“Non è tempo dell’indifferenza o della dimenticanza. O siamo fratelli o crolla tutto“.
Queste le parole del Papa di pochi giorni fa che hanno rappresentato anche il file rouge dell’intervista di ieri sera a Che Tempo che fa.
Colpaccio di Fabio Fazio che ha attirato su di se l’invidia di molti colleghi per il privilegio di avere come ospite d’onore niente di meno che il Pontefice, in diretta video dalla sua residenza, Casa Santa Marta.
Molti cattolici conservatori hanno criticato la scelta del Papa, parlando, in modo provocatorio, di “una accentuata secolarizzazione (o sconsacrazione) del papato“.
In realtà, il Papa ha dimostrato con la sua partecipazione ad una intervista in diretta tv di essere un vero rivoluzionario nella Chiesa e, forse, per questo inviso da una parte del Clero bigotto ed estremista.
La sua indignazione per lo stato di guerra, attuale, si è avvertita nel tono di rimprovero delle sue parole contro le condizioni di aggressività e di odio a cui si assiste, non solo per l’escalation del potenziale conflitto nel confine Russia-Ucraina, ma per le logiche di ostilità che stanno cambiando il modo di relazionarsi dell’umanità.
Il Santo Padre ha parlato, infatti, di guerra, non solo intesa come conflitto armato, altresì, di “guerra ideologica, commerciale, di potere, per andare avanti e tante fabbriche di armi”, tanto che con sentito dolore ha rammentato come con l’importo della produzione di armi di un anno si potrebbe “dare da mangiare e fare educazione per tutto il mondo in modo gratuito“.
Ma questo dice il Papa non è in primo piano…in primo piano c’è il conflitto di qualsiasi natura si tratti, solo in secondo piano troviamo la povertà, la sofferenza, il disagio, la distruzione: è una questione di categorizzazioni con cui occorrerebbe fare i conti.
La guerra è un controsenso, un antisenso della creazione stessa, “la guerra è sempre distruzione. Fare una famiglia, portare avanti la società è costruire, la guerra è distruggere“.
Assist perfetto per affrontare il tema tanto caro dei migranti e del disastro del Mediterraneo che, in più occasioni, Papa Francesco ha definito senza esitazioni un cimitero a cielo aperto…dove non importa da quale sofferenza si provenga, dalle torture e abbrutimenti a cui si è sottoposti prima del viaggio ma poi il viaggio diviene un viaggio verso il nulla, verso la brutalità del rifiuto, verso la morte certa e ignorata.
Parla di politica immigratoria che andrebbe finalmente affrontata in chiave unitaria in Europa con una quantificazione dei migranti che ciascuno Stato può accogliere presso di se come risorsa umana fondamentale e come risposta ad un bisogno di aiuto sempre più pressante, insistente e drammatico.
Le quattro parole usate dal Papa sono: accoglienza – accompagnamento – promozione – integrazione.
E le spiega, si premura di spiegarle attentamente.
Valore assoluto viene riconosciuto alla prima e all’ultima fase del processo di accoglienza: l’immigrato, disperato, spesso solo, privo di tutto e lontano da tutto, in fuga aggrappato alla speranza di un possibile futuro, deve essere accolto e accompagnato, mano nella mano, in un percorso di inserimento, di comprensione e di promozione della sua personalità e delle sue capacità, a questo punto, l’iter si completa con l’integrazione, che, attraverso le parole del Pontefice, acquisisce un significato simbolico aulico, come termine di un processo di completamento della dignità umana in grado di contribuire nella società e di essere parte attiva di essa, e non emarginata, nascosta, clandestina e ancora più disperata.
E così Fazio chiede come fa il Papa a sopportare il dolore dell’umanità, il peso di tanta sofferenza che gli viene riversata addosso dai fedeli, dai disperati che invocano una sua preghiera, una sua intercessione con Dio.
Ebbene, Papa Francesco, che non a caso ha scelto di ribattezzarsi con tale nome, stigmatizza il concetto della sua normalità di persona comune quando dice “sopporto come tanta altra gente. E poi non sono solo. Ho uomini e donne brave che mi aiutano, non sono un campione di peso che sopporta le cose, sopporto come sopporta tanta gente“.
