“In nome di Dio, fermate questo massacro”, queste le parole addolorate del Papa.
Il risveglio di una domenica di Quaresima con il rimbombo a distanza delle bombe per la prima volta giunte alle porte di Europa, delle urla strazianti del popolo ucraino in fuga dal proprio paese, del silenzio della paura di chi vive rintanato nei sotterranei in cerca di salvezza, delle minacce di una guerra – tale è ! – che non si arresta e non si placa nella sua crudeltà e nella sua violenza, nemmeno di fronte alla preghiera implorante dei civili inermi che provano a scappare e che trovano pericolosi, persino, i corridoi umanitari, allo stato non sicuri, che di umanitario spesso non hanno nulla, colpiti dai cecchini e dai mortai e missili russi.
A ciò si aggiunga l’attacco alla sede del Centro internazionale per la pace e la sicurezza che si trova nel distretto di Yavoriv, a circa 30 km a nord-ovest di Leopoli, ad un passo dal confine polacco ed è un campo di addestramento militare, dove risulta probabile la presenza di mercenari stranieri che i russi avevano esplicitamente definito come bersagli legittimi.
I russi avrebbero lanciato 8 missili, provocando almeno 35 morti e 134 feriti, probabilmente anche nelle fila degli stranieri che stanno collaborando all’addestramento dei militari ucraini.
Tra gli stranieri, si conta anche la morte di un giornalista di cittadinanza americana, Brent Renaud, inizialmente erroneamente collegato al New York Times, per il quale aveva collaborato nel 2015, ma che è stato vittima di un conflitto a fuoco da parte dei russi ad Irpin nonostante fosse visibilmente un giornalista, intento a registrare le immagini dei profughi in fuga.
Una vita persa per raccontare la verità, per dire al mondo cosa succede, per restituire dignità ad un popolo che combatte fino allo stremo delle proprie forze, con inevitabili ripercussioni nell’oltreoceano da cui proveniva il reporter morto.
Sirene che hanno risuonato tutta la notte per tutta l’Ucraina, con un’accerchiamento e una morsa della nazione, vittima dell’invasione, sempre più costretta a contare le vittime, non solo militari, e a perdere città importanti e strategiche soprattutto nella zona centro sud della nazione con sbocchi sul Mar Nero su cui si sta concentrando la forza spietata e la strategia di attacco della Russia di Putin per aver un controllo assoluto su quell’area, considerata dai più come fortemente decisiva, non solo come via commerciale, rispetto alla quale la Russia vanterebbe un primato assoluto, ma anche politico.
Zelensky, in tutta risposta per dimostrare di essere ancora a Kyiv, così come si scrive in ucraino, ha visitato i reparti ospedalieri dove sono ricoverati alcuni militari feriti negli scontri a fuoco, rilasciando anche onorificenze e concedendo selfie.
E da parte del moderno osteggiato Occidente aumenta la paura dei contraccolpi inevitabili di questa guerra, soprattutto dopo l’attacco alla sede militare prossima ai confini della Polonia, facendo tremare le nostre case e le nostre teste, perché l’aggressione si sente sempre più vicina e perché risulta evidente che la Russia sta inviando chiari segnali a tutto il mondo occidentale di starsene alla larga del conflitto per evitare escalation pericolose e incontrollabili, con effetti dirompenti.
E così, venendo alla nostra Penisola, dopo le parole di Draghi, sulla necessità di un razionamento delle risorse, è scattato il passaparola dell’allarme alimentare con negozi presi di assalto, pasta, farina e olio, saccheggiati dagli scaffali per la necessità di un approvvigionamento alimentare pre-bellico.
Insomma, a voler tirare le somme, sono due anni tostissimi in cui si è passati dalla pandemia su scala mondiale, e anche allora code ai supermercati e all’accaparramento dei prodotti alimentari, con le derelitte penne lisce, abbandonate al loro destino infausto di non essere tra i formati prescelti dalla popolazione italiana allo shock della guerra che sentiamo vicina e minacciosa.
