Il 21 settembre 2020, il tabernacolo dell’operetta parigina brilla di moda, di cinema e di lusso. I vetri arcati del Théâtre du Châtelet s’impregnano di paillettes e lustrini effusi delle tante star presenti. Jean-Paul Gaultier, Christian Laboutin, Inès de La Fressange sono alcuni dei volti noti che siedono in platea. Esponenti del cinema e della moda, reali da tutto il mondo sono qui per omaggiare il fu Pietro Costante Cardin.
Ribattezzatosi Pierre Cardin e naturalizzato francese, festeggia a 98 anni, champagne alla mano e sguardo tagliente, i 70 anni della sua casa di moda sita al mitico 59, Rue du Faubourg Saint-Honoré. Ma non solo. Celebra anche l’uscita del film documentario “The House of Cardin” firmato P. David Ebersole et Todd Hughes, presto disponibile in Italia su Amazon Prime e in Dvd.
Il film racconta attraverso immagini di archivio e testimonianze di personalità prossime all’artista – come Naomi Campbell, Sharon Stone e Alice Cooper – la vicenda umana e professionale di un personaggio poliedrico.
Pierre Cardin è il primo a cogliere il potenziale delle licenze, a comprendere che il suo nome può diventare un’icona, un simbolo universale che sopravvive al suo creatore. Per questo, distingue se stesso dalla marca che porta il suo nome: “Sono qualcuno che lavora per qualcuno che chiamano Pierre Cardin”. Ma Cardin è anche un collezionista di oggetti di Art Nouveau e un appassionato di teatro. Dal 1968 produce circa 700 opere teatrali e organizza, con cadenza annuale, il Festival teatrale di Lacoste nel castello del Marchese de Sade, acquisito nel 2001. È proprietario di Maxim’s, uno dei più prestigiosi ristoranti parigini in cui personaggi come Salvador Dalì, Jean Cocteau, Maria Callas e Alfred Hitchcock passano le loro serate parigine e da cui Brigitte Bardot è stata vista uscire scalza alle prime luci dell’alba.
Come stilista, Pierre Cardin irrompe nel mondo della moda dopo una fortunata gavetta in casa Dior. Trova ispirazione nelle forme geometriche e in particolare nel cerchio, stigmate di perfezione e d’infinito. È l’assenza di soluzione di continuità ad ispirarlo. Nel 1954, presenta il “Bubble Dress”: un abito dalla gonna voluminosa che ricorda una bolla – la stessa che ritorna prepotentemente nei 1200 metri quadri del Palais Bulles, luogo di vacanza e di rappresentanza nei dintorni di Cannes. È un successo planetario che rivoluziona strutturalmente la moda. La donna viene liberata dalla morsa dei corsetti e vestita con abiti corti dai colori sgargianti che, come incide Sharon Stone, “sono un punto esclamativo sulla libertà della donna”. La forma ad A facilita i movimenti, senza sacrificare la femminilità: “La donna è come lo champagne – assicura Cardin – nel calice prende la forma dell’abito e non viceversa”.
Intanto, “l’era lunare è arrivata”. Nel 1968 esce nelle sale “2001: Odissea nello spazio”. Nel 1969, Apollo 11 porta i primi umani sulla luna. Ma, affascinato dallo spazio siderale, Cardin battezza già nel 1965 la mode cosmonaute, mandando in passerella una collezione intitolata Cosmos. Caschi trasparenti sostituiscono i cappelli, gli occhiali diventano visiere in PVC, i colori accesi incontrano composti vinilici per dar vita a uno stile sculturale e avanguardista: “Il vestito che preferisco – afferma – è quello che invento per una vita che ancora non esiste, per il mondo di domani”. Pierre Cardin è davvero affascinato dal cosmo: è il primo a voler indossare la tuta di Buzz Aldrin, che inaugura con Amstrong la presenza dell’uomo sulla sfera lunare.
In realtà, per sua stessa ammissione, Pierre Cardin è primo in molte cose: “Sono sempre stato il primo… e gli altri secondi, giusto?”. Ed è vero che in un’epoca in cui la moda maschile è ancora sinonimo di omosessualità, Cardin recluta i suoi modelli nelle università e li fa sfilare, lanciando la prima collezione di prêt-à-porter per uomo. È scandalo. Prima di diventare prassi. Avviene altrettanto nell’universo femminile. Nel 1959, Cardin viene radiato dalla Camera Sindacale della Moda per aver presentato ai grandi magazzini Printemps la prima collezione di prêt-à-porter dedicata alle donne.
Egli svolge dunque un ruolo decisivo nella democratizzazione della moda: “Sono un socialista della moda”. Anche nella scelta degli indossatori, Cardin mischia i tratti occidentali con bellezze esotiche provenienti dal Giappone, dalla Cina, dall’Africa e dal Sud America. Da qui il successo del volto di Hiroko Matsumoto, icona della casa, e di Jenny Shimizu che, giapponese, omosessuale e tatuata, infrange tutti i canoni tradizionali di bellezza. E di tutto questo, è Naomi Campbell a ringraziarlo di persona.
Cardin trascina così la moda oltre il recinto della borghesia occidentale, raccogliendo il favore di coloro che, come i Beatles, stavano spalancando le porte di una nuova era. Quando si chiede ai Fab Four di chi sia l’abito che indossano, rispondono: “ L’abbiamo preso a Parigi, Pierre Cardin!”