Ormai “l’ippoterapia” (termine inflazionato ed abusato) è di pubblico dominio e conoscenza, ma cosa sappiamo veramente di questo affascinante mondo? Scopriamolo insieme con Mariarosaria Battagliese (Psicologa clinica e di comunità, Vice-Presidente dell’Associazione “Parco del Cilento”- Centro Studi “M. Franciulli Battagliese” di Ascea, coordinatore tecnico di Riabilitazione Equestre, tecnico FISE, specializzata in interventi assistiti dal cavallo, dall’asino, dal cane e dagli animali d’affezione, docente FISE, docente A.I.COTE.)
Prima si sentiva parlare solo di “ippoterapia”, ora dai tecnici del settore viene usato spesso il termine “riabilitazione equestre”; sono cose differenti o è solo cambiata la terminologia?
Il termine utilizzato è riabilitazione equestre e fa riferimento a quelle tecniche che, secondo un programma terapeutico specifico, attraverso il rapporto che si instaura tra cavallo e utente, favoriscono un miglioramento dell’autonomia di quest’ultimo. L’ippoterapia, invece, è solo una delle discipline che ne fanno parte in cui l’utente non conduce il cavallo autonomamente ma c’è un coadiutore che lo porta, da terra.
Quando nasce?
Il “potere terapeutico” del cavallo è riconosciuto da molti secoli. Già Ippocrate, incontro al 400 a.C. sottolineava gli effetti positivi dell’equitazione sulla salute della mente e del corpo. In seguito i primi Paesi a praticare in modo sistematico tale strategia riabilitativa sono stati quelli anglosassoni e scandinavi. In Italia, la RE ha iniziato a svilupparsi nei primi anni del 1970 ma dal 1995 in poi vi è stata una sempre maggiore diffusione sia a livello scientifico, che organizzativo e formativo, così come è avvenuto negli altri Paesi.
Perchè il Cavallo?
Riassumendo, possiamo dire che le persone con difficoltà neurologiche e neuromotorie, in base alla loro patologia, possono trovare benefici dalla posizione che si assume a cavallo e dal suo movimento che trasmette delle stimolazioni che agiscono favorendo molti aspetti.
Nelle persone che hanno difficoltà mentali (intellettive, emotive, affettive, relazionali), il cavallo può favorire un miglioramento delle abilità relazionali, attentive, emotive. La riabilitazione equestre è una strategia attiva.
Inoltre il cavallo riesce a recepire i segni della comunicazione non verbale e ciò favorisce la relazione anche con i pazienti che non parlano: possono sentirsi accolti e compresi dal cavallo. Fondamentale, quindi, è la relazione tra utente e animale ma anche quella con il referente di intervento che deve essere sempre presente e mediare. Non basta, infatti, che ci sia un cavallo e una persona con difficoltà per dire che si sta facendo riabilitazione equestre.
Nei casi in cui è possibile, nel momento in cui la persona impara a condurre il cavallo autonomamente, percepisce ancora maggiormente se stesso non come il “dis-abile”, colui che non sa fare, bensì come una persona capace di incidere su una realtà complessa come il cavallo. Inoltre il soggetto realizza il fatto che il cavallo sarà in sintonia con le sue indicazioni solo se si relaziona ad esso in modo corretto, non impulsivo o aggressivo. A mio avviso il cavallo è un grande educatore.
Quale Cavallo?
Non esiste una razza o un cavallo ideale però, sicuramente, ci sono degli accorgimenti indispensabili e delle linee guida da tenere in considerazione. Innanzitutto, il benessere fisico e psichico del cavallo deve essere garantito e monitorato costantemente.