La cosa grave è non guardare, prendere le distanze, non toccare le miserie, non sentirle con il cuore, è questo che rende difficile la comprensione della sofferenza, e riporta alla memoria la vita che viviamo da quasi due anni con la pandemia, laddove tanti medici e infermieri hanno sofferto tanto e, nonostante tutto, sono stati al servizio della cura dei malati, a volte morendo per il valore della causa e in virtù della battaglia contro il coronavirus che li vede ormai in prima linea ininterrottamente da due anni.
Riporta al centro del dialogo con Fazio il tema a lui tanto a cuore dell’indifferenza, del girare lo sguardo, nel voltarsi di fronte al dolore, nel non entrare in contatto con il dolore.
E si rammarica di non potersi dare una spiegazione nè razionale nè tantomeno religiosa della sofferenza dei bambini malati: è talmente inspiegabile che anche Lui non riesce a darsi una risposta.
Allora, la forza è la Onnipotenza Dio, un’onnipotenza nell’amore che fa da contraltare al dolore e che la preghiera può sicuramente favorire.
La preghiera che non viene descritta come semplice litania delle preghiere o liturgia ecclesiastica, al contrario viene considerata come un dialogo ininterrotto con Dio, fatto di perché e di fiducia, di affidamento, proprio come quando i bambini nei primi anni di vita, alla scoperta del mondo, si rivolgono all’immagine rassicurante del padre e della madre per ottenere non solo risposte ma anche sicurezze.
E sulla famiglia ha espresso di nuovo il bisogno di vicinanza e di complicità genitori-figli, intesa come antidoto alle incomprensioni e idonea a colmare le inevitabili distanze generazionali.
E con dolore parla dei suicidi giovanili in forte aumento negli ultimi anni, che testimoniano la sofferenza, la manifestazione di un odio acquisito prima attraverso il flusso pericoloso delle parole e del chiacchiericcio, inteso in senso dispregiativo come ingrediente di odio e di discriminazione, condannando il linguaggio complesso e a volte violento dei social e non solo che possono generare forme di bullismo, razzismo, persecuzione e sofferenza.
Un’aggressività sociale la definisce il Pontefice che parte dalla violenza delle parole e si tramuta in comportamenti che possono compromettere la fragilità delle persone, soprattutto di quelle più giovani.
I giovani che più di tutti hanno dimostrato di avere a cuore il bene e il benessere del nostro Pianeta, di quella che amabilmente Papa Francesco definisce Madre Terra, con la responsabilità di tutti di rispettarla e non continuare a molestarla e distruggerla.
Richiama i concetti delle popolazioni primitive, ancora esistenti in alcuni anfratti del mondo, che hanno coniato una definizione molto interessante per descrivere il rapporto che lega la Terra all’uomo, il “buon vivere”, inteso come amare, entrare in relazione e prendersi cura del creato che diviene una vera vocazione a cui rispondere con comportamenti e scelte responsabili.
Alla domanda, prettamente cristiano cattolica di Fazio, sulla natura del perdono umano e divino, il Papa si fa testimone della parola del Vangelo e della parola di Dio, laddove riconosce come diritto fondamentale dell’uomo quello di essere perdonato…e ha evidenziato che l’uomo nasce buono ma è libero ed è la libertà che fa da perno verso il bene o verso il male.
Sono discorsi e temi profondamente religiosi, è vero, ma anche profondamente umani e in certo senso laici, perché al di là della visione religiosa del peccato, un diritto di redenzione interiore va riconosciuto a chiunque abbia sbagliato e abbia compreso di aver sbagliato.
E questo rievoca un pò quello che sta accadendo intorno a noi: fino ad una anno fa si cantava dai balconi “abbracciami”, si auspicava l’uscita dal tunnel mano nella mano col vicino, con l’amico, con l’altro da noi, colpito come noi dalla valanga della pandemia e, invece, oggi ci ritroviamo in un mondo che si è incattivito, che è ostile, che non ha fiducia, che non si affida all’altro, in un contesto in cui la guerra nelle sue varie declinazioni la fa da padrona!
