Sono giorni che circola sempre più insistentemente il messaggio diffuso prevalentemente da persone famose accompagnato dall’hashtag “body positivity”.
Sarà stato l’avvento dell’estate torrida con la necessità impellente di svestirsi o vestirsi in maniera più succinta se non addirittura lasciarsi andare alla tintarella in costume al mare o su un bordo piscina ovvero le conseguenze inevitabili della quarantena sul rapporto già difficile e litigioso con la propria bilancia per le inevitabili abbuffate nei giorni di clausura e la cedevolezza di fronte al dio cibo e al venereo lievito madre, che moltissime star o, comunque, esponenti del mondo vippettaro, altresì, comuni mortali stanno abbracciando il movimento, sentendo di rappresentarlo, dimostrando la normalità imperfetta del proprio corpo, in controtendenza rispetto ai fisici statuari che ci vengono costantemente propinati in tutte le salse.
Body positivity nasce tra il 2010 e il 2011 quando donne over size, prevalentemente di colore, hanno cominciato a pubblicare foto o immagini del proprio corpo assolutamente non perfetto tantomeno corrispondente ai canoni fantasmagorici di bellezza da formose e intramontabili Barbie in segno di protesta ad un mondo attento all’estetica fine a se stessa in grado di escludere ed emarginare chi perfetto non é né potrà mai esserlo.
Nel tempo, il movimento è divenuto un club virtuale sempre più allargato e accogliente con nuovi esponenti volti a rappresentare le più svariate forme di accettazione di sé e del proprio corpo laddove a farne parte non troviamo solo le donne grasse o non longilinee ma anche chi si sente estromesso dal mondo, uomo o donna che sia, lontano dai canoni estetici da sfilate, col naso brutto, magari basso e non magro, senza labbra da canotto con handicap fisici, con menomazioni, con scelte sessuali diverse che hanno magari comportato modifiche sostanziali alla propria identità di genere, da sempre esclusi dal popolo dei bellissimi delle passerelle.
I dettami del movimento sono sì l’accettazione di sé, amarsi per come si è coi propri difetti e i propri limiti con un che di propositivo però: l’accettazione del sé non é né deve essere, difatti, inerte e statica, al contrario porta in sé la voglia e la necessità dinamica e pervasiva di migliorarsi sempre, pur nella serenità di un rapporto col proprio corpo, positivo e costruttivo. È questa la chiave di volta della nuova ideologia sulla positività del proprio corpo: amarsi, accettarsi e soprattutto pretendere che altri lo facciano nel rispetto delle diversità, delle anormalità e della mancata – inarrivabile scultorea – perfezione.
Non esistono prototipi perfetti e irraggiungibili ma ognuno deve essere e ritenersi ricco e soddisfatto della propria unicità anche in quelle piccole imperfezioni che ci accompagnano e caratterizzano pur nel tentativo di migliorarsi e di non bastarsi ed accontentarsi se non si è contenti, se si soffre, se ci si sente inadeguati.
L’accusa che si muove alle promotrici e ai fautori di questo nuovo credo sempre più capillarmente diffuso é, di contro, di far passare, comunque, un messaggio sbagliato ovvero che, ad esempio, il grasso é sempre bello in un inneggiare le forme eccessive e l’abbondanza di chili poiché l’obesità resta una malattia seria e grave da non prendere sottogamba né decantare come un mito perché anche questo rischierebbe di essere un messaggio fuorviante e sbagliato soprattutto per gli adolescenti, spesso vittime inconsapevoli di bulimia e anoressia, proprio nel momento più critico per il cambiamento e la trasformazione della propria fiorente fisicità.
Non cedere, dunque, alla disperazione di fronte ai chili di troppo, ma nemmeno abbandonarsi ai piaceri perversi del cibo perché l’obesità come anche l’inappetenza – identiche problematiche psicologiche – non sono uno scherzo, ma imparare a rispettarsi e amarsi, come un mantra, un culto in cui credere e un modo di essere, non semplicemente sterile e fine a se stesso, bensì fattivo e propositivo con testimonianze, storie e vite vissute.
