Ucraina-Russia: un conflitto logoro che ha scompaginato una realtà mondiale, spiazzando anche le più pessimistiche posizioni di chi temeva l’avvento di una guerra.
Un botta e risposta continuo tra i due leader in contrasto, attraverso una serie di simboli e simbologie molto ben particolareggiate e non per niente dettate dal caso.
Se sovrapponiamo le immagini delle loro apparizioni sui media, cogliamo ictu oculi la contrapposizione evidente tra aggredito e invasore.
Zelensky appare sempre con la t-shirt o giacca verde militare, simbolo della sua netta presa di posizione a difesa del suo popolo e della sua patria, per le strade principali di Kyiv per dimostrare che non molla, non fugge, che resta in prima linea, in collegamento coi principali parlamenti democratici del mondo, scegliendo da che parte stare e di giocare il ruolo della vittima dell’invasione (quale è) e, nello stesso tempo, dell’essere bersaglio principale della operazione militare speciale di denazificazione in atto.
Il presidente ucraino sfida l’aggressore e lo irride apparendo costantemente, chiedendo armi e sostegno all’Occidente e ieri anche ad Israele, dichiarando nazista Putin e ribaltando la narrazione russa, lanciando un ponte di rinegoziazione e pacificazione per arrivare ad un cessate il fuoco reale e rievocando, per ogni singola occasione, parole giuste e storicamente rilevanti, citando, nei suoi diversi interventi, illustri rappresentanti del passato come Churcill, Reagan, Martin Luther King, Golda Meir, rivolgendosi con il TU o chiamando per nome alcuni leader politici per avvicinarli e creare empatia immediata e, per ciascun discorso, ha toccato, con abilità comunicativa, dettata dalla sua precedente esperienza di vita, le corde emotive dei paesi o dei leader con cui ha interloquito.
In Germania ha rievocato la caduta del muro di Berlino dinanzi al Parlamento tedesco, la tragedia dell’11 settembre dinanzi al congresso americano, vissuto quotidianamente in Ucraina dal 24 febbraio, mostrando con effetto dirompente un video dell’escalation violenta della guerra soprattutto sui bambini o ieri, dinanzi ai parlamentari israeliani, connessi dinanzi ad una webcam, come controffensiva alle accuse di Putin, e ha parlato della soluzione finale – tema tanto caro a Zelensky anche per le sue origini – e del genocidio della popolazione ucraina che sta avvenendo per mano sanguinolenta della Russia e che l’Ucraina sta subendo ingiustamente.
Zelensky ha puntato moltissimo sui suoi discorsi e sulla loro efficacia comunicativa.
Peraltro, la cura delle parole scelte, unitamente ai messaggi – almeno tre al giorno – e alla continuità sui social, funzionali al coinvolgimento dei destinatari, è affidata ad un team specializzato, sotto la guida dello sceneggiatore della serie tv che lo ha reso famoso nel suo Paese e che ora Netflix ha deciso di riproporla in visione.
Ecco così accavallarsi in modo surreale le due anime di attore comico e di presidente dell’Ucraina che vive una guerra spaventosa e atroce, non nella fiction ma nella realtà.
I discorsi di Zelensky assumono, in questo contesto, una valenza più che significativa con uno stile comunicativo che è stato definito «evocativo dal punto di vista visivo e molto teatrale», per la sua abilità di far immedesimare il mondo con le sofferenze del popolo ucraino e, nello stesso tempo, di costruire una forma di propaganda, ben studiata, finalizzata a ricevere più sostegno e aiuti: cosa che di fatto sta avvenendo, discorso dopo discorso, Zelensky con la forza della verità e il coraggio di sfidare il sopruso sta ottenendo degli aiuti, certo non dal punto di vista militare, come la no fly zone, ma quantomeno un coro unanime e commosso di solidarietà, supporto, ascolto e, non meno importante, la garanzia dell’accoglienza per il suo popolo in fuga.
Questa la narrazione prescelta da Zelensky.
Il presidente russo Vladimir Putin, invece, sta procedendo con un racconto diametralmente opposto, dando vita ad una propaganda interna monopolizzata dal suo racconto e da una simbologia nient’affatto rassicurante, mettendo a bando radio e tv, escluso l’unico canale nazionale autorizzato a trasmettere per tutto il paese, e censurando tutti i social, unitamente al divieto di informazioni di qualsivoglia natura sulla guerra in Ucraina, continuata ad essere descritta come una “semplice” operazione militare volta alla denazificazione del paese occupato.
