Si é spento a 96 anni in un piovoso 5 agosto Sergio Zavoli, giornalista, scrittore, politico, intellettuale italiano.
Sposato per due volte, l’ultima di recente con una giornalista de Il Mattino, molto più giovane di lui, dopo quasi tre anni dalla morte della prima moglie, da cui era, peraltro, separato da tempo seppur in ottimi rapporti, con un matrimonio celebrato in gran segreto: tipico della sua indole e del suo carattere riservato.
Chi conosce la sua vita, la sua arte, la sua passione, non può non ammirare anche la sua anima poetica attraverso la quale ha condiviso pensieri ed emozioni, sofferenze e amori, aprendo al mondo il suo spirito nobile e il suo immenso talento nella gestione delle parole e del loro delicato equilibrio, nell’armonica combinazione di suoni e significati con la bellezza dei turbamenti e dei vortici interiori.
Una delle sue brevi poesie ma intensa di significato: “I fatti figliano fatti, i pensieri pensieri, le passioni figliano passioni”.
Come nella sua vita privata, discreta e garbata, così nella professione ricordiamo un giornalista insolito, serio, imperturbabile, innovativo e, addirittura, rivoluzionario per i suoi tempi.
Se si pensa alla trasmissione “La notte della Repubblica” andata in onda tra il 1989 e il 1990, con ben 18 puntate contenenti un fiume di ore di inchiesta, con interviste coraggiose per il tempo che furono, ai terroristi italiani.
È appena alle spalle della storia italiana la triste dinamica degli anni di piombo caratterizzati da una sequela di sanguinari attentati terroristici e dalla violenza nella manifestazione di idee e pensieri.
Eppure Zavoli, col suo impegno e con la sua capacità di mettere a suo agio, un interlocutore tanto complesso e discutibile, genera un piccolo grande capolavoro televisivo attraverso una introspezione, una silente disapprovazione dai fatti narrati e, soprattutto, una quasi inarrivabile capacità di ascolto!
Una capacità di ascolto che avvolge in un’aura misteriosa e mistica – tanto che sarà definito il giornalista di Dio- chi viene intervistato e chi da casa dietro il piccolo schermo é ipnotizzato dalle parole che scorrono e dalla spontaneità del racconto, anche quello più difficile da udire e condividere.
E poi…dove li mettiamo i suoi silenzi?
Nell’incedere delle sue memorabili interviste, restano indelebili i suoi silenzi, significativi e descrittivi, che riescono a raccontare con forza anche senza la mediazione delle parole, con una panoramica sul viso dell’intervistato o uno zoom su un dettaglio dell’espressione o della morsa di dolore, pentimento o indifferenza, un giornalismo che assieme a pochissimi altri esponenti non appartiene più ai nostri giorni, perché per farlo c’è bisogno di passione e volizione, conoscenza e condivisione, empatia e una sorta di ossequiosa riverenza per chi presta la propria voce e dona in qualche modo il racconto della propria vita al pubblico da casa, attraverso il prestito del suo insostituibile tramite.
Il suo era un giornalismo sussurrato ma che raccontava fatti, gentile ma incisivo nella presa di posizione, di inchiesta ma onesto e senza ghirigori o polemiche sterili.
Nelle sue rare ma decise dichiarazioni, anche come presidente della Commissione Vigilanza Rai, emerge chiara la sua critica e il suo rammarico per un giornalismo che ha perso la sua veste nobile ed è sempre più urlato, votato al chiacchiericcio, inciucione e appiattito, senza qualità e senza spazio ad una narrazione di qualità.
La via del sensazionalismo sterile e della gratuità del racconto volgare, polemico e litigioso in ogni rappresentazione televisiva dal talk politico alla testata di intrattenimento pomeridiano, dall’ingresso di oratori senza spessore accomodati sulle poltrone televisive di tutte le fasce orarie alla perdita di una oculata e originale differenziazione dei programmi rai rispetto alla programmazione della concorrenza privata, l’appiattimento verso il basso di una progettazione di palinsesti non più ricercati, in certo qual modo elitari e selezionati in termini di offerta, culturale e giornalisticamente veritiera, lo avevano profondamente amareggiato. Dichiarerà “Come trasmettere il senso delle cose comunicate se, per garantirsi il consenso del pubblico, si è fatto largo il costume di privilegiare l’effimero e l’inusuale, il suggestivo e il violento strumentalizzando e banalizzando persino la sacralità della vita e della morte?“.
La sua serietà e la sua fedeltà al lavoro e ai suoi ideali si manifesta, anche nella sua esperienza da Senatore, fino alla ultima seduta in Parlamento, ha portato avanti sempre con autorevolezza ed abnegazione il suo impegno politico in cui credeva e per cui lottava con l’arma della parola e il dono dell’intelligenza e della preparazione.
Determinato e volitivo, saggio e coraggioso, il suo gesto durante la rapina subita nella sua casa quando, legato ed imbavagliato, ha subito per ben 3 volte la minaccia di morte con la roulette russa e una bella vera pistola puntata alla tempia da parte dei suoi rapinatori.
Li affronterà con forza e senza esitazione…dichiarando che si rivolgeva ai banditi intransigentemente e forse con loro sorpresa, sempre e solo con il Lei e vedeva nel loro atteggiamento la sicurezza di spaventarlo e farlo accasciare a terra avvilito e ammutolito, mentre lui, invece, fiero e con un che di sfida, al terzo tentativo ironizzo’ di mettere via il giocattolo e di smetterla con quel ridicolo gioco!
Di origini emiliane, adottivo di Rimini, essendo nativo di Ravenna, per anni – ha raccontato – di primo mattino scambiava i propri pensieri e le proprie riflessioni con il suo amico di sempre, Federico Fellini.
Ed è proprio accanto a lui che riposerà per sempre e si abbandonerà fiducioso al suo sonno eterno come manifestato nelle ultime sue volontà.
“Non vorrei andarmene senza essere presente al congedo. Dopo l’evento della mia nascita, vorrei non perdermi quello, conclusivo, del congedo“.