Cambia il regista (da Giancarlo Milani si passa a Giancarlo Fontana) ed alcuni protagonisti, ma il canovaccio resta identico. Usare le contraddizioni della politica per evidenziare le discrasie sussistenti all’interno dell’articolato tessuto connettivo della società civile nel suo complesso, nonchè dei singoli in particolare; specie quando messi di fronte alla necessità di compiere scelte molto personali per riallinearsi sui binari di una vita più confacente alle proprie necessità.
A otto anni di distanza dalla sua elezione al Quirinale, Peppino Garibaldi si gode la vita tra i monti con Janis – che da Kasia Smutniak ha qui assunto le sembianze di Sarah Felberbaum – e la piccola Guevara. Peppino sembra aver dimenticato ogni velleità politica e ritiene che la campagna sia la sua nuova dimensione. Ciò fa soffrire Janis, allergica a questa nuova prospettiva di vita, fin troppo asettica, morigerata, e che forse ha anche il torto di aver estratto da Peppino quel bellicoso ardore di attivismo che l’aveva portata a innamorarsi di lui e del suo veemente desiderio di cambiare la Nazione.
Il Quirinale, nel frattempo, giusto nel momento in cui si è alle prese con la formazione del nuovo governo, richiama Janis “alle armi”, peraltro in un contesto dove pare si siano ordendo sordidi complotti; questa decide di lasciare Peppino e portare con sé la piccola Guevara, con la quale parte alla volta della capitale, stavolta con l’intenzione di restarvi. Peppino capisce di non avere altra scelta: deve necessariamente ritornare alla politica attiva. Solo così potrà tentare di riprendersi la donna che ama.
L’istrionico Claudio Bisio domina la scena, anche perché si è saputo riciclare in un ruolo da attore consumato e dotato di una sterminata gamma di espressioni, variando le stesse in un battito di ciglia. Come uno stambecco saltella da una roccia all’altra, Bisio passa infatti da una totale purezza di sguardo allo scintillio che il volto traduce nell’arrivo dell’idea acuta e pungente.
La semplicità dello stile di vita di Peppino Garibaldi sa alternarsi, all’occorrenza, alla scaltra prudenza astuta del cobra. Per riconquistare l’amore di Janis, finirà per imbattersi con le imbarazzanti circostanze legate a interessi “particolari”, per lo più aventi matrice non propriamente limpida. Materia prima in abbondanza, laddove, come è chiaro, la sceneggiatura attinge a piene mani da quanto è accaduto dal 4 marzo 2018 in poi. Le ultime elezioni come spartiacque creativo fra il possibile e l’imponderabile. La trama è abile proprio perché ha una sintetica capacità di cucitura tra gli eventi più recenti, sapendo dosare le pur massicce doti di satira che il regista vuole in proposito riversarvi a corredo.
Grande leggerezza si avverte durante l’intera pellicola, che non ha alcuna velleità di schierantismo, e che focalizza molto sul concetto di “legalità di comodo” che spesso attaglia gli atteggiamenti di tanti. Rispetto della legge massimo, per carità. Specie se sono gli altri che non devono invadere il tuo orto; con meno attenzione se, viceversa, devi essere tu a non sconfinare dove non dovresti. Una realtà solo in parte mistificata dalla sottile patina della fantasia, che qui riesce ad assumere spessore ancora inferiore alla media; specie laddove nel reale, quotidianamente e sempre più spesso, di similari riscontri tanti se ne rinvengono.
Una oculata miscela di realismo – talvolta anche trucido quando si tocca, sebbene marginalmente, anche l’argomento migratorio -, funzionale all’alternarsi all’esigenza di divertire lo spettatore con alcune trovate molto carine e mai scontate.
Prendete, ad esempio, il nome del Presidente del Consiglio. Il Garibaldi, non a caso, è un soggetto particolarmente malleabile, ai limiti dell’assoggettabilità.
Ora, semplicemente, associate il nome del protagonista, scritto per esteso, con un cognome attualmente appartenente all’elite della politica reale italiana e vi renderete conto che anche la stessa scelta del nome Peppino non è stata affatto casuale