Fino alla scorsa settimana, la scelta comunicativa di Putin era rivolta esclusivamente al dialogo con l’Occidente, colpevole di aver sancito sanzioni economiche consistenti e di voler “patteggiare” per l’Ucraina e dimostrando con gli attacchi alle basi militari al confine con la Polonia che anche il sostegno occidentale è considerato bersaglio legittimo.
Qualcosa, però, è cambiato nella propaganda russa.
E’ apparso un evento in uno stadio russo con totmila spettatori presenti, in visibilio di fronte ad un Putin imbottito da un giubbotto antiproiettile che, festeggiando l’annessione della Crimea, ha ribadito le giustificazioni a supporto della guerra in Ucraina, con momenti della manifestazione ambigui sia per il montaggio delle diverse sequenze, alcune recuperate da eventi del passato, sia per il vuoto di alcuni minuti il cui contenuto è ignoto, sia per i dubbi sulla genuinità dell’evento stesso che potrebbe essere stato creato ad arte, pagando i partecipanti e consegnando loro bandiere russe, tutte della stessa dimensione e forma.
La propaganda russa ripropone immagini inquietanti che, anche a non voler rievocare tristi episodi del passato di un’ascesa al potere di potenti pericolosi e minacciosi che veicolano messaggi fuorvianti e senza dialettica nè contraddittorio cambiano inevitabilmente il corso della storia, si presenta drammaticamente evocativa di una narrazione unilaterale e menzognera.
Le parole usate da Putin che accusano il governo ucraino di nazismo rivelano la volontà non di conquistare o invadere ma salvare e liberare l’Ucraina da temibili terroristi che minacciano l’integrità della Russia e lo sguardo è rivolto non solo direttamente al paese invaso ma anche all’intero occidente che potrebbe, inviando le armi e aiutando il nemico, divenire ostile con conseguenze solo suggerite dal suo non detto o sottinteso messaggio di reazioni nucleari.
Nazismo e denazificare sono accuse tremende, e seppure la situazione del conflitto persistente da anni nel Donbass non sia stata per nulla semplice e non possa liquidarsi con una ripartizione equa di responsabilità tra russi e ucraini, divengono deterrente rispetto alle accuse di aggressione e distraggono la popolazione russa rispetto ai veri obiettivi di Putin che, a dire il vero, non sono ancora del tutto chiari.
Zelensky continua a chiedere una negoziazione, addirittura un incontro con Putin per rallentare il conflitto e trovare una mediazione di pace, ma nonostante le grandi difficoltà che l’esercito russo sta incontrando sul terreno ucraino, non vi sono al momento le condizioni per un cessate il fuoco.
L’Occidente freme, prova a mediare, rifiuta l’Ucraina nella Nato e nella UE, per non esacerbare gli animi e ritrovarsi di fronte ad un conflitto di proporzioni mondiali, allora le prospettive di una guerra lunga, logorante, atroce, estenuante sono l’unico orizzonte potenzialmente possibile in questo momento.
La storia non ci ha consegnato ancora la fine di questa improvvisa devastante deviazione dalla pace, la pace tanto ricercata dopo la seconda guerra mondiale e acclamata con la fine della guerra fredda, considerata ormai una nostra sicurezza e, invece, polverizzatasi tra le mani dei potenti della terra per non aver saputo cogliere un grido di accuse e una minaccia all’equilibrio della terra, che ripercorrendo la storia degli ultimi anni poteva essere prevista.
Non abbiamo avuto il tempo di tirare un sospiro di sollievo dopo la pandemia che ancora ci affligge, che è arrivata la guerra, la fuga disperata di migliaia di innocenti cittadini ucraini, le città assediate, le accuse di violenze ai danni delle donne ucraine, la tenaglia intorno ad una nazione libera, democratica e indipendente, le maratone di Mentana esplicative che ci fanno compagnia per provare a districarsi nella narrazione di un conflitto che genera ancora, a distanza di tre settimane, incredulità e la speranza di uscire davvero da questo incubo nel più breve tempo possibile.