Durante il lockdown si era sviluppata una sorta di fobia generale, non solo all’idea di uscire ed incontrare persone, ma soprattutto al pensiero di doversi per qualche motivo recare in ospedale, come se tutto fosse pericolosamente infetto. Fondamentalmente era giusto così, perché in un periodo durante il quale si contavano quasi mille morti al giorno a causa del coronavirus, ovviamente ci si spaventava. Si aveva timore, anche se non si è venuti mai a capo del dilemma tra “morti di coronavirus” e “morti con il coronavirus”; tra i due punti di vista c’è una notevole differenza, come in ogni cosa si poteva vedere il famoso bicchiere “mezzo pieno o mezzo vuoto” ed ognuno ha poi fatto la sua scelta. Perfino i più spavaldi, nel profondo, avevano però difficoltà a recarsi tranquillamente in ospedale. Ci si diceva “meglio evitare gli ospedali in questo periodo” facendo in modo che il pronto soccorso si riempisse soltanto di quei pochi casi inevitabilmente gravi, svuotandoli dei tanti casi di pressione alta scambiata per infarto, ad esempio. Gli stessi ospedali e le stesse cliniche private e/o convenzionate avevano rimandato di qualche mese, se non addirittura al 2021 ed in base alla gravità di ogni singolo caso, tutti gli interventi chirurgici non urgenti, sperando nel miraggio del tanto atteso vaccino. Poi ad un certo punto e con l’avvento della stagione estiva, pian piano si è assistito ad un rammollimento generale delle paure e delle ansie. Ed è così che per molto, ed ancora adesso, si vive in una sorta di limbo nel quale si ripensa, più o meno costantemente, alle proprie azioni quotidiane immaginando di essere una possibile preda per il virus, dato che si vive ormai normalmente ma allo stesso tempo non più con quella forte paura di prima, consolandosi con la teoria del virus che è diventato meno aggressivo e meno presente tra la popolazione. È questo un pò il senso di quella mascherina abbassata sul mento, che un pò per il caldo ed un pò per la voglia di ritornare alla normalità, praticamente non ci serve più a nulla. Ciò che maggiormente ci spaventava durante il lockdown, era la paura degli operatori sanitari e del personale medico; c’era da fare una considerazione non da poco, e cioè “se perfino loro hanno paura, che sono abituati a vederne di cotte e di crude, come faccio io a stare tranquillo?” ed in effetti era soprattutto questo a provocare le maggiori ansie nei cittadini, il totale smarrimento del genere umano di fronte ad un virus potenzialmente letale. Ma come è invece adesso la situazione, soprattutto in quei luoghi considerati “off limits” per chi, per sua fortuna, non ne ha urgente bisogno? Allora, c’è da dire in primis che al livello sanitario la routine non si era mai fermata, seppur con le dovute precauzioni, per i pazienti che ne avevano e ne hanno urgentemente bisogno. Quindi, di fronte ai malati gravi, la sanità pubblica e quella privata hanno dovuto sempre alzare le mani ed essere efficienti come e più di prima. Per quanto riguarda invece i pazienti con patologie da trattare ma non urgenti, se inizialmente presi dal panico si era rimandato tutto al 2021 adesso, invece, la porta della sanità si è pian piano riaperta; e così alcuni pazienti hanno potuto avere accesso alle cure mediche che necessitavano e che, comunque, a lungo andare rischiavano di diventare patologie più serie. È stata quindi ripresa l’attività di chirurgia non propriamente urgente, ma comunque di importante attuazione. Molti pazienti che ormai si erano rassegati a dover attendere chissà quanto tempo, si sono ritrovati a doversi in poco tempo riabituare all’idea di un imminente ricovero. Innanzitutto, prima di poter essere ammessi in un qualunque reparto, oggigiorno si viene sottoposti al tampone oppure al test seriologico. All’interno della propria stanza, seppur condivisa, non vi è l’obbligo di indossare la mascherina, ma nel momento in cui si è costretti ad uscire per recarsi ad esempio nello studio del medico curante, bisogna esserne muniti. Ovviamente in sala operatoria, il paziente deve poter respirare facilmente e quindi, sia in caso di anestesia generale che parziale, non vi è obbligo di tenere la mascherina. Coloro che invece ne hanno l’obbligo assoluto ed in ogni circostanza, sono i medici, gli infermieri, gli o.s.s. e gli inservienti, insomma tutto il personale sanitario, nessuno escluso. Questi ultimi, inoltre, vengono sottoposti periodicamente al tampone, e tutto questo controllo li rende talvolta distratti nel non rispettare alla perfezione la regola, con la famosa e troppo spesso utilizzata tattica della “mascherina coprimento”. Non va bene, ovviamente, perché nonostante i controlli serrati restano comunque presenti alcune possibilità di contagio e proprio loro, che hanno a che fare con soggetti vulnerabili, non se lo possono permettere. Altre misure che sono state giustamente adottate come palliativi allo scopo di ridurre al minimo i rischi di contagio, sono la durata della degenza, ridotta al minimo indispensabile, e l’impossibilità da parte dei parenti di poter fare visita ai propri congiunti durante il periodo del ricovero. Per quanto riguarda invece la pulizia degli ambienti, meglio non avere troppe aspettative sull’ipotetica sanificazione quotidiana, che spesso si riduce al solo utilizzo di prodotti disinfettanti, ma senza una reale preparazione al riguardo da parte del personale addetto. Ogni struttura si distingue dalle altre in base al grado di rigidità nel seguire, più o meno alla perfezione, le regole anti Covid; a mancare non è un protocollo unico ma l’assiduità nel metterlo in pratica.