Primo Natale al cinema per l’ormai celebre duo siciliano, e con discreti risultati. Ficarra e Picone avevano la necessità di pervenire al giusto equilibro narrativo e di trovare la formula giusta, idonea a poter canalizzare in sala flussi di utenti-famiglia, senza sconfinare in quel laicismo fin troppo esasperato che ormai sembra dilagare un po’ ovunque, più per “moda para-politica” che per reale convinzione personale. In questa occasione, dalla loro ormai inossidabile joint-venutre è nato un film rivolto a una ampia fascia di pubblico (bambini compresi, visto che la proiezione sarà “farcita DELLA PRESENZA DI MOLTI LORO COETANEI.
C’è da dire che hanno il merito di non aver scelto la via del semplificato escamotage, cui troppo spesso si ricorre per mancanza di idee e budget ridotti. Del resto, la loro comicità ha sempre puntato alla semplicità e ai toni diretti ma mai protesi al vituperio, e questo risulta un approccio che pare funzionare anche nel lungo termine. Nicola Guaglianone, con la sua partecipazione alla stesura della sceneggiatura, ha avuto modo, evidentemente, di consolidare questo processo, dando prova della loro raggiunta maturità attoriale.
Non vi aspettate un film con pistolotti e messaggi subliminali. No, qui si punta alla risata leggera, oserei dire scanzonata, con una contenuta spruzzata di spunti di riflessione qua e là. Insomma, niente per cui chiedere la preventiva vaccinazione. E andiamo alla trama…
… Salvo, ateo manifesto, è un ladruncolo che “commercia” in articoli di arte sacra.
Padre Valentino è al contrario un fervido sostenitore della preghiera, con una particolare propensione all’adorazione presepiale.
Salvo tenta di rubare la statuetta del bambino Gesù; Padre Valentino lo scopre e lo rincorre.
Et voilà, non chiedetemi per quale motivo, l’inseguimento dà luogo a un balzo indietro nel tempo.
La strana coppia si trova di punto in bianco proiettata nella Palestina dell’anno zero, ovvero proprio nel luogo e nel tempo in cui sta per venire alla luce Gesù.
La nascita di Gesù resta un elemento narrativo perfetto per farci riflettere sulla condizione degli ultimi, di quelli per i quali non c’è posto, dei perseguitati costretti a lasciare la propria terra.
Ecco allora che la sgambettante parte iniziale riveste via via sempre più valore di avviso nel perseverare nell’azione. Fin quando si guarda da fuori è facile promulgare sentenze, anche ciniche, ma quando il tutto va a sfiorare la propria pelle e la propria vita il cambio di visuale va pesantemente a influire anche sulle nostre stesse valutazioni, ovvero quelle stesse idee che ritenevamo, fino a qualche istante prima, indissolubili e invariabili.
Tutto questo – in uno a un lieve approfondimento nel rapporto, quasi asintomatico, che talvolta sussiste tra preghiera e azione – ci viene somministrato in un contesto scenografico di qualità e che in ogni modo strizza sempre e convintamente l’occhio all’intrattenimento.
Il duo siculo va quindi a cimentarsi con uno dei più misteriosi principi sviscerati tanto in letteratura quanto nella cinematografia: il viaggio nel tempo. E riescono a dosare, con il giusto equilibrio, ricordando un po’ il “Non ci resta che piangere” della coppia Troisi-Benigni, il desiderio di chi, provenendo dal futuro, può anticipare gli eventi con lauta sicumera nei confronti di chi, il passato, lo sta vivendo come presente.
Ciò evitando delle idiosincrasie che andrebbero ad attenuare in breve tempo l’attenzione dello spettatore, che invece resta ben catalizzata dalla gigantesca curiosità che i due mostrano rispetto al contesto temporale nel quale si trovano all’improvviso scaraventati.
Ficarra e Picone sono una coppia collaudata. Alla sfrontatezza di uno va sagacemente a contrapporsi l’aria di disincanto dell’altro. Certo che questo film può giovarsi di un ingrediente segreto, ovvero uno degli attori italiani più bravi in circolazione: Massimo Popolizio, che impersona un Erode dotato di inusitati livelli di maliziosa intransigenza.
Efficace proprio perché somiglia a quei tanti Erode che circolano tra noi, al giorno d’oggi.