E la politica non può esimersi dalla sua parte di responsabilità: il Papa parla di ombre che oscurano la politica e la rendono impotente a far fronte alla realtà.
Sulla Chiesa, l’immagine che ama dipingere e che ci consegna è quello di una Chiesa in pellegrinaggio, in continuo pellegrinaggio, una chiesa attenta ai fedeli, pronta all’ascolto, ma, di fatto, e questo spiega le rivalità interne allo Stato Vaticano contro Papa Francesco, ci troviamo, a volte, di fronte ad una chiesa dotata di mondanità spirituale che è uno dei mali peggiori perchè fa crescere il clericalismo, che Papa Francesco non si esime dal definirla una perversione della chiesa, “una rigidità” e, come ogni tipo di rigidità, genera acredine.
Insomma, il Papa non gliele manda a dire, affronta i nemici della sua visione e del suo modo di essere de visu e lo fa con serenità e pacatezza, doti che lo contraddistinguono da sempre, dal primo momento in cui ha salutato i suoi fedeli da Piazza San Pietro, e ai suoi detrattori ribadisce di non aver scelto di vivere nello Stato Vaticano perchè, a differenza dei Papi che lo hanno preceduto, lui non è un santo e ha bisogno di una vita semplice e di incontrare gli amici, pochi, ma che ci sono nella sua vita e la partecipano e la vivono nella dimensione più intima di Santa Marta, scelta come sua dimora esclusiva.
E tra una bordata e l’altra, un pò di politica estera, una sollecitazione per la costruzione di una politica immigratoria condivisa, comune e comunitaria, intesa nell’unità dell’Unione Europea, una tiratina d’orecchie ai governanti oscurati nella gestione del potere, una raccomandazione ai concetti di vicinanza fondamentale per costruire una famiglia salda, un richiamo all’importanza della cura della salute del nostro pianeta, una condanna aperta ad ogni forma di guerra, ci scappa pure qualche confessione, come il desiderio da piccolo di diventare “macellaio” perchè quello del suo paese aveva una tasca piena di soldi, ovvero l’amore per la musica che dichiara di ascoltare e la danza, tra cui cita anche l’amore per il tango, date le sue origine latine, la passione per la chimica e la medicina, esistenti nella sua vita prima della vocazione, quando, come Fazio ha sottolineato, è divenuto, a tutti gli effetti, un medico delle anime.
La conversazione con il Papa, che ha occupato una buona parte della trasmissione di Che Tempo che fa, scivola serena e disinvolta, e a prescindere dalla propria posizione o credo, resta una bella intervista densa di valori e principi fondamentali, che richiamano un pò, come in modo laico, ma insistente ha fatto il Presidente Mattarella nel suo discorso per il secondo settennato laddove ha ribadito la parola dignità declinandola in tutte le sue forme espressive ed enucleazioni esistenziali, nel rispetto dell’altro, nel condannare tutte le forme di odio, discriminazione, razzismo, isolamento, nel denunciare un’inerzia politica, oscurata dalle incertezze e dai conflitti, ebbene ritroviamo nel Papa la rassicurazione che, nonostante i tempi, i valori fondamentali restano sempre gli stessi e sono universali, non solo religiosi.
Alla domanda sul perché chiede di pregare per lui, il Papa risponde con una immagine iconica del cinema italiano, sotto la direzione di una personalità del calibro di Vittorio De Sica che elemosinava 100 lire a mano aperta e che il Papa trasforma nella simbolica immagine di chi tende la mano per chiedere cento e più preghiere per lui.
E penso che chiunque abbia ascoltato questo grande Statista spirituale, a suo modo, rivoluzionario, al tempo stesso così vicino e così aulico, così rasserenante e mistico, così semplice e familiare, non possa non aver pensato di dedicargli una preghiera, un pensiero, un messaggio di vicinanza per un uomo che ama definirsi comune ma che comune non è!