spari, il seguente silenzio, confermano che il principe ha rispettato gli usi del suo tempo.
Troppo pericoloso per me stare qui, in un mondo dove mi pare che i problemi si affrontino un tantino troppo di petto! Meglio soddisfare le mie curiosità sulla musica del principe attraverso la lettura comoda di qualche testo.
L’opera di Gesualdo da Venosa fu relativamente limitata. Ciò che colpisce è la spregiudicatezza delle sue arditissime scelte armoniche che pongono la sua musica, per quanto ancora inquadrata dentro alcuni paradigmi del suo tempo, in una posizione di avanguardia rispetto alle consuetudini dei suoi contemporanei. Anche l’incisiva declamatorietà del suo linguaggio madrigalistico è un aspetto di innovazione, che quasi anticipa il “recitar cantando” che andava nascendo in quel momento e che avrebbe dato i suoi frutti più maturi con lo sviluppo del dramma per musica e poi dell’opera lirica.
Quasi una mosca bianca nel suo mondo, Gesualdo, la cui opera è vista da alcuni studiosi come una anticipazione dell’armonia Wagneriana, o addirittura una profetica, anacronistica e utopistica anteprima di scelte di carattere jazzistico. Ecco perchè il suo nome torna così spesso, a quattrocento e più anni dalle vicende della sua vita.
Una musica libera e sperimentale (Gesualdo era ricco e non rispondeva a nessun committente), ma al contempo una musica irrequieta e tormentata.
La musica di un principe.
La musica di un genio.
La musica di un assassino.