La storia del Regno di Napoli fu caratterizzata da innumerevoli violenze, un tragico esempio fu il linciaggio di Giovan Vincenzo Storace.
Fu un massacro collettivo così feroce e violento che diede origine al verbo “Starracciare“, che stava ad indicare una punizione mostruosa.
LE CAUSE :
Nel 1585 Filippo II scriveva al viceré di Napoli don Pedro Tellez Giron, Grande di Spagna e Duca di Ossuna, richiedendo l’invio della maggior quantità di frumento, per fronteggiare una grave carestia in Spagna.
Il Viceré insieme a gli Eletti della Città di Napoli stabilirono di inviare 400.000 tomoli di grano, operazione dalla quale il Viceré e i grandi feudatari proprietari di latifondi coltivati a grano ricavarono ingenti guadagni.
Ma la mancanza di questo grano e la crisi alimentare che si abbatté sulla città provocò un forte malcontento plebe che si ritrovò affamata.
Il 7 maggio del 1585 gli Eletti, saputo che vi era grano solo per pochi giorni, ebbero un’idea, a parer loro brillane, decisero di diminuire il peso delle ”pallotte” di pane da 48 a 38 once, però fecero restare il prezzo sempre lo stesso.
Alla riunione non partecipò l’Eletto del Popolo Giovan Vincenzo Storace perché affetto da gotta e quindi quel giorno stava male. Lo sostituirono due Consultori uno dottore in legge e un dottore “fisico”, che si opposero al provvedimento ma restando in minoranza.
Alla notizia l’Eletto Storace ,convocò 29 capitani delle Ottine e i dieci Consultori presso la sede del Sedile del Popolo nel convento di Sant’Agostino alla Zecca, alla riunione dichiarando che si sarebbe opposto “al mancamento del peso del pane” e che avrebbe portato il problema davanti al Viceré.
Il sabato precedente alla festa di San Gennaro alla Selleria, “Fissò un’ assemblea per il 9 maggio nel chiostro di Santa Maria La Nova raccomandando ai 29 Capitani di presentarsi con soli due membri per la scelta dei delegati.
Il 9 maggio però la plebe era inferocita, nelle botteghe non si trovava più pane.
Quando giunse al chiostro, portato su una portantina da due servitori perché ancora afflitto dalla gotta, lo aspettava una folla immensa. Fu accusato di essere la causa della carestia, fu insultato e minacciato di morte, poi fu preso e trascinato fino al Sedile del Popolo a Sant’Agostino.
A Mezzocannone la folla si armò saccheggiando il negozio di un “lanziere”, intanto Storace pregava la folla di non ucciderlo.
Alcuni frati del convento di Sant’Agostino riuscirono a sottrarlo dalle mani dei suoi carnefici rifugiandolo in una cappella, ma venne raggiunto e preso a bastonate e pugni per poi venire gettato in una tomba fu poi preso e trascinato fuori dalla tomba fu trafitto con uno stocco. Ma tutto questo alla folla inferocita non bastò, lo trascinarono per tutte le strade principali della città, e ad ogni passo sfogavano la loro rabbia sopra quel cadavere, con sputi, sassate, pugni e calci, era talmente mal ridotto che era irriconoscibile, ma non si fermarono, gli tagliarono il naso gli cavarono il cuore e lo sbudellarono, non contenti gli tagliarono un braccio, e una gamba, e tutte queste cose poi le portavano su le punte delle spade, come trofei .La folla poi prese d’assalto la ricca casa di Storace saccheggiandola.
Un gruppo di nobili cercarono di calmare la plebe. Fra essi vi erano: Cesare d’Avalos, Gianfrancesco di Sangro duca di Torremaggiore, Alfonso Carafa duca di Nocera, Giambattista Spinelli duca di Castrovillari, ma alla fine furono i Gesuiti che posero fine al saccheggio.
Quello che restava del corpo dell’Eletto venne abbandonato nei pressi di una cappella dedicata a San Giovanni Battista alla piazza della Marina del Vino. Gentiluomini pietosi composero le membra in una cesta acquistandone pezzi da uomini che li agitavano come trofei.
Dopo tutto ciò le autorità corsero ai ripari: il peso del pane fu nuovamente aumentato e da tutto il Regno arrivò il grano adottarono in oltre misure severe contro i bottegai che vendevano vino andato a male, si nominò il nuovo Eletto del Popolo nella persona di Orazio Palomba.
Lo scempio del cadavere dette origine al verbo “starraciare” che per moltissimi anni significò massacrare, fare a pezzi. Di solito “Mo te starraceo” era la minaccia che si proferiva nel corso di una rissa.
Alla fine i massacratori di Storace furono catturati, i cortei che li portavano verso la morte sfilarono per la via degli Armieri, davanti al Palazzo del Viceré e al convento di Sant’Agostino alla Zecca dove per molti avvenne il taglio della mano, per la Vicaria e il Lavinaio per arrivare infine a piazza mercato. Durante il tragitto molti condannati gridavano:
“Mo’ haviti pane et vino: non parlate e noi andiamo a morire”. Le esecuzioni cominciarono il 27 luglio e finirono al 13 novembre.
Sul luogo dove sorgeva la casa di Gio Leonardo Pisano si costruì un monumento in pietra nel quale furono sistemati in apposite nicchie chiuse da sbarre le teste e le mani di 24 giustiziati, altre furono sistemate sul cornicione, al centro vi era una lapide di marmo a memoria eterna del delitto.