Certo, al di là della nobiltà della filosofia a cui si ispira, il Body positivity resta un movimento relegato a rappresentare singole individualità, legate, comunque, a personalità di spicco – per la maggiore enfasi data dalla loro testimonianza ed esempio – volte a promuovere il rispetto di sé e del proprio modo di essere e apparire con il rischio di ridursi a mero fattore simbolico ma non trainante e spegnersi come una fioca candela al vento.
In una società, sempre più virtuale come la nostra, dove lo scorrere irrefrenabile, automatico e quasi isterico del dito sui social è un continuo mirare, ammirare, giudicare il corpo e l’estetica, l’esteriorita’, a volte fin troppo ostentata e le immagini pubblicate ostinatamente dal quivis de populo nonché dal vip di turno dove é bello solo ciò che ottiene più cuoricini rossi a suon dei tanto desiderati like e dove il rischio del body shaming e delle sue violente conseguenze sulla fragilità e sull’emotivita’ di alcune persone più esposte e deboli diviene insidioso e a tratti persecutorio, con adolescenti che hanno rinunciato a vivere per gli attacchi vigliacchi dei bulli da tastiera, affermare un legittimo sacrosanto “io esisto così come sono” diviene rivoluzionario e stravolgente.
Sta di fatto che col tempo si è acuita la sessualizzazione delle immagini; se si scorre instagram é un susseguirsi di ragazze anche giovanissime che sfoggiano come in una vetrina di Amsterdam il loro corpo con naturale disinvoltura e disincantata sensualità, senza rendersi conto del pericolo che si annida dietro eventuali contatti e/o proposte di incontri.
Non per essere bacchettoni ma è un po’ inquietante assistere ad una mercificazione e spudoratezza nell’uso del proprio corpo e delle sue segrete tentazioni.
Ed é con tale discutibile naturale disinvoltura che un giornale patinato pochi giorni fa si é trovato al centro di velenose polemiche per aver messo in prima pagina il di dietro di una ragazzina di 13 anni la cui colpa é di essere figlia di personaggi famosi.
Accusato di una sessualizzazione spregiudicata e violenta, a tratti morbosa, senza alcuna giustificazione se non di piazzare il maggior numero di copie presso le case degli italiani a discapito della giovanissima ritratta im copertina, la difesa del giornale si basa sull’aver attuato l’oscuramento degli occhi come previsto dalla normativa sui minori: difesa che sa quasi di ridicolo considerata la sua immediata identificabilita’ e il suo agevole riconoscimento, fotografata com’è accanto ai suoi genitori ben conosciuti anche senza descrizioni didascaliche.
Siamo nell’alea della violazione del diritto alla tutela della propria immagine e della propria delicata personalità in crescita: l’ordine dei Giornalisti ha aperto una inchiesta interna, atto dovuto i cui esiti si attendono.
Se questo é il quadro contestuale conplessivo in cui si inserisce la ricerca di un equilibrato rapporto con se stessi, a fronte di potenziali attacchi su tutti i fronti, body positivity diviene, comunque, un auspicio, un rifugio, una scogliera a cui aggrapparsi.
A riaccendere la luce sul body positivity in Italia, il post pubblicato da una sorridente e gioiosa Arisa che, non smentendo la sua autoironia, autostima e intelligenza, ha proposto diverse sue foto in cui ritrae le sue vivaci rotondità, con tanto di rotolini sulla pancetta, un seno fin troppo prosperoso e le smagliature di cui fa vanto e va fiera, descrivendosi come una arancia rotonda ma sicura di sé e del proprio corpo cosi com’è coi suoi difetti e pregi , con le sue imperfezioni e beltà non canoniche incasellate nel modello della perfezione e del fisico bestiale da urlo che veste taglie striminzite e non comode.
