Chi l’ha detto che bisogna essere sempre se stessi? E’ dai tempi di “Dottor Jekyll e Mr Hyde” di Robert Louis Stevenson che ce lo si chiede con veemenza.
Anche la Marvel è d’accordo sul fatto che ogni tanto bisogna “cambiare”. Chiedetelo, ad esempio, all’Hulk di Mark Ruffalo.
Venom, in tal senso, rompe gli schemi. L’effimera e reversibile mutazione non è frutto di un esperimento senziente condotto sulle proprie membra, quanto dell’improvvida ficcanasata di un giornalista avventato.
Il film è dedicato all’acerrimo nemico di Spider-Man. Lo interpreta l’ottimo Tom Hardy, già inquietante antagonista del più celebre dei pipistrelli in “Il cavaliere oscuro – Il ritorno”.
Tutto parte dal laboratorio della misteriosa Life Foundation. Carlton Drake, un leader che ha quantità industriali di pelo sullo stomaco, a fronte di una sciagura capitata all’equipaggio di una sua navicella spaziale (tutti morti), cerca egualmente di trarne profitto.
Infatti, dallo spazio, perviene, utilizzando come veicolo proprio un corpo umano, un nuovo tipo di cattivone, il Simbionte.
Drake, mosso da un arrivismo senza misura, fa eseguire vari esperimenti di innesto in volontari, tutti con lo stesso negativo esito. Vuole creare una specie ibrida, potente e versatile. Ovviamente, da gestire a suo uso e consumo.
Ma la specie aliena è troppo forte e poco “democratica”; in ogni caso domina il corpo ospite, fino a farne spirare, sistematicamente, il detentore.
Il giornalista d’inchiesta Eddie Brock (un periodaccio per lui, laddove la sua intervista a Drake gli ha comportato il licenziamento e gli è costato pure la fidanzata), ha una soffiata di una scienziata pentita e riesce a penetrare nel laboratorio.
Il parassita alieno Venom, manco a farlo apposta, troverà in lui l’ospite perfetto. Compatibile in ogni fibra del suo corpo, di cui andava in cerca sin dal suo arrivo sulla Terra. Dallo spavento iniziale, Brock impara a conviverci, dando luogo a una reale e consapevole coesistenza, fino a divertirsi e a formare un tutt’uno.
Anche il Simbionte, pur sbocconcellando qualche testa di qua e di là, pare gradire la sua compagnia. Una imprevedibile complicità uomo-alieno sta prendendo corpo. E scusate il gioco di parole.
La strana coppia va avanti nel film, veicolando la pellicola grazie ad abbondanti dosi di ironia e umorismo, invertendo la rotta rispetto al feedback iniziale; con una cesura netta che, in parte, potrebbe anche spiazzare lo spettatore, sulle prime risucchiato all’interno della trama grazie ad atmosfere gotiche e vagamente noir.
Ecco, se il film ha un difetto è nella mancata gradualità della transizione “cupo-pop”.
Così come, all’occhio del consumer maggiormente in cerca di evasione, potrebbe magari costituirne il punto di forza.
In ogni modo, quanto alla simbiosi, è spesso la parte morigerata e umoristica a prevalere su quella più oscura, istintiva, aggressiva e senza mezze misure.
Alla fine, questo spassoso binomio appare in totale divenire e pronto a comparire anche nella filiera degli Avengers.
Il tema pregnante del film è legato al perenne dissidio fra le connotazioni pressoché normalizzanti della nostra natura umana (quando non siamo in condizioni di stress) e quelle più sopra le righe (ovvero quando, proprio come un vorace simbionte, lo stress penetra nel nostro cervello e nel nostro sistema nervoso, condizionandone le sinapsi e obbligandolo a compiere un nugolo di scelte pervenuti al cospetto di una infinita serie di bivi emotivi).
La costante sorpresa sta nel rilevare l’alternanza con cui, nella vita quotidiana di ciascuno, una fase prevale sull’altra. La percezione, lampante, di non avere mai il controllo totale di se stessi, pur quando lo si presume.
La constatazione che il livello d’allerta a riguardo delle conseguenze di ogni nostra possibile azione deve essere tenuto sempre alto.
Pena il rimorso e il rancore che si può provare verso se stessi, magari per aver ingenuamente agito sotto l’effetto di un impulso che doveva/poteva essere represso.
Il costante timore, infatti, che l’Alba del giorno dopo ci punti contro l’insindacabile dito inquisitore recante una sola inderogabile sentenza: “Hai sbagliato di brutto”.
La vita è fatta di valutazioni da condursi in un regime di dinamica fretta. Una sequela praticamente indefinita di “If-Then” a cui sono sottoposti i lobi della nostra corteccia parietale.
Senza mai dimenticare, detto fra noi, che il cervello resta e sempre resterà una “sfoglia di cipolla”.
Il Core telling, di segno quasi opposto a quanto viene mostrato dall’incipit, viene affrontato con un approccio leggero e assai scanzonato, probabilmente oltre le previsioni dello stesso regista, almeno all’inizio delle riprese.
In parallelo, il lugubre show fornito dall’uomo senza scrupoli, deciso a conseguire un fine ben preciso anche laddove questo nuocerà a gran parte dei suoi simili.
Insomma, un film molto interessante e ricco di spunti.
Il tutto, farcito dalle solite impareggiabili sequenze di effetti speciali. Dopo poche sequenze Venom finisce per diventare simpatico.
Al punto che, da un certo momento in poi, non si distingue il ruolo di “veicolo” e di “parassita”.
Ed è, forse, proprio questo il maggior aspetto ludico dell’opera.