Film liberamente tratto dal libro di memorie di Elizabeth Kloepfer (firmato sotto il cognome d’arte Kendall), “Ted Bundy – Fascino criminale”. Una pellicola che sconta un decalage visuale stante la circostanza di un budget evidentemente contenuto, pur potendo contare su un cast di assoluto livello.
Alzi la mano chi conosce la storia di Ted Bundy. Beh, per coloro che l’han tenuta abbassata sappiate che trattasi di uno dei più efferati serial killer americani che la storia ricordi. Almeno 30/35 omicidi compiuti a riguardo di giovani donne nel quadriennio 1974-1978, col forte sospetto che abbia colpito anche durante gli anni ’60. Particolari raccapriccianti, crudeltà e perversione che albergavano nella stessa persona; dettagli che chi vorrà andrà autonomamente ad approfondire, purchè non si sia deboli di stomaco. Un uomo morto a 43 anni perché passato nell’89 per la sedia elettrica.
Elizabeth Kloepfer (interpretata dalla Lily Collins di “ShadowHunters – Città di Ossa”), ha vissuto una storia d’amore con il serial killer, interpretato da Zac Efron.
Ora, il corpo e lo spirito segnati dal tempo, va a trovarlo in carcere per un incontro che ritiene fondamentale crocevia per la propria esistenza. E la memoria torna indietro agli anni ’70, quando, complice un ammiccante Juke box di un bar come tanti e la sua maestria affabulatoria, ne subì il fascino.
L’ascendente di Ted su Elizabeth è netto; ma la ragazza, egualmente, resta in grado di percepire qualcosa di anomalo nel suo modo di fare, e l’istinto finisce per ricollegare le stranezze di Ted ad alcune orribili notizie che la Tv manda in onda, purtroppo sempre più spesso. Con ogni probabilità, per opera di un solo assassino ancora non identificato una scia di sangue segna il destino di tante ragazze, uccise con brutale impeto e devastazione corporale per mano di questo criminale.
In seguito, Ted viene arrestato, sepolto da una pioggia di accuse i cui rivoli trovano origine in diversi stati americani. Tuttavia, lui, quasi impassibile, persevera nel dichiarare la propria innocenza. E la vicenda inizia ad assumere contorni di pura spettacolarizzazione mediatica in corrispondenza del processo subito in Florida, ripreso dalle telecamere locali.
“Ted Bundy – Fascino criminale” è di certo una vetrina per Zac Efron, a suo agio in un ruolo di estrema drammaticità biografica, che richiama ripetutamente agli atti di orrore commessi dal vero Ted. Tuttavia, sconta il ruolo di “eterno belloccio” e perde leggermente in credibilità interpretativa.
La scelta di far interpretare Ted dall’ex High School Musical-Boy è piuttosto coraggiosa se non addirittura azzardata. Per carità, il buon Zac – autore di una buona prestazione in “The Greatest Showman”, fa del suo meglio nell’ostentare innocenza e una buona dose di scaltrezza che afferivano al vero Bundy; in ogni modo, c’è anche da dire che l’attrazione per il personaggio era prevalentemente da ricondursi al suo carisma e all’oscurità della sua anima. Tale da invogliare numerose donne ad assistere al suo processo. Come a portargli un messaggio di amore e di vicinanza. A lui, e per ragioni che evidentemente trascendevano la bellezza, laddove in tal senso non era molto “dotato”.
Il vero criminale non era certo un uomo bellissimo, per quanto bravo a circuire le vittime e a conquistare la loro fiducia fingendo disabilità o debolezza. Basti pensare alla tecnica del “braccio ingessato” che usava per caricare a bordo del suo Volkswagen Maggiolino – ora esposto al National Museum of Crime & Punishment di Washington D.C. -, basata sul chiedere ai propri bersagli la cortesia di trasportare pacchi e pacchetti nel suo catorcio.
Circa il ruolo di Elizabeth, si ricalca molto la sua “dipendenza” da Ted come in stato di perenne narcosi tossica; la sua relazione con lo stesso Ted viene poi raccontata in maniera molto limitata, quasi sempre nel limbo delle mura di casa sua. Parimenti, nella pellicola viene molto ridimensionato anche il suo ruolo di collaboratrice delle forze dell’ordine per la cattura dello stesso Ted, così come è stato in realtà ed evidenziato, secondo la cronaca, dagli atti. Cenni a questa poderosa e pregnante circostanza vengono fatti solo in una fase del film che permea il personaggio di una percepibile incoerenza; contestualmente relegandola ai margini rispetto a Ted, che domina, di fatto, la scena.
Punto di forza del film (e in questo bisogna fare i complimenti al regista Joe Berlinger, abile nel “documentariato”, potendo vantare numerose opere dedicate a crimini reali tra cui proprio la miniserie “Conversazioni con un killer: Il caso Bundy” (la trovate su Netflix)) è invece l’esatta riproposizione dell’atteggiamento eccentrico e irriverente di Ted verso la giustizia, in uno al duro confronto in rigorosa diretta – in chiaro tono di sfida – avuto con lo sceriffo che l’aveva accusato in Florida. Allo stesso modo, perfetta è la riproduzione del “celebre” matrimonio avvenuto in aula.
Un limite del film consta invece nella limitazione di scene “in esterno”, laddove, molto presto, vari rivoli narrativi portano a installare quasi stabilmente la sceneggiatura nelle aree dei tribunali. Ted è quasi sempre sotto processo, e assai poco si rinviene sui suoi momenti di libertà. Altresì, molto contenute, in estensione e potere descrittivo, le fasi aventi a focus i dettagli sull’orrore dei suoi omicidi; in tal caso, i dettagli più crudi si rinvengono in fugaci momenti collocati nella seconda metà del film, limitatamente ai crimini in Florida. Di converso, altri particolari truculenti sull’efferatezza di alcune sue pratiche sono del tutto omesse, per chiara scelta produttiva.
Oltre a Efron e alla Collins il cast vanta ruoli per Jim Parsons (‘The Big Bang Theory’) nei panni di un avvocato dell’accusa, Haley Joel Osment (l’ormai cresciuto bambino di Il sesto senso, qui molto appesantito) quale collega innamorato di Elizabeth e infine John Malkovich, nel ruolo del giudice del processo di Bundy in Florida.
Film che tocca tematiche molto dure, aspre, eppure così tremendamente attuali.
Fatti di cronaca di cui abbiamo notizia a qualsiasi latitudine e longitudine. Così terribilmente reali. Ed è il realismo e la consistenza percentuale di casi analoghi a fare davvero paura.
Anche la sola frase riportata su alcune delle locandine del film (“Noi serial Killer siamo i vostri figli, i vostri mariti, siamo ovunque”) è difficile da digerire.
I mostri esistono, e hanno sembianze umane.
Perché il terrore è davvero dietro l’angolo.
E bisogna sempre essere attrezzati a fare da guardiani.
Per sé e per gli altri che ti circondano.
Occorre sempre disporre di livelli di attenzione molto alti. E avere cura dei dettagli.
Mai abbassare la guardia.
Perché ne potrebbe valere la tua vita.