A due anni e 8 volumi dal suo arrivo in Italia, è forse il momento di parlare apertamente dell’elefante nella stanza. Radiant, scritto e disegnato dal Francese Tony Valente, è un manga prodotto in Europa. Se non il primo, quanto meno il primo di una certa rilevanza. Edito da Ankama (la società creatrice di Wakfu) a partire dal luglio 2013, questa serie è stata in grado di convincere non solo gli europei, ma gli stessi giapponesi. Tradotta in diversi paesi, tra cui Germania, Spagna, Polonia e Stati Uniti, sbarca nel Sol Levante fin dal 2015. Lì il suo successo le guadagna addirittura il diritto all’ anime. Lo studio Lerche ha infatti prodotto una serie animata di 21 episodi, andati in onda dal 6 ottobre 2018 al 23 febbraio 2019 su NHK Educational TV. A portare il fumetto in Italia invece è stata Mangasenpai nel marzo 2017, facendone per altro il suo cavallo di battaglia.
In fondo era solo questione di tempo, per fortuna, prima che la cross-contaminazione culturale tra fumetto occidentale e giapponese, che ormai ha toccato alcune generazioni, producesse un prodotto apertamente e consapevolmente ibrido. Sottolineo apertamente, dato che l’influenza nipponica sul fumetto occidentale non è cosa proprio nuova. Basta ripensare alla profonda impressione che ha esercitato a partire dagli anni ’80 su autori seminali per il fumetto occidentale, come Frank Miller. Va almeno ricordato l’esempio di Ronin, fortemente debitore del magnifico Lone Wolf & Cub. Fino a quel momento però la contaminazione si era limitata ad una vaga, anche se percettibile influenza: suggestioni e grammatica nipponiche, declinate nella sintassi e nello stile occidentali. Già Wakfu aveva inaugurato una operazione diversa, e certo anche piuttosto rischiosa: produrre un “prodotto tipico” – una serie animata dal chiaro stile anime – a migliaia di chilometri di distanza dalla sua terra d’origine. E per di più coniugandola con la sensibilità stilistica e culturale locale. L’esperimento è stato abbastanza interessante da costituire un piccolo caso, diventando un instant cult dell’animazione europea. Esperimento multimediale che ha aperto la strada ad una serie di tentativi successivi, di cui Radiant sembra al momento il più riuscito. Mostrando una buona consapevolezza degli stilemi del genere, Valente riesce a piegare lo stile shonen ad una sensibilità stilistica e narrativa europea, creando qualcosa di percettibilmente diverso dalla maggior parte dei prodotti dello stesso genere. Fantasy-action dai toni comici e con una vocazione corale, Radiant è ambientato in un tranquillo universo in cui dei mostri, denominati nemesis, cadono a caso dal cielo. Portano è ovviamente morte e distruzione, e fermarli è quasi impossibile dato che toccarli a mani nude significa morte quasi certa. Gli unici a poterli affrontare sono gli stregoni, una piccola percentuale di esseri umani sopravvissuti al loro tocco, acquistando l’abilità di manipolare la fantàsia, l’energia magica che permea ogni cosa.
Il primo particolare interessante è il fatto che il potere degli stregoni scateni su di loro anche una serie di paure e preconcetti. Agli occhi degli esseri umani infondo, essi sono molto simili ai mostri che combattono. Sono dunque nella complicata doppia posizione di “minoranza” marginalizzata e unico strumento di difesa contro l’aggressione dell’Ignoto. Tanto che l’”inquisizione” dà loro la caccia. La minaccia dei mimesis in realtà appare più che il tema centrale, lo sfondo di una intricata trama di difficili rapporti sociali. L’aggressione dell’ignoto, un po’ come in The Myst di Stephen King (giusto per fare un esempio), serve soprattutto a mostrare il comportamento umano in condizioni di pericolo. L’idea non è proprio nuova: stressare la realtà per descriverne le conseguenze è uno dei compiti fondamentali della letteratura fantastica. O almeno di quella che fa il suo dovere. Il merito di Radiant però, è quello di far emergere tale elemento con un livello di articolazione non scontato in prodotti simili. È lì che si concentra l’occhio del narratore, attraverso gli spostamenti del protagonista Seth. Egli stesso è per altro un personaggio dalla doppiezza interessante: da un lato ingenuo, irruente e comicamente sciocco, come tanti suoi simili, ma dall’altro capace fin da subito di intuizioni piuttosto acute.
La grande varietà di tradizioni e istituzioni inventata da Valente, liberamente ispirata alla storia europea, consente di imbastire un intreccio complesso, fatto di scontri non solo fisici, ma anche politico-economici e culturali, tra poteri, visioni e strategie drammaticamente diverse. Il risultato, per quanto a volte un po’ verboso, è una narrazione abbastanza imprevedibile, che fa a meno del riduzionismo tipico delle serie action: a muovere la trama non è una fonte di potenza ( fantàsia è solo l’ennesimo nome di un elemento narrativo che ne ha già avuti altri mille: auree, chakra, ren, cosmo….), ma un complesso di abilità, tecniche e strategie anche discorsive, che restituiscono in maniera divertente un difficile pluralismo di valori e la difficoltà delle scelte ad esso collegata. Ovviamente tutto questo farcito di classicissime mazzate pirotecniche, dato che vuole pur sempre essere uno shonen-manga. Dalla non comune godibilità per altro, dato il tratto efficace, pulito e iperdinamico di Valente, che anche in questo coniuga felicemente la lezione francese con quella del Sol Levante.
Gli stilemi dello shonen vengono così piegati alla trasfigurazione avventurosa della contemporaneità europea, fatta di grandi e piccole differenze e soprattutto di difficili convivenze. Ma anche possibile nodo tra culture, in grado di produrre, come ha già fatto in precedenza, qualcosa di radicalmente nuovo.
Come ad esempio un euromanga in grado di conquistare il Giappone.