Le famiglie italiane si trovano a fare i conti con i rincari altissimi dei prodotti alimentari, del gas, del carburante, frutto delle scelte infelici di una politica import export dell’UE che ha generato per alcuni paesi, come l’Italia, una vera dipendenza dalla Russia per alcune materie prime, come il gas, il grano e la carne che potrebbero rallentare moltissime catene alimentari e produzioni nostrane, compreso l’arresto di pescherecci e autotrasportatori per il caro benzina inaccettabile, a dire del Ministro Cingolani, nonchè ingiustificato da parte degli operatori del settore.
Molti paesi, a parte i diretti contendenti del conflitto, che hanno ristretto alcune esportazioni, l’Ucraina in primis, costretta dalle circostanze, stanno trattenendo parte delle risorse fondamentali come grano, cereali, mais, olio di semi, carne e pesce, rinunciando al loro export oppure acquistandone quantità in modo indiscriminato sul mercato come il colosso cinese.
Di Maio e Draghi cercano di rinvenire sul mercato una fonte di autonomia che possa compensare l’eventuale embargo russo per non ritrovarci in uno status simil di guerra e di razionamento per la carenza delle materie prime indispensabili e per il rischio gas nel prossimo inverno, mentre Salvini, fiero e preso di se, si è preso la briga di raggiungere la frontiera polacca per vedere coi suoi occhi la situazione dei profughi, e per prestare assistenza e accoglienza, in una improvvisa inversione di tendenza nella politica immigratoria che ha fatto storcere il naso ai più e anche al sindaco della località polacca che lo ha accolto con una bella maglia dedicata a Putin, anzi non lo ha accolto, proprio in virtù della sua precedente amicizia putiniana.
Le immagini hanno fatto il giro del mondo mettendo alla berlina il nostro bel paese; è un po’ il destino dei filorussi e non, in una spaccatura evidente tra chi ha dimostrato in passato simpatie per un tiranno invasore.
E così, fa male sentire le parole di Edith Bruck che si presenta così addolorata nel descrivere con le sue espressioni e con la sua persona con una rievocazione immediata di quello che rappresenta – e ha rappresentato – per noi la sua memoria di fronte all’orrore dell’odio e della guerra, con le immagini delle improvvisate fosse comuni dove anonimi cittadini trovano una sepoltura posticcia in tempi risicati per sfuggire alla potenza delle bombe.
Tanto dolore anche nelle parole pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre, “non avremmo mai neanche lontanamente immaginato di sentire così vicino a noi, in Europa, il rombo dei cannoni, di vedere le case distrutte, le persone che piangono e muoiono“, rivivendo i momenti più bui della storia dell’umanità, prima del 24 febbraio quando abbiamo riconosciuto la voce del terrore e l’avanzata tanto temuta dell’odio.
A tutto l’insieme delle paure diffuse, per effetto della guerra, sicuramente si aggiunge la minaccia nucleare.
Desta un certo sgomento la presa di potere sulle centrali nucleari da parte della Russia che ha non solo già avvertito di utilizzare le armi nucleari di fronte ad una minaccia alla sua ambiziosa conquista territoriale, ma che spinge a profonde preoccupazioni anche perchè durante un conflitto potrebbe esserci tanto una volontarietà del gesto criminoso tanto un incauto errore umano che, colpendo una delle tante centrali ucraine, possa determinare oltre alla guerra, anche un disastro ambientale e della salute della popolazione vicina tanto alla Russia che all’Europa, dalle proporzioni indefinibili.
E questo ha portato all’assunzione massiccia e incontrollata di iodio e potassio, come avvenne in concomitanza al disastro di Chernobyl, per far fronte agli effetti dirompenti e anche di rimbalzo delle radiazioni, persino nelle farmacie italiane.
Solo che a parte la denuncia di un rischio esaurimento delle scorte, risulta estremamente pericoloso assumere tali farmaci in via preventiva, senza alcuna necessità o evidenza.
Indubbiamente, la sensazione di una economia di guerra si avverte in tutto e per tutto…e se con la pandemia, la parola d’ordine per consolarci delle restrizioni, delle paure del contagio e della scomparsa dei propri cari, era la pace che ci univa nella disperazione della situazione epidemiologica, simbolicamente presente negli arcobaleni disegnati e appesi ai balconi di tutte le case degli italiani con tanto di scritta “andrà tutto bene”…la speranza era di uscire fuori dal tunnel nella famigerata fine dell’emergenza pandemica fissata per il 31 marzo…
Ora è scomparsa anche quella fiammella di speranza e di luce.
