Essere italiani, checché ne pensino alcuni, non è questione di sangue e, a ben guardare, neppure di nascita sul suolo nazionale; al di là di ogni considerazione politica e\o giuridica, essere italiani è prima di tutto un qualcosa che attiene alla cultura, a prescindere, appunto, dalle provenienze e dalle origini. Ad esempio, tra la miriade di personalità del nostro passato che si possono proporre, conoscere, almeno sulla base di riminiscenze scolastiche, Carducci fa di una persona, realmente, un italiano. Il poeta, infatti, in qualità di una delle colonne portanti della nostra Letteratura, appartiene, senza dubbio, al patrimonio identitario di noi tutti. Ebbene, se abbiamo citato proprio lui è perché, oggi, ricorre l’anniversario della sua scomparsa e ci sembra, pertanto, quanto meno opportuno ripercorrere insieme, per punti salienti (data l’impossibilità di condensare la sua vastità in un solo articolo) la sua vicenda biografica e letteraria. Un esercizio di memoria che può tornare decisamente utile, specie per quanti sono lontani dai banchi di scuola ormai da tanto tempo.
Dunque, Giosuè Carducci nacque il 27 luglio 1835 a Valdicastello, in provincia di Lucca. Nel 1838, la famiglia, per seguire il padre, divenuto medico della zona, si trasferì a Bolgheri, il paesello toscano reso famoso proprio dal poeta. Successivamente, essi si spostarono a Castagneto, che, oggi, non a caso, si chiama proprio Castagneto Carducci. Il forte legame del poeta con i luoghi della sua fanciullezza e con la Maremma, emerge in numerosi componenti, basti pensare a “Traversando la Maremma toscana”. Nella sua infanzia, poi, centrale fu la celeberrima Nonna Lucia, della quale egli parla nella poesia “Davanti San Guido” e la cui perdita fu motivo di sofferenza.
Trasferitosi a Firenze, Giosuè frequentò l’Istituto degli Scolopi e conobbe la futura moglie Elvira Menicucci. L’11 novembre 1853, il giovane entrò alla Scuola Normale di Pisa, riuscendo a vincere il concorso con un tema dal titolo “Dante e il suo secolo”. In quegli anni, insieme con tre compagni di studi, egli formò il gruppo degli “Amici pedanti”, dedito alla difesa del Classicismo contro i manzoniani. A tal proposito, bisogna sottolineare che la ripresa del Classicismo è, senz’altro, una cifra essenziale dell’espressione carducciana. Una volta conseguita la laurea, con il massimo dei voti, in aggiunta, Carducci cominciò a insegnare retorica al liceo di San Miniato al Tedesco. Qui, nel 1857, il poeta compose le “Rime di San Miniato”. Quello stesso anno, purtroppo, si uccise il fratello Dante, tragedia alla quale seguì, poco tempo dopo, pure la morte del padre.
Dopo il matrimonio con Elvira e la nascita delle figlie Beatrice e Laura, Carducci si trasferì a Bologna, dove insegnò, per tantissimi tempo, eloquenza italiana all’Università, immerso in un clima culturale fervente. Durante questo periodo proficuo, tuttavia, egli fu sconvolto dalla morte prematura del figlioletto Dante, per il quale compose, nel 1871, “Pianto antico”.
Negli anni ’60, il poeta assunse posizioni filo-repubblicane e addirittura giacobine, le quali caratterizzarono molto la sua produzione letteraria. Successivamente, però, mutata la situazione politica, Carducci ebbe una considerazione più favorevole nei confronti della monarchia, da lui ritenuta garante dello spirito laico del Risorgimento e di un progresso sociale non sovversivo. Nel 1890, non a caso, egli fu anche nominato senatore del Regno.
Nel 1906, al poeta venne assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Il premio gli fu attribuito “Non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”. Le sue condizioni di salute precarie, però, non gli permisero di andare a Stoccolma per la premiazione.
Il 16 febbraio del 1907 Giosuè Carducci, morì nella sua casa di Bologna, all’età di 72 anni.