Se quando sentite la parola “giornalista” tra i primi nomi che vi balzano in testa non compare quello di Ilaria Alpi, evidentemente, c’è un grosso problema. Perché la Alpi era una “giornalista giornalista” – per usare una citazione di un altro grande, quale è stato Giancarlo Siani -, che ha pagato con la vita il suo impegno e non si può assolutamente dimenticarla. Sì, la giovane romana, nella sua purtroppo breve esistenza, ha incarnato il senso più alto e vero di questa professione così importante per la democrazia, se solo venisse svolta sempre con la passione, l’integrità e il coraggio che hanno contraddistinto lei. Non è appunto un caso che in Italia quello del giornalismo sia un ambiente molto deteriorato e, se ci pensiamo, fa quasi impressione che certi sciacalli e venduti dei nostri giorni possano accostarsi anche lontanamente a una professionista del suo calibro. Oggi, 24 maggio, Ilaria Alpi avrebbe compiuto 59 anni e noi non possiamo che renderle omaggio, con la riverenza che si riserva ai migliori, ai maestri, ai fari che devono illuminare il percorso di chi vuole seguire il loro insegnamento.
Sono passati ben 26 anni dal suo omicidio in Somalia; ventisei anni di depistaggi e bugie; ventisei anni senza verità e giustizia sia per lei che per il suo operatore Miran Hrovatin. Quando è stata assassinata, Ilaria indagava su un traffico di armi e rifiuti tossici dall’Italia al Corno d’Africa e l’impegno per stabilire le responsabilità, fino ad ora, è stato vano. Come sappiamo, il 19 ottobre 2016, è arrivata l’assoluzione di Hashi Omar Hassan, il giovane somalo condannato in primo grado con l’accusa di aver fatto parte del commando che colpì la troupe del Tg3. Nella sentenza che stabilisce la totale estraneità di Hassan i giudici, per la prima volta, parlano chiaramente di “depistaggio”. Per gli inquirenti, egli è stato un semplice “capro espiatorio”, mentre il testimone principale, Ahmed Alì Rage, ha dichiarato il falso, essendo stato coinvolto nell’attività di insabbiamento.
Tre anni fa, poco prima di morire, la madre della giovane, Luciana Alpi, dichiarò: “Questo non è un paese democratico, basta prese in giro dallo Stato”. E questo appello noi dobbiamo farlo nostro e rilanciarlo con forza; perché la morte della giornalista è un fatto che ci coinvolge in quanto cittadini italiani. Dobbiamo pretendere, tutti, il diritto di sapere, affinché venga fatta luce sulla fitta rete di fili tra mafia, servizi segreti e Somalia, lì dove anche la cooperazione italiana stava riscuotendo grandi affari. Ilaria Alpi, ribadiamolo chiaramente, era riuscita a trovare la chiave di lettura in questo intreccio malsano e losco ed è per questo che è stata barbaramente uccisa.
Riportiamo qui di seguito uno dei suoi interventi più significativi: “Le navi della cooperazione internazionale per gli aiuti umanitari passano per i vari paesi occidentali a raccogliere armi, rifiuti tossici e scorie radioattive, che poi vengono scaricate qui nel terzo mondo. I somali, a loro volta, usano il poco denaro ricavato da questo traffico per acquistare le armi proprio da quei paesi ricchi che le costruiscono e le trasportano insieme ai veleni, gli stessi paesi che spediscono qui i loro contingenti, le loro forze armate “di pace”. Un circolo vizioso: da una parte soldati somali e americani si ammazzano tra loro, dall’altra politici, somali, militari, mafiosi, servizi segreti, businessmen italiani e somali che si arricchiscono; e intanto tre milioni di somali innocenti muoiano di fame e di sete…”
Verità e giustizia per Ilaria, “giornalista, giornalista”.