Dopo settimane di ricerche ed indagini al ritrovamento del corpo deturpato e fatto a pezzi di una donna nel bresciano a metà marzo, la matassa si è sbrogliata e si è risaliti alla mano responsabile di uno dei femminicidi più efferati, successi in Italia, negli ultimi anni.
Una donna di soli 26 anni, riconosciuta per alcuni suoi tatuaggi, madre di un bimbo di soli 6 anni, è stata vittima della violenza diabolica dell’uomo della porta accanto che, inquietato per la sua scelta di vivere la sua vita in un’altra città – Verona – per essere più vicina al figlio, decide di stroncarne per sempre l’esistenza con una brutalità e una lucidità spaventose.
Nei primi istanti delle sue dichiarazioni, il presunto colpevole ha parlato di “gioco erotico” finito male…
La donna era attaccata al palo, imbavagliata, con la testa coperta e legata mani e piedi, in modo da non avere alcuna possibilità di difesa o intervento, sarebbe morta per le ferite inferte in base ad un tragico accordo tra le parti.
La dinamica è tutta da verificare e dai primi riscontri gli inquirenti hanno escluso un gioco erotico finito male, quanto piuttosto una pianificazione programmata dell’evento verificatosi come vendetta per la perdita o annullamento della persona che il suo killer non poteva più possedere.
Comunque, sta si fatto che quale che sia la verità che si cela dietro il folle gesto, se davvero la povera Carol Maltesi ha acconsentito ad affidarsi in modo così totale al suo compagno, sicuramente vi era alla base un rapporto di fiducia tale da sorprenderla completamente con la sua violenza e annichilirne ogni difesa.
A colpi di martellate e, infine, con uno squarcio alla gola, il suo killer, preso da un presunto raptus di follia per dover rinunciare per sempre alla sua vicinanza, non solo la uccide senza guardarla in viso, ma organizza di tutto punto ogni fase successiva, con tanto di acquisti dedicati in ferramenta o sui siti online per poterla conservare, in attesa di decidere come liberarsi del suo corpo.
Raptus, gioco erotico, martellate e un coltello alla gola che le ha rubato per sempre la vita e cosa resta?
Resta lo sconcerto per una vita spezzata per mano di altri, una esistenza di una madre libera e giovane stroncata per l’egoismo del possesso e l’affermazione del potere del maschio congiunta alla soccombenza della donna.
E così, la prima accusa-difesa, utilizzata da chi ha poi dichiarato e giurato di amarla alla follia ai magistrati, è quella di un gioco erotico finito male e non di un premeditato piano di eliminazione della sua compagna.
Qual è il meccanismo mentale del suo Killer?
Semplice… la sua attività professionale diviene il motivo della vergogna e della gogna mediatica, lei, Carol Maltesi, aveva cominciato a lavorato nel settore del porno e così era stata riconosciuta sui social alla diffusione delle immagini dei suoi tatuaggi…i suoi tatuaggi, gli stessi che il suo amato vicino aveva provato ad eliminare invano dal corpo per scongiurarne il riconoscimento.
Il suo amore confessato agli inquirenti dissimulato dalla professione poco dignitosa della compagna che condivideva a fatica con gli altri uomini ma a cui mai e poi mai avrebbe rinunciato con l’allontanamento dal loro comune pianerottolo verso una città lontana come Verona per stare vicino al suo bambino.
E così la povera Carol è divenuta vittima due volte, non solo del suo assassino ma anche della violenza delle parole sui social che l’accusano di essersela cercata per il lavoro che faceva…per aver assecondato il gioco erotico del suo amato vicino.
Sola e isolata dalla famiglia e dagli amici, la vita di Carol, ferma sui social a mesi fa, scorreva in una sorta di ordinarietà per i familiari, considerando che dopo la sua morte, non c’era silenzio, non c’era una scomparsa denunciata, non c’era uno stato di allerta per non averla più vista o sentita, ma un via vai di messaggi dal suo cellulare al padre, addirittura per la festa del papà o al suo ex compagno, attraverso parole composite di banali comunicazioni di servizio ad opera del suo assassino per mimetizzare la sua scomparsa…ma mai in grado di ingenerare un sospetto, essendo il suo assassino particolarmente diligente e attento alle sue mosse, avendo addirittura pagato l’affitto della sua vittima per non dare nell’occhio della sua scomparsa.
