Sono ori olimpici, cantanti, donne ed uomini dello spettacolo, non nascono come scrittrici o scrittori, ma anche loro hanno qualcosa da raccontare. Parlano delle loro vite, costruiscono romanzi e diventano autori di libri.
Si tratta di velleità nascoste o solo di tendenza? Lo fanno gli stranieri, perché non possiamo anche noi italiani? Ovviamente, c’è l’ammissione di essersi affiancati da chi di libri se ne intende, ma che male c’è? Hanno un seguito di tutto rispetto, composto da fan e curiosi, vendono bene.
Ce n’è per tutti i gusti e questo, si sposa bene con il concetto di editoria. I più snob, storcendo il naso, vedendo questi titoli in scaffale hanno pensato: “Ora questo/a si è messo/a a scrivere?”, beh, io direi che in giro c’è di molto peggio e se qualche VIP ha voglia di raccontarci qualcosa di sé senza utilizzare i canali televisivi, ma la carta stampata, ascoltiamolo, anzi, leggiamolo.
Ansia da felicità di Malika Ayane
Libro vincitore del Premio Fuori Passaggi
La felicità può sbocciare improvvisa o avvizzirsi perché ci siamo incastrati negli sguardi di qualcuno. Ma quanto conta guardarci dentro e quanto rispecchiarci negli altri?
Melina è come i gatti. Quando qualcosa è grave, non si fa trovare o non lo lascia capire. Nina si sente ostaggio del mostro. Allora mette un vestito che da più di dieci anni le sta da dio, ma non è mai uscito da casa. Aspettava, più paziente del mostro, un evento e una Nina degni di lui. Il Raptor arriva quando la principessa sfiora l’abisso. E si posa, paziente. Miranda fa scintille tra le lenzuola. E per un lenzuolo fugge via. Marija, quando la situazione è serissima, tira fuori la tovaglia nera. Ma ora ha deciso di farsene un abito. Madeleine presidia il divano rosa del Distratto, suo locale di fiducia, casa dei momenti così storti da poter essere sfogati in un luogo pubblico, ma nobili a sufficienza per non diventare pettegolezzi. Tutti i protagonisti di questa sorprendente raccolta di racconti, prima prova letteraria di Malika Ayane, vivono in uno stato costante di ansia da felicità. La realtà non è mai definita, bianca o nera, ma ci si presenta in un caleidoscopio di sfumature cangianti, per cui bastano un attimo, un imprevisto, un bicchiere in più per cambiare di segno gli stati d’animo che ci guidano nelle nostre giornate. La felicità può sbocciare improvvisa o avvizzirsi perché ci siamo incastrati negli sguardi di qualcuno. Ma quanto conta guardarci dentro e quanto rispecchiarci negli altri?
Non è poi la fine del mondo. Il potere della fragilità di Paola Barale
«Metti un po’ di musica, ti suggerisco Special di Lizzo, mettiti comoda (anche se credo che l’equilibrio instabile sia sempre il migliore, ti lascia quel pizzico di concentrazione che ci vuole), sorseggia una tisana oppure un calice di vino, ed entra in un mondo fantastico. Quello dei cinquant’anni (che non sono esattamente i cinquanta, possono essere anche i quaranta e persino i trenta… Vedi tu). Oppure fai ritorno a quel tempo. Perché? Perché quel viaggio che ti fa, ti faceva o ti farà paura (una paura che magari non sai neppure di avere, ma ce l’hai, te lo assicuro) è in realtà magnifico. Scoprirai, come me, grazie anche alle mie amiche e ai miei amici, che si può fare lo slalom con gli inconvenienti dell’età, dalla menopausa alla ruga fino al calo (o al precipitarsi?) del desiderio. Sapendo che qualche volta uno spigolo lo si piglia, ça va sans dire, ma solo qualche volta, e che soprattutto ne puoi ridere e ti puoi divertire. E sapendo che qui, in questo luogo veramente sicuro, nessuno riderà di te, ma tutte rideremo con te.» Paola
Oro di Federica Pellegrini
Le gare non sono mai state una passeggiata per me, ma quella lotta all’ultimo respiro io la cercavo. Se capivo di dover entrare in acqua e combattere alla morte, l’adrenalina mi scorreva ed ero felice.