Se volgiamo lo sguardo all’estero, Pink ha fatto del body positivity un modo di vivere: patafrasando ciò che si legge sui suoi social “se c’è un motivo per cui Dio mi ha donato le gambe così grosse e tozze…ora lo ho capito: per coltivare la mia passione che è il surf!”. Bingo: un difetto riconvertito in pregio e divenuto valore aggiunto!!!
La scelta di Arisa, come quella dei suoi compagni di avventura in giro per il mondo, ha raccolto subitaneamente e nel corso dei giorni, sempre piu’, migliaia di consensi e approvazioni per consolidare l’idea e il motto della accettazione positiva del proprio corpo e ravvivare in chi vive momenti di sconforto per un difficile rapporto con se stessi e le proprie forme, in un complesso equilibrio tra accettarsi e disprezzarsi, tra essere accettati e denigrati, la speranza non disperata di un bagliore nuovo sulla propria necessità di apparire imparando a guardarsi allo specchio con occhi e sentimenti diversi, l’attesa non più disattesa di un attestato di stima e di consenso dal mondo circostante che spia dal buco della serratura dei nostri profili e giudica frettolosamente e senza alcun riguardo né presa in carico delle conseguenze e delle responsabilità del proprio anonimo – in taluni casi delittuoso – agire e dire ovvero scrivere offensivo e ingiurioso.
Indubbiamente, il salto di qualità vero sarebbe non solo la valorizzazione del proprio autoriconoscimento e della propria autostima, comunque sia, strategie vincenti per sé, bensì l’accoglienza e la condivisione di canoni alternativi al comune sentire e vedere la bellezza nel mondo ristretto e aristocratico, solo perché fortemente selettivo, dello star system e dello spettacolo laddove come sei conta di più di chi sei e cosa pensi.
Le grandi aziende di cosmetica e di moda diffidano dal proporre nelle sfilate o nella pubblicizzazione dei loro prodotti, canoni alternativi agli scontati e inarrivabili crismi di bellezza seppure propagandano il rispetto della diversità e delle piccole normalità, in quanto al di là di mirate specifiche e selezionatissime campagne promozionali con corpi e modelli atipici che si contano sulle dita, resta invalicabile e insuperabile nonché irrinunciabile il mito e l’idillio del corpo perfetto, a cui nessuno, dai pubblicitari ai produttori ai creatori finanche ai finanziatori, riescono a rinunciare!
Per chi, anche in base alle proprie esperienze di vita, ha conosciuto gli abissi dell’angoscia, della sofferenza, della difficoltà di accettarsi, in un alternanza tra anoressia e bulimia, in preda a imperituri digiuni senza ingurgitare un chicco di riso anche di fronte a tavole imbandite, ghiotte e golose, rifiutando di inquinare o devastare il proprio io attraverso il veicolo del cibo ovvero a illogiche infinite ininterrotte abbuffate ingurgitando di tutto di più senza senso, per riempire un vuoto, spingere giù un magone, scacciare via il male di vivere tipico di una certa età, in alcuni casi sfuggevole e inafferabile, quando si è costretti a fare i conti con la propria inadeguatezza e mancanza di perfezione, leggere e sapere che altri hanno deciso di ribellarsi a questo stato di cose proponendo una visione alternativa offre una chance, una opportunità, un ritrovarsi anziché perdersi.
Allora ben venga chi un po’ più consapevole, un po’ più cosciente o forse incosciente, e se si vuole un po’ più coraggioso e sfrontato, anche un po’ più spudorato, prova a promuovere il bisogno di stimarsi e anteporlo al giudizio degli altri, costruendo con forza determinazione e grinta unite ad una voglia legittima di riscattarsi e ritrovarsi, una personalità rinnovata e preparata a saltare gli ostacoli del cuore, anche quelli più intimi e segreti legati al proprio modo di vedersi, rappresentarsi, mostrarsi, apparire, essere e, non da ultimo, accettarsi.