Vittima due volte del giudizio di chi dichiarava di amarla e del pregiudizio che si è scatenato dopo la sua morte atroce, vittima due volte per aver perso la libertà a cui ambiva e di cui aveva diritto per decidere di percorrere la strada che voleva come desiderava, vittima due volte per essere mal giudicata anche come madre solo per la scelta fatta eppure chi la conosceva ne parla come di un’ottima madre che, nonostante la giovanissima età, era innamoratissima del suo bambino…vittima due volte della sua stessa solitudine che l’aveva spinta a fidarsi di chi diceva di amarla e l’ha costretta ad allontanarsi per sempre da tutto e tutti.
Di fronte ad un massacro di tale portata, c’è chi ha trovato, estrapolato qualcosa di divertente da raccontare, guarda caso sulla professione della ragazza e così un comico di Zelig ha pubblicato un post sconcertante che gli è costato non solo l’annullamento di tutti gli spettacoli ma una condanna unanime per la totale indelicatezza e il mancato rispetto della dignità della persona, persino, da morta.
Assuefatti all’orrore, annientati dalla brutalità della guerra in diretta h24, si rischia di perdere di vista il confine di quello che si può dire e non, divenendo quasi tutto un argomento su cui poter ridere ma non è così.
Insomma una donna libera, una ennesima donna libera che altri hanno deciso di non far vivere più, bella e gioiosa quale era.
E’ drammatico che un fatto di cronaca di questa portata dove sono chiare le responsabilità e le efferatezze possa davvero lasciare spazio nella mente di qualcuno di accusare la vittima di colpe che non ha…fatta a pezzi due volte ingiustamente e incredibilmente, la povera Carol.
La cronaca di un fatto atroce cede il passo al pettegolezzo sulla libertà di essere come si vuole, questo il vero danno che i social hanno generato dando la possibilità di dire a chicchessia la propria stronzata del giorno quando tacere sarebbe un vero toccasana.
Accavallato a questo stravolgente fatto di cronaca interno, giungono da Hollywood le immagini video di un premio Oscar che schiaffeggia, giusto un’ora prima della sua proclamazione, un comico in diretta mondiale per una infelice battuta sulla moglie.
Will Smith vince il primo Oscar della sua lunga proficua carriera vestendo i panni di un padre premuroso e vincente insieme alle sue due figlie Williams e quel ruolo, nella sua interpretazione pregevole e nella sua significanza di valore di unità familiare e di epica sportiva per il successo raggiunto dalle due tenniste famose campionesse nel mondo, gli è valso la statuetta tanto ambita oltreoceano.
Ma c’è un “ma” grande, enorme.
Will Smith si è dimesso dall’Accademy per il comportamento assunto e probabilmente potrebbe perdere la statuetta…
Ed è qui che arriva il mio secondo ma!
Sicuramente, l’azione- reazione di Will Smith, seppure volessimo comprenderla come gravissimo errore umano ovvero scivolone personale, non trova alcuna giustificazione né circostanza attenuante.
La battutaccia di cattivo gusto sull’alopecia della moglie Jada Pinkett Smith è deprecabile perché non fa ridere colpire l’aspetto fisico di nessuno, soprattutto quando esiste un problema di salute, e perché ad essere nel mirino del comico c’è una donna giudicata per il suo aspetto esteriore e basta.
Esiste un vuoto delle immagini giunte da Hollywood perché la reazione di Smith alla battuta di Chris Rock, non docile nel suo stile generalmente, è di una sonora risata mentre la moglie si annebbia e intristisce visibilmente, a questo punto, Will Smith sale sul palco tra le risate e l’incredulità della platea e tutto sembra far parte del gioco degli Oscar e di un copione scritto fin quando non risuona bello tuonante lo schiaffone cinematografico piazzato ben bene sulla faccia del comico, immobile e esterrefatto.
Manca una sua reaction immediata.
Resta la sua comicità, lo stupore della sala…ma dopo lo schiaffo, in cui non si capisce ancora se si è nello scherzo oppure no, l’attore grida furente dalla poltrona di lasciare in pace la moglie e non pronunciare più il suo nome, in modo neanche troppo elegante.
Probabilmente, il momento in cui la telecamera rifugge gli sguardi, ci sarà stato uno scambio tra moglie e marito tale da spingere l’attore ad una reazione tanto spropositata e improvvisa, nonché improvvida.
Durante tutto l’intervento e anche nei momenti immediatamente successivi la signora Smith ha preferito il silenzio, sciogliendosi in una dichiarazione “Questa è una stagione di guarigione e io sono qui per questo” di ben poche parole sulla sua malattia pochi giorni dopo ma nulla di nulla sulla “difesa” messa in atto dall’uomo che ha accanto, rispetto al quale non ha espresso parole nè giudizi nè tantomeno alcun tentativo di proteggerlo o difenderlo dalla gogna mediatica in atto da parte di chi appartiene o meno alla fulgida cerchia di Hollywood.
Sulla questione, ancora ora non vi è pace tanto che c’è chi sostiene l’attore per aver agito a tutela della moglie, malata e vulnerabile per la sua fragilità, di fronte ad una battuta completamente fuori luogo, classico esempio del body shaming tanto declamato e condannato a parole negli ultimi tempi e chi, altresì, lo accusa per aver posto in essere un atto di violenza, fine a se stesso, divenendo, al contrario, espressione becera di una mascolinità tossica che si voleva abbandonata nel dimenticatoio degli istinti e fuoriuscita, per il povero Smith, nel momento più sbagliato possibile per la sua carriera.
Le polemiche si susseguono come le prese di distanza…l’Accademy dichiara di condannare il comportamento di Will Smith e di aver avviato il procedimento disciplinare che potrebbe comportare, addirittura, il ritiro della statuetta tanto ambita.
Il parterre dell’Accademy of Motion Picture Arts and Sciences rivela di aver espulso immediatamente Will Smith dalla sala dopo lo schiaffo, ma che l’attore si sarebbe rifiutato di allontanarsi.
Qualcosa non torna!
Se effettivamente l’Accademia non voleva più nella sala del Dolby Theatre l’attore, perché assegnargli l’Oscar subito dopo? Perché concedere a chi ha appena schiaffeggiato un collega in diretta mondiale una standing ovation? Perché riprendere le scene di un estatico Will Smith nella festa successiva alla premiazione?
Il fatto è che o l’Accademy non ha avuto la lucidità necessaria per intervenire in corsa e correggere un comportamento oltraggioso e violento tout court, senza andare a fondo delle – pur legittime sotto il profilo umano – motivazioni che hanno portato al gesto, accettando la premiazione di Will Smith, concedendogli onore e gloria, tra lacrime e commozione, non solo sotto una pioggia di applausi e l’omaggio della sala quindi, oggi, la restituzione della statuetta non serve più a nulla perché l’effetto deprecabile dello schiaffo è ormai parte della storia degli Oscar ovvero si scinde tra l’uomo, Will Smith, in preda ad una collera fuori misura, incontrollabile e ingiustificabile per quanto la battuta fosse infelice e dolorosa e l’attore, Will Smith, che in virtù del suo talento ha meritato il premio assegnatogli e come tale ha il diritto di trattenerlo, per quanto rappresenterà per sempre una ferita bruciante e dolente proprio per lui.
Qualsivoglia decisione venga assunta a scoppio ritardato non avrà lo stesso impatto che avrebbe avuto nel vivo della cerimonia con una immediata netta presa di posizione tra ciò che è giusto e sbagliato con una precisa condanna a certi comportamenti che io qualificherei entrambi violenti e ingiustificabili, l’uno attraverso l’assembramento delle parole e colpendo una donna per una sua immensa ferita e sofferenza, di cui non ha fatto segreto nei suoi social e l’altro per aver ceduto alla tentazione della violenza senza alcun freno inibitorio e mentale nemmeno di milioni di persone potenzialmente davanti allo schermo, accecato da odio e rabbia e come tale, purtroppo, da espellere istantaneamente senza spazio ad esitazioni e tentennamenti, o forse, sarebbe stato più opportuno ancora autoespellersi, perché, poi, davvero è stato ed è , nelle repliche che si vedono, difficoltoso vedere il resto della cerimonia con lui tranquillamente ripreso in sala, sorridente e irridente: decisamente di cattivo gusto, seppure sul talento come attore nulla si può dire.
“MA” è una immagine che stona in un mondo che lotta contro tutte le forme di violenza, che si schiera contro la guerra e, ancor più, in un’America che vuole essere, per forza, politically correct e fallisce, completamente e in mondovisione, in flagranza di reato!