La condizione ideale per gareggiare era sentirmi un animale braccato. La sera prima di una gara quasi non mangiavo. Era la tensione, certo, ma anche un modo di prepararsi all’assalto, come il lupo che prima di andare a caccia per affrontare la lotta digiuna, dimagrisce. La fame o l’inappetenza non erano solo forme nervose, ma manifestazioni di un atavico istinto al combattimento. All’inizio, quando ero solo una ragazzina, mi sentivo un vuoto dentro che riempivo con le vittorie, ma dopo un po’ non era più quello. Da un certo punto in poi l’ho fatto solo per me stessa. Mi chiedevano a chi volessi dedicare le mie vittorie. Le più difficili, quelle che arrivavano dopo periodi duri, quelle delle rinascite le ho dedicate tutte a me stessa. Perché io ero l’unica a sapere che sacrifici avessi fatto per ottenere quei risultati. Io ero il lupo. Cosa ne sapevano gli altri, chi aveva vissuto anche solo la metà di quello che avevo vissuto io? Questo fa di me una stronza?
«Quando vedo il tabellone prendo a schiaffi l’acqua della piscina: sì, stavolta ce l’ho fatta! Incrocio lo sguardo di Alberto e scoppiamo a piangere come due scemi. Oro e nuovo record del mondo, 1’54’’82.»
E questo cuore non mente di Levante
Tra inseguimenti, confessioni notturne e ricordi che esplodono come coriandoli, il nuovo romanzo di Levante racconta il coraggio di guardarsi dentro e di seguire senza riserve il filo caotico dei nostri pensieri.
Ero un filo d’erba secca, ma non mi piegavo al vento. Mi ero lasciata spezzare, e non era un segreto.
Inquieta, indomabile. Ma anche indifesa, brutalmente sincera, forse pure un po’ antipatica. Questa è Anita: una donna come tante che somiglia solo a se stessa. Nel lavoro ha successo, è una giornalista affermata, ma in amore colleziona disastri. L’ultimo in ordine di tempo si chiama Marco, «nessun segno particolare, non un tatuaggio, non un piercing alle orecchie, al naso, niente. La faccia di uno che non attira l’attenzione. Piaceva a tutti, non se lo ricordava nessuno». Lei però se lo ricorda bene. Ricorda quando lui l’ha fatta ridere per la prima volta, sotto un cielo blu di Prussia, con un gin tonic in mano e la testa leggera leggera. Ricorda le caffettiere che preparava solo per lei, per non farle mancare la colazione. Ma ricorda anche i silenzi terribili, carichi di risentimento, con cui la chiudeva fuori dal suo mondo senza darle spiegazioni. Perché ogni storia d’amore è così: per comprenderla tutta, bisogna cominciare dalla fine. E adesso che anche con Marco è finita, dopo tante tempeste e uomini sbagliati, Anita desidera soltanto salvarsi il cuore, metterlo al sicuro. Per curare l’anima dalle ferite del passato e abbracciare, finalmente, la scatola nera delle sue emozioni.
Notte fonda di Paolo Bonolis
Un uomo e una donna, marito e moglie, escono da un “apericena” e si avviano a piedi verso casa. Era tanto che non passeggiavano insieme e l’occasione è quella di parlare a ruota libera. A lei fanno male le scarpe, ma lui le trova seducenti. Dalle minime cose si fa in fretta a passare ai massimi sistemi nel ping pong verbale. Il Cupolone, cioè la Chiesa, ci opprime o ci incanta? L’Onnipotente: chi è o cos’è?Quando arrivano a casa, il dialogo serrato non si interrompe e basta gettare lo sguardo nella stanza del figlio, al momento in gita scolastica, per veder sorgere delle preoccupazioni, tra un poster di Sferaebbasta e un paio di sneakers dal prezzo astronomico: perché vuole lasciare l’istituto cattolico? Perché se ne sta sempre solo? Da lì, marito e moglie tornano su loro stessi e sulle reciproche gelosie: chi è Mizuko e chi è Rocco, il bagnino che lei ha ripescato su Facebook? Lo scambio di battute lascia senza fiato e intanto i due mangiano, bevono, fanno l’amore. E riprendono a parlare di tutto, dei danni della tecnologia e di scorpacciate di sushi. Per tutta la notte. Fino al mattino.