Ogni volta che viene rilasciato un nuovo episodio della saga di Star Wars ho sempre l’impressione di poter leggere la nuova pagina della storia del cinema. Malgrado tutto ciò che verrà detto da fan nuovi e vecchi, occasionali, critici e dotti, l’episodio VIII, Gli ultimi Jedi è destinato, come il precedente e il successivo, a essere ricordato per sempre. E questo la produzione, la regia e la troupe lo sanno benissimo. Rian Johnson è riuscito a creare un film che riesce a mantenere sulle sue spalle il peso dell’aspettativa e l’eredità lucassiana intersecandolo con una visione più personale e autentica della saga, malgrado qualche malumore di fan reazionari.
Il Primo Ordine dopo aver distrutto la Repubblica è più forte che mai. A ostacolarlo rimane uno sparuto gruppo della resistenza, comandato dal Generale Leia Organa (Carrie Fisher). Rintracciati, organizzeranno una fuga dalla loro base su D’Qar in cerca di una nuova base. L’intraprendente Rei (Daisy Ridley), accompagnata da Chewbacca (Peter Mayhew), è arrivata a Luke Skywalker (Mark Hamill), il quale si è autoesiliato ai confini della galassia su Ahch-To, dove è stato edificato il primo tempio Jedi.
Quando si ha a che fare con un blockbuster di dimensioni mastodontiche come questo bisogna tenere conto delle aspettative di ogni tipo di spettatore e Star Wars può vantare di avere uno dei fandom più eterogenei: dal dodicenne al 60, dall’impiegato al docente universitario, presentanto spaccature persino tra i fan. Un film del genere deve quindi confrontarsi con molteplici aspettative, molte delle quali in contrasto tra loro. E’ saggio da parte dello spettatore di comprendere questo aspetto e scendere a compromessi con scene che magari si reputano evitabili, poiché saranno state destinate pensando a diversi target. Quindi, per quanto possa aver trovato forzato un certo tipo di umorismo per esempio o l’eccessiva presenza di elementi disneyani, comprendo il suo scopo. E se stesso Mark Hamill ha cambiato idea sul ruolo di Luke (il link può contenere spoiler!) dopo aver visto il film, noi di certo non possiamo lamentarci!
Johnson ha gestito il film in maniera splendida, creando quello che secondo me è uno dei migliori Star Wars. Egli stesso ha dichiarato che “Sapevo che se avessi scritto pensando a cosa i fan avrebbero voluto, non avrebbe funzionato, perché la gente mi avrebbe comunque urlato ‘Va**** hai rovinato Star Wars!’ e io avrei fatto un brutto film. E, alla fine, questa è l’unica cosa che nessuno vuole”. Concentrandosi sulla sua visione del film è riuscito a dargli un’immagine totalmente nuova, che non è in contrasto con le precedenti. Un’evoluzione estetica e narrativa che si accorda bene anche allo svolgimento delle vicende interne.
I personaggi assumono una plasticità nuova, Kylo Ren (Adam Driver) primo tra tutti, dimostrandosi la nemesi introspettivamente più interessante della saga, accordandola a un’acuta sensibilità alle tensioni sociali del nostro decennio: molti personaggi fondamentali sono donne e il numero di caucasici è ridotto al minimo; inoltre questo è il primo film del franchise ad aver superato il Bechdel test (un test che misura la disuguaglianza di genere nei film, contando quante donne parlino tra di loro non di uomini, partecipando attivamente allo svolgimento della trama). Tutto questo espresso con naturalezza, senza forzature. Per quanto si possano ritenere fondamentali alcune mancanze di dettagli (Snoke chi è? Come ha corrotto Kylo?), non si può affermare che il meccanismo di incastri e funzioni dei vari personaggi messo in moto dal regista non sia quasi perfetto.
Il film quindi, dopo un avvio un po’ macchinoso, riesce a coinvolgere sia i vecchi fan che i nuovi, immergendoli in scene più esteticamente avvincenti e spettacolari che mai, in un universo che conserva poco del classico Star Wars, ma che si rivela ugualmente affascinante, sconvolgendo qualsiasi idea che ci siamo fatti in due anni di attesa, stupendoci in ogni momento con colpi di scena e citazioni.