“Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un’altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di piú per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.
Ho finito. Grazie.” (Bartolomeo Vanzetti)
Il 23 agosto del 1927, poco dopo lo scoccare della mezzanotte, veniva giustiziato, sulla sedia elettrica, Nicola Sacco; qualche minuto dopo, la stessa tragica sorte toccava a Bartolomeo Vanzetti. La storia, che tutti conosciamo, dei due emigrati italiani accusati e condannati a morte, in maniera ingiusta, negli Stati Uniti è qualcosa che, nel corso del tempo, ha assunto un fortissimo valore simbolico. A contribuire in tal senso è stato anche il modo in cui i due affrontarono l’ingiustizia, cioè a testa alta e senza rinnegare le loro idee e loro origini.
Il destino dei due anarchici italiani – capri espiatori di una repressione lanciata dal presidente Woodrow Wilson contro ciò che era ritenuto “sovversione”-, non solo smosse le coscienze di tante persone di quel periodo, ma scosse l’America per decenni. Pure in Italia, comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono in quantità non appena ci fu la pronuncia. Finanche il governo fascista prese posizione e si mosse attivamente a sostegno dei due connazionali, nonostante le loro idee politiche totalmente divergenti. Tuttavia, solo nel 1977, cinquant’anni dopo la loro morte, il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, riconobbe ufficialmente gli errori commessi e riabilitò completamente la memoria dei due.
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti – pugliese il primo e piemontese il secondo -, emigrarono negli Usa nel 1908. Essi vissero e lavorarono nel Massachusetts, l’uno come calzolaio e l’altro come pescivendolo. Parallelamente a ciò, i due si impegnarono in termini politici e sociali, professando le loro idee anarchiche, idealiste e pacificiste; posizioni per le quali ebbero dei problemi con le autorità, come quando furono ritrovati con dei volantini nelle tasche. Nel 1920, in un contesto generale di odio e pregiudizio verso gli stranieri, specie se italiani, gli uomini furono accusati di essere i responsabili di una rapina a un calzaturificio, in cui rimasero uccisi un cassiere e una guardia armata. Il processo non giunse mai a provare la loro colpevolezza, anzi fu parecchio falsato dall’esigenza di dare dei colpevoli di comodo in pasto all’opinione pubblica. Sacco e Vanzetti, senza dubbio, pagarono per le loro convinzioni e per il fatto di essere italiani, una categoria che, in quegli anni, era molto disprezzata negli Stati Uniti.
Dopo circa un anno di processo, essi furono condannati alla sedia elettrica. Nonostante nel 1925 un pregiudicato si accusò di essere il responsabile della rapina assieme ad altri complici, la notte del 23 agosto del 1927, tra proteste e appelli, come si diceva, gli italiani furono giustiziati.
Quello di Sacco e Vanzetti è stato, di certo, il caso giudiziario più eclatante dell’America del Novecento, tanto è vero che, a tutt’oggi, continua a essere oggetto di ricerche, libri e manifestazioni. In aggiunta, è impossibile da parte nostra non sottolineare il fatto che questa vicenda terribile, che ha coinvolto due nostri concittadini, debba servire, specie di questi tempi, a riflettere su quanto il razzismo, la xenofobia e la cultura del sospetto e dell’odio verso lo straniero possano generare mostruosità atroci. Di poi, questo episodio storico, insieme a tanti altri, ci rivela come, nel secolo scorso, fossero proprio gli italiani ad essere additati e discriminati; a maggior ragione, quindi, duole constatare che larghe fatte della nostra popolazione non riescano ad evitare di cadere, a propria volta, nel medesimo errore nei confronti di chi, oggi, giunge nel nostro Paese da lontano, in cerca di una vita migliore e di un futuro.
Nel 1971, su Sacco e Vanzetti è stato girato anche un film – che vi consigliamo sicuramente di vedere -, per la regia di Giuliano Montaldo e con un superbo Gian Maria Volonté.