Sono scomparsi gli arcobaleni, è scomparso il virus (che poi non è scomparso davvero), è scomparsa la pace, non solo quella contrapposta alla guerra, attualmente in atto in Ucraina, nel cuore dell’Europa, sotto un attacco ingiustificato e ingiustificabile ad un paese libero e indipendente fino a poco più di due settimane fa, ma anche quella interiore.
Si avverte una forte stanchezza emotiva, un affaticamento psicologico che coinvolge tutti, i bambini e gli adolescenti, esclusi dalla vita da due anni, e ora turbati e sconvolti dalla guerra, con l’angoscia di un costante sottofondo del racconto del conflitto, ma anche gli anziani che vedono nella guerra un ulteriore arresto alla loro vita e alle loro opportunità di vivere.
Nulla a che vedere con la tragedia che vive un intero popolo, quello ucraino , con ormai quasi due milioni di profughi accolti in Europa e in primis nei paesi di frontiera, alcuni vittime della tratta di esseri umani, ovvero preda, nel loro paese, spesso di morti atroci per bombardamenti senza tregua in più aree della nazione, anche attraverso l’uso di armi proibite, si parla di bombe a grappolo o al fosforo utilizzate indiscriminatamente dai russi e proibite come strumento di guerra, aprendo il varco al configurarsi di crimini di guerra sulla testa del Cremlino, di bombardamenti su sedi protette, quali ospedali e scuole, che dovrebbero essere evitati dai mirini dei loro cannoni ma che probabilmente conservano una parte dell’artiglieria ucraina e come tale bersagli oggettivi, considerati legittimi dai russi, alla ricerca di questi spietati terroristi nazisti che finora non sono mai stati identificati.
Piuttosto, vengono rapiti e zittiti con un cappuccio bianco, sperando non siano anche torturati, i sindaci delle città conquistate che si mostrano ostili alla bandiera russa la cui unica colpa è di mantenersi fedeli alla propria patria e alla propria bandiera gialloblu.
Assistiamo ad una resistenza ucraina senza precedenti, una nazione che è immensa territorialmente, ostile sia climaticamente che geograficamente, con tante difficoltà, con tanta povertà, anche prima del conflitto, eppure dignitosa e forte della sua libertà di autodeterminazione, della sua indipendenza, sotto la guida di un presidente che sta recitando il ruolo, forse l’ultimo ruolo, il più importante della sua vita che, pur consapevole della propria fragilità militare, resta con i suoi soldati e con la sua gente, in prima linea con la forza delle parole, con la forza democratica delle parole che solo i russi possono censurare ma che nessuno dimentica, nella sua capacità di dialogare con tutti i leader del mondo dal suo palazzo di governo sotto un assedio spaventoso da parte delle milizie russe intorno alla capitale.
Eppure, visita i suoi soldati, riceve e parla coi giornalisti, interviene alle manifestazioni di pace tramite videochiamata, sabato a Firenze, porta la voce della pace e tende la mano ad un cessate il fuoco, interloquisce con i leader mondiali, per trovare una soluzione alla guerra, e così si dimostra possibilista ad una mediazione risolutiva da parte del leader israeliano con un incontro in Gerusalemme.
Questo il fronte delle parole che descrive un avvicinamento e una possibilità di confronto tra le nazioni in conflitto, ma sul fronte di guerra, parlano le armi, i morti, i feriti, le case distrutte, i civili bombardati, i carri armati, le immagini spettrali di paesi devastati e distrutti, gli ospedali abbattuti con tutti gli ammalati e le pazienti nei reparti (come dimenticare le immagini dell’ospedale pediatrico e ostetrico bombardato?), i paesi rasi al suolo, i rifugi sotterranei bui, freddi, senza acqua nè cibo nè medicine, le temperature proibitive, la fanghiglia ucraina, un misto di neve e terra che rende tutto ancora più cruento, un cielo grigio e tetro, i ponti saltati, le ceste di molotov costruite in casa, un’atmosfera di guerra che spaventa e che resta impressa e che non avremmo immaginato nei nostri peggiori incubi di